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Racconti d'Evasione
di AAVV
Pubblicato su PBSR2006
Anno
2002-
Soqquadro
158pp.
ISBN
Una recensione di
Claudia Feleppa
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Racconti d’evasione è una raccolta di 12 racconti di altrettanti autori accompagnati dai lavori pittorici di alcuni detenuti delle strutture carcerarie di Rebibbia Femminile e dell’Ospedale Psichiatrico Giudiziario di Castiglione delle Stiviere. Un progetto che è già di per sé interessante, a prescindere dal valore intrinseco dei singoli quadri o racconti, perché apre uno spiraglio su un mondo sommerso, quello delle strutture detentive, generalmente privo di ogni visibilità e circondato da un alone di diffidenza e timore. Esiste un luogo più preciso e allo stesso tempo più indeterminato di un carcere? Un luogo-non luogo per eccellenza. Eppure, chi è entrato in contatto con queste realtà, come Marina Zatta, dell’Associazione culturale Soqquadro (che continua un progetto iniziato già nel febbraio del 2000 con l’inaugurazione di un’esposizione d’arte nel carcere femminile di Rebibbia) assicura che superati la paura e lo sgomento iniziali, al loro interno si trova un mondo pieno di vitalità ed entusiasmo.
Le 12 storie raccolte rappresentano realtà diverse: alcune sono proiettate su uno sfondo storico come Gelo di Tristano Cassandra, altre hanno uno spirito giallo-noir come La nonnina dei gatti di Danila Comastri Montanari, altre ancora prendono spunto da un’intuizione avveniristica come Corrispondenze di Barbara Marchetti o Le anatre di Luigi Colombo.
Le illustrazioni che le accompagnano non riproducono pedissequamente i testi, ma tradiscono un’ispirazione personale che, soprattutto nelle opere provenienti dall’atelier di pittura OPG di Castiglione delle Stiviere, risulta ben guidata dall’educatrice Silvana Crescini.
I racconti più riusciti sono quelli che descrivono viaggi interiori come Lettere di Raffaele Gambigliani Zoccoli, in cui il protagonista è ironicamente alle prese con la corrispondenza di una misteriosa ammiratrice o La catena di Simone Maria Navarra, una sorta di diario telegrafico che registra un nevrotico interrogarsi sul caso, la predestinazione e il senso dell’esistenza.
Filo conduttore di queste storie è l’estraniazione dalla realtà, la paura di «girare in tondo come sulla ruota di un criceto» come accade in Nilla Dorme di Daniela Colucci, un racconto con un finale alla Il fu Mattia Pascal, ma pervaso da un’atmosfera diversa, tutta delicatamente sospesa sulle ali del sonno:«Nilla dorme. E dormono le sue gambe. E tra le sue gambe dorme la mia passione e la mia voglia di andare o di dormire». La voce narrante appartiene all’uomo di Nilla, un autista di autobus che comincia la sua giornata lavorativa alle quattro del mattino tra prostitute ed extracomunitari, «facce che si disfano al passaggio dei minuti, stanche morte, come se una manciata di secondi, così, potesse portarle ala vecchiaia d’un colpo».
«Piazza dopo piazza, quartiere dopo quartiere, semaforo dopo semaforo all’inizio ti sembra che ogni cosa si stia muovendo, e non badi subito al fatto che la direzione è sempre quella, il che è un po’ come rimanere fermi...».
Mentre il suo uomo gira in autobus per la città raccontando la loro storia, Nilla dorme con i suoi pensieri e sogni segreti. La donna-amuleto dei Trobador provenzali, incontrata l’unica volta che si ha deciso di cambiare strada... quasi un monito a non dimenticare quei momenti speciali che capitano forse una sola volta nella vita.
Una recensione di Claudia Feleppa
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