Il terzo libro di questa trilogia di Vergnani, seduce forse tutti i lettori a fare un bilancio, a recuperare giunti tra i tre testi, la sorpresa in questo ultimo, è il fatto di trovarsi di fronte ad un libro che sfoggia il valore d’indipendenza, pur parlando di una discesa irrefrenabile e necessaria, originata da un salto precedente, che mi punge con la magia di credere e affermare, che non sia stata decisa dalla penna dell’ autore, ma si sia trattato di un precipizio dettato da un necessario congedo reclamato dai personaggi. I personaggi, Claudio, Vergy e Gabriele, avvicinati e vicini a noi, per affinità e linguaggio sconveniente, in una storia che celebra l’amicizia profonda fra uomini pencolanti sul baratro, forti di un coraggio sforacchiato di umane paure, che dice anche quanto sia difficile l’amore. Dietro le spalle la provincia. Una Modena, che anche qui e per l’autore, è senza eccezione e spesso per ogni sorta di narrazione, il terreno-famiglia da cui si prende il via e ci si muove, e ora è lo sfondo alla ricerca di tre, che non smettono di impegnarsi per ritrovare Alicia. Difficile e intralciata è l’impresa, ostacolata strategicamente da un possente vampiro maestro. Un viaggio. Quello di fronte alle paure, che mettono in prima linea con se stessi, in una nuda resa dei conti definitiva. Per questo Claudio, che è ancora una volta un uomo senza progetti e qualità, condannato a vivere, e che come tutti, alla fine non può che affidare il proprio dolore a Dio. Un altro esempio per la nostra vita, partecipiamo delle angosce, in questo mondo possibile di Vergnani, di cui ci rimane ricordo, perché ci fa sentire il brivido, quello che ci provoca la vista dell’abisso che noi stessi scaviamo.
E in questo senso che è riconoscibile l’universalità della condizione umana, riassunta genialmente da Calvino, e che può rappresentare questo libro di Vergnani, con le ultime righe de: ”Le città invisibili”: “L’inferno dei viventi non è qualcosa che sarà, se ce n’è uno è quello che è già qui, l’inferno che abitiamo tutti i giorni, che formiamo stando insieme. Due modi ci sono per non soffrirne. Il primo riesce facile a molti : accettare l’inferno e diventarne parte fino al punto di non vederlo più. Il secondo è rischioso ed esige attenzione e apprendimento continui : cercare e saper riconoscere chi e cosa, in mezzo all’inferno, non è inferno , e farlo durare, e dargli spazio.”