Da un rifiorire di memorie
vivida fuor or sbalzi madre
nell’algido meriggio
che mi trova triste e solo.
Fluttuante tra il tutto e il nulla
si riaprono al cuore itinerari
di giorni remoti e rammento
quando fanciullo al tuo braccio
aggrappato mi facevo sicuro
tra le vie ancora sconosciute
di una città troppo grande
per noi venuti da un borgo
che poche anime assommava.
Tuona e dardeggia il cielo
in questo meriggio ottobrino
fine e intensa cade la pioggia
e dilava in me polvere di anni
anni difficili, duri, insicuri
colmi di stenti e patimenti
difettivi per te di avvenire e sogni.
Si viveva allora alla giornata
fluttuando tra flutti e maree di precario:
oh come rammento quante volte
per stanchezza reclinavi il capo
sulla sedia dopo un pasto frugale
per poi alle prime luci dell’alba
già essere pronta a fronteggiare
un divenire avaro di prospettive
ma senza abdicare del tutto
per noi a una labile speranza
che mutasse un prescritto destino.
Da quanto da me ti sei separata
non so più dire, il conto torna
solo se sosto davanti alla tua tomba
e mi costringo a contare gli anni
non ammetto, e ostinato respingo,
che tu da tanto mi abbia lasciato
solo, in balia di un mondo balordo
in cui pur vivo o sopravvivo
che invecchiato schivo e quasi ignoro.
Che sommo bene più mi resta
oltre il tuo irriducibile ricordo
e le avvisaglie della morte
che a piè lento si avvicina
dal confine di una luce oscura
che abbuia e emana terrore.
Nella rappresentazione reciterò
ancora con zelo fino all’ultimo
la farsa di essere, remissivo
interpreterò fedele la parte
che non scelsi ma mi fu assegnata.
Fiducioso auspico di ricongiungermi
a te quanto prima e darti un bacio.
Riabbracciarti attendo e sogno!