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Mai - Linkami l'immagine
di Leonardo Marini - Carmine De Falco
Pubblicato su SITO
Anno
2006-
Fara Editore
Prezzo €
12-
128pp.
ISBN
888780883X
Una recensione di
Salvo Ferlazzo
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Votanti:
1765
Media
80.01%
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Alla fine del libro, i due autori deflagrano nella mente di chi ha letto il loro libro, instillandovi il dubbio se il quadro complessivo dei paesaggi, delle figure, delle situazioni, dei dialoghi, sia la meta o invece non rappresenti il percorso per arrivarci.
Lungo questo percorso, si intravedono le radici dei due autori, alle quali qualcuno rimane attaccato; qualcun altro, sradicato, cosmopolita, si abbandona ad una erranza forte, decisa, mitigata soltanto da immagini che sostuiscono una catena di sensazioni a volte fredde, distorte, indifferenti.
A volte trasmettono la sensazione di sentirci tutti cittadini del mondo, con la passione febbricitante di lanciare il cuore al di la dell’ostacolo, in un impeto insaziabile di libertà.
Intangibilità delle parole, compostezza policroma delle immagini.
Il libro e le sue storie si muovono tra una profonda coscienza della propria appartenenza ad un mondo, che è la terra che diventa dimora scuola, residenza; e la consapevolezza dell’eredità che quel paese, quella gente sono in grado di trasmettere ai protagonisti, persino al lettore.
Sotto la “t” di terra si muovono personaggi infarciti di dubbi, errori di sintassi, che ne fanno quasi un mito agostano, quando tutti vanno al mare, inteso come acqua, principio di ogni cosa.
Fine aurorale. Cupio dissolvi.
Da “esso” fino a “ Mai”, assistiamo ad una sorta di carosello di immagini che vanno dal lamento dell’escluso, all’utopia nevrotica di un’aspirante valletta, alla ricerca infelice di un alibi, passando per un luogo di gerarchie rovesciate e no, fino a “Mai”.
Profonde lontananze di luce, spingono il protagonista di questo breve racconto a fare delle considerazioni sui personaggi che lui stesso osserva, a volte distaccandosi da essi, a volte andandogli tanto vicino da suggerire la strada da prendere (“…le basterebbe prendere due o tre viuzze di scorciatoia…”).
Un destino comune, un intima linea di contatto lega i personaggi di “ Mai”, dove il reale si mischia al surreale, creando orizzonti esistenziali che li spingono a superare quelle immaginarie colonne d’Ercole, a sentirsi come tanti Ulisse, scoperti nel tentativo di liberarsi di un malessere cupo, silenzioso, rabbrividente.
E’ quello stesso malessere che fa dire al protagonista di “Mai” che:”la morte non è che un dato puramente naturale, come la nascita, il sonno, l’alimentazione, le malattie, il sesso, le deiezioni e blablabla.”
E conclude con un inquietante “mi sbagliavo?”
E’ come se si cercasse dentro di noi una sostanza sconosciuta che non faccia vacillare il nostro Io, la certezza del nostro Io.
Tra la gente che il protagonista di “Mai” incontra, si potrebbero benissimo trovare tutta quell’altra gente dei precedenti racconti, mischiata tra quella folla forse partecipe del destino comune, dove onore, nobiltà d’animo e coscienza morale si alleano in una lotta commovente, per realizzare alti ideali umani.
Si intravede, per la verità non molto nascosta, l’idea di una quasi ribellione, di una rivolta verso alcuni valori, più o meno condivisi.
Il valore della famiglia, quello legato ai convenevoli quotidiani. La ricerca della fama, della propria affermazione attraverso il mezzo televisivo. La consapevolezza che esiste la gente comune, che riguarda, ti vede come modello, archetipo di un’esistenza non più scontata.
Ma guai se uno di questi traguardi venisse enunciato come assoluto: l’integrità dell’individuo inteso come valore-base, sarebbe relegata in secondo piano, e la rivolta perderebbe il suo fascino: verrebbe tradita.
Una ricollocazione dell’io in chiave discorsiva e non più introspettiva, riporta le storie di “Mai” in una modalità orizzontale dell’apprendimento dell’esistenza. La “vergogna” egoista diviene così l’atto di riappropriazione riflessa del “mondo” come dimora esclusiva della coscienza.
Un’immensa sceneggiatura, che Leonardo Marini costruisce, armonizzando i personaggi che vi si muovono, agiscono, pensano in una immediatezza semplice e ingenua.
L’ironia del simbolo è l’assurdo della trascendenza immediata dell’immediato, l’impareggiabilità dell’”essere” e del “fare”, ossia la rivolta della vita sospesa nell’intenzione.
Con “linkami l’immagine”, De Falco riprende la vita come essa è prima del senso: una linea perenne, sbiadita, insignificante, il cui valore è l’estensione vivente, come virtù tranquilla, una stato non turbato o interrotto nel suo corso da alcuna differenza.
Eppure, le differenze ci sono, si scontrano, generano altri limiti, per dare vita ad un’immagine storica, simbolizzazione acuta che assicura la certezza della sopravvivenza: margine derubricato di una proiezione esistenziale diversa, dove la memoria diventa misura di un passato”… lei volto grasso capelli lordosi…(pg.90),”…lui grigia tempra barba sfatta lunga camicia…(pg.91), quasi un’icona intuita di una città, Helsinki, che mostra il “peggio di se”(pg.93), nella quale convogliano emozioni, passioni trasgressive, a volte ossessionanti, ma sempre legate all’attualità, al quotidiano storico.
Una strana forma di pedagogia pervade il nostro De Falco,”coscienza pensante”, che azzera ogni valore per ricondurli tutti a quel livello dal quale ri-partire, linkando ogni immagine,”lo sguardo delle persone sconosciute”(pg.96).
Un esercizio umano spossante; il linguaggio è lo strumento attraverso il quale De Falco celebra quei “rigagnoli di vita” che “si perdono nei percorsi venosi di cellule adipose”(pg.97).
Entra ed esce dal suo “sé” parlando di un mondo che suo non è, non gli appartiene perché il prezzo che paga alla sua individualità è quello della radicalizzazione del confronto nella sottrazione, o tentativo di sottrazione, del”personale”, che il gioco inevitabile della vittoria, inadeguabile ad un’esistenza totale.
Forse si intravede un punto di rottura dell’alterità con la propria esistenza in quella terra, in quella regione del mondo, in cui l’operabilità mediativa “teoria-prassi”, è il nesso cruciale di verifica dello schema vitale. Ogni azione è seguita dal volere dell’esistenza umana.
Non c’è struttura o marginalità equivoca nel progetto di un linguaggio globalizzato, ma una fitta rete di integrazioni vitali che ne legittimano l’attuazione.
Una recensione di Salvo Ferlazzo
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