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African Inferno
di Piersandro Pallavicini
Pubblicato su PBH0


Anno 2009- Feltrinelli
Prezzo € 18- 336pp.
I Narratori
ISBN

Una recensione di Carlo Santulli
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 African Inferno

In un momento in cui ci stiamo lentamente avviando a diventare un paese multiculturale, tra urti e sobbalzi, e purtroppo pericolose e a mio avviso insensate marce indietro, credo si debba riconoscere che la nostra letteratura non sembra per lo più in grado di rappresentare questa realtà. Tra correttezza politica e terrori da "tolleranza zero" (i cui effetti ricadono solo su persone di certa provenienza), quel che ne risulta è l'incapacità di capire, e di dare un'immagine realistica delle culture diverse dalla nostra.

Non è che sia necessario che la letteratura cerchi di interpretare la complessità di ciò che viviamo, però è significativo che abbia una così grande difficoltà nel farlo, oggi in Italia. In realtà, per esempio, sappiamo pochissimo dell'Africa (anche della letteratura africana, per rimanere al punto, nonostante qualche editore si occupi di pubblicarne le opere più significative: mi viene in mente la Morellini, per esempio, che fa edizioni di notevole qualità, la cui visibilità purtroppo non mi sembra sia eccezionale). Quel che è peggio, e che preoccupa, è che molti di noi non hanno alcuna voglia di conoscere, il che riflette una pigrizia ed un timore anche nel contatto umano, che è proprio di un popolo "vecchio" e anche un po' privo di amor proprio, perché dal contatto può venire, sì, anche qualche pericolo, ma senza dubbio viene una crescita personale e sociale. E su tutto, i luoghi comuni, il fatto che la cultura europea sia "minacciata" (come se le culture non si evolvessero, e non lo stessero facendo da millenni, al contatto con altre culture).

Piersandro Pallavicini, da quanto visto nelle prove precedenti, da "Madre nostra che sarai nei cieli" ad "Atomico dandy", è probabilmente uno dei pochi scrittori italiani che potrebbe raccontare la storia di quell'occasione mancata, che è stata finora la vicenda dell'integrazione dei migranti in Italia. Pallavicini, in controtendenza a molta letteratura recente delle nostre parti, scava a fondo nella caratterizzazione dei personaggi e non è ossessionato dalla trama: anzi, come già sperimentato in "Atomico Dandy", parte da due piani temporali distanti circa un anno, e gradatamente convergenti, dicendoci una cosa essenziale, come da note di copertina: che Sandro Farina, il protagonista, prima viveva con moglie e figlia, ora vive con due studenti africani, Richard e Modestin. Il romanzo, più o meno, passa in mezzo a queste due sponde narrative, anche se poi, un po' per forza propria, straripa da esse: questo dà la sensazione, devo dire molto gradevole, che la trama si costruisca da sé, l'autore lascia la voce narrante del protagonista a guidarci, un passo avanti ed uno indietro. 

I personaggi di Pallavicini, anche in "African Inferno" sono complessi e stratificati, anche se non astrusi, perché ravvivati da un continuo umorismo. Hanno un'infinita trama di difetti, sui quali ogni tanto brilla qualche virtù, che spesso si manifesta in modo inatteso. Sono insomma non molto diversi da quelli che incontriamo ogni giorno, con la differenza, non da poco, che Pallavicini sa raccontare, ed insegue i suoi personaggi fin nelle profondità del loro animo: come accade, quando si è alle prese con un vero narratore, di questa profondità ci si accorge a poco a poco, e specie dopo la lettura, ripensandoci. In breve, sono personaggi che si portano con sé a lungo. Possono essere italiani, anzi di Pavia, come Sandrone Farina, oppure africani, anzi di diversi paesi dell'Africa. Il suo grande amico Joyce, è per esempio congolese, anche se completo di sorella chef munita di passaporto elvetico, ma, come dicevo, sono estremamente ben caratterizzati. Qualche virtù, molti difetti, ma alla fine presi nel vortice di una vita che può sembrare semplice, solo perché si sforzano (a volte) di essere superficiali: nell'Italia un po' presuntuosa e vacua di inizio millennio i migliori tra loro si aggirano un po' sperduti (come tanti di noi, devo ammettere, il che facilita l'identificazione). Qualcuno è, senza dubbio, più cattivo della media, come per esempio Dieudonné, o Mister Hu, ma Pallavicini cerca efficacemente di metterlo in contesto, un po' con la sua spesso efficace ironia, ma più in particolare col fatto che in certo senso, il destino opera in modi un po' capricciosi sulla vita di ognuno (e poi, parlando di Africa, c'è il soprannaturale che è sempre vicino, anzi può essere in casa). Questo destino è in fondo l'inferno del titolo, anche se è un inferno molto funky, e specialmente molto nascosto dietro la normalità di vita "borghese", cui gli africani con cui Sandrone viene in contatto in fondo aspirano e che forse anche raggiungono in qualche caso (ma si sa, non c'è nulla di più confuso e frastornante della normalità, specie in un paese come l'Italia, per la nostra cronica preferenza per le tortuosità del pensiero e della prassi). 

Ad un certo punto, mi sono trovato a chiedermi: quanto c'è di Vittorio Nuvolani, il ricercatore del Chemputer di "Atomico Dandy" in Sandrone Farina? Io trovo che entrambi siano personaggi tanto sfaccettati da essere addirittura convoluti su se stessi a volte, pieni di andirivieni logici, come di improvvisi scatti di orgoglio, e colti ambedue nella stessa crisi generazionale. Tuttavia Nuvolani mi sembra più cinico e furbo, mentre Farina sembra una pedina che ha perso la propria scacchiera, o forse vorrebbe giocare, ma non sa precisamente a che gioco (per non parlare delle regole...). Si vedano le tragicomiche circostanze in cui assiste, inizialmente quasi senza reagire, al collasso del proprio matrimonio (ed è semplicistico dire che in fondo se l'è voluta: più che altro ci si è trovato, ma come se stesse guardando un film, anche di serie B). Però la reazione, quando avviene, è ironicamente grandiosa nella sua totale disorganizzazione e imprevedibilità. Anche Sandrone ha degli incredibili lampi di amor proprio (addirittura di patriottismo...), ma nel complesso appare ingenuo, ma un ingenuo con una sua morale precisa, da cui non si può derogare, ma che è talmente connaturata nel personaggio da essere invisibile dall'esterno. E' uno di quei tanti esuli di una sinistra che forse non c'è più, perché non credono di non avere più cause per cui combattere, poi scoprono che invece sì, la causa per cui lottare, o resistere, come preferisce dire Farina, c'è, ma forse i nostri mezzi sono inadeguati alla battaglia. In ogni modo, siamo soli, perché partiti ed istituzioni latitano, se non si mettono di traverso sulla nostra strada: Pallavicini lo mostra bene strada facendo; d'altronde, mentre viviamo in un mondo dove molti ormai, anche se poco visibili per i media, hanno origini le più varie, e sanno maneggiare molte lingue diverse, la politica, a Pavia come altrove in Italia, parla ancora esclusivamente in dialetto.

Però non vorrei parlare di anti-eroe, perché darebbe l'impressione che i successi di Farina, che vanno pericolosamente a braccetto coi suoi disastri, siano l'effetto di incredibili circostanze fortuite. In realtà, sono la conseguenza dell'abbandonarsi alla corrente, muniti nonostante tutto di alcune certezze incrollabili ed a volte di un'umanità che commuove. Quando sbaglia a valutare, Sandrone cade nella trappola che qualcuno più furbo e cattivo di lui gli tende, ma rimane se stesso; non diventa un eroe, ma nemmeno recede dalla sua linea di difesa personale. Non è frenato dalla correttezza politica e non ha neanche paura di fare del sentimentalismo, ha degli amici e comunica loro il suo affetto, ha una figlia e la adora, una moglie e non vorrebbe perderla, insomma in qualche modo le cose si aggiustano, ma sarebbe sbagliato rivelare come, anche perché è molto più divertente leggerlo. Se non siete in vena di romanzi, potete anche interpretare "African Inferno" come un potente pamphlet sull'integrazione dei migranti, con divagazioni (ma mica tanto) sulla cultura e la cucina africana, però cercando di dipingere quella società multiculturale che forse stiamo costruendo; non facendo del pessimismo ad ogni costo, ma nemmeno nascondendo le difficoltà. Non è un libro per chi ha un'ideologia (o le macerie di una passata), ma è un libro per chi desidera farsi un'idea di cosa sta succedendo davvero, fuori dal penoso teatrino dei giornali e della TV, delle Caste, degli scandali (ormai sempre gli stessi) e della "tolleranza zero" (sempre rivolta agli altri, e mai a noi stessi...). Per conto mio: da leggere senz'altro.


Una recensione di Carlo Santulli



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