Via Canonica
alla Tolfina
Questa sera cammino
e il caso mi riporta,
per tragitti diversi dal mio solito,
notturno pellegrino
alla mia prima scuola,
che odora di mia madre, maestra giovane.
Qui venni da bambino,
col fiocco ed a tracolla
la mia cartella, i libri, le mie fisime,
e altre cose da niente.
La vita del quartiere
fu la mia vita, ma come esanime
l’attraversai, assente,
senza nulla vedere
che fosse fuori del mio angusto limite.
Il quartiere cinese, via Canonica,
della mia vita ha visto l'albeggiare
che solo la Tolfina, in quanto storica,
sa ancora ricordare.
Fosse un bene od un male, l'esistenza
ruotava tutta intorno a quel selciato.
Tornavo sempre, ed era la mia assenza
parentesi soltanto,
quando pure partissi per un altro
lavoro, altra donna, altra città –
scelte che noi vorremmo avere fatto
di qui all’eternità.
Nulla durò, ma come in età antica
dormo ora a un metro da dove si spensero
mia madre e sua sorella, la Maria,
con il suo amore burbero.
Dire non so se sono già al crepuscolo,
so che il ricordo è tinto di rimorso
per avere vissuto da sonnambulo.
Solo con la Tolfina ne ho discorso:
già che la sua memoria mi riporta
momenti spenti in me dall'amnesia
che ha annebbiato l'infantile vita
del Paolo, e so che senza la sua scorta
avrei perso di più che perso sia.
Mi domando se ciò che costruiamo
può mai competere in significato
con quello che nascendo riceviamo
né sappiamo perché ci è destinato.
febbraio 2004