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T'essiccasti al sole nel deserto,
s'abbattereno su te le dieci piaghe,
una ad una ma
non guastarono la perfezione umana dei tuoi occhi,
non insozzarono la bellezza
ch'or non più sui fianchi e le gambe scorreva,
nè s'adagiava sul materno seno
ma s'emanava com'aura
forse dalle nari del naso
dall'impeccabile taglio
o dai sani denti il lucor
l'imprimeva,
forse,
ma certo dagl'occhi insuperati
la promessa eterna
di serenità
e godimento infinito,
chiara, s'effondeva.
Rimasi incollato al fico spezzato che furon le tue labbra
e l'intento neglessi di stornare te
dall'impietoso veleno bramato
com'io nella notte,
fra parcheggi, questure ed ospedali
il tuo miele agognavo.
Chi non conobbe di te
il paradiso dei tuoi occhi
e l'inferno della tua vita
penserà ch'io m'infatuai
ma son aldisopra d'ogni sospetto
che non m'innamorai giammai di te.
Nei tuoi occhi riposavo
nella tua vita mi dannavo
in pianto, disperata
abbracciata a me
ti ritrovavo,
e come niente può
imporsi al veleno
nulla sopraffare sulle preghiere d'angelo
che stretta ed odorosa
recitavi al mio orecchio attento
che mai aveva udito tal grazia
e così t'amai,
un sol giorno, come le rose.
Ma ora cosa fai lì ferma, supina,
chiusi gli occhi,
le mani giunte sul ventre sfinito,
sol il tuo profumo riempie
quest'angusta stanzetta,
dove son gli amici, i clienti, gl'infami spacciatori?
La natura tutto ti aveva donato
tutto hai ceduto ad un granello di bianco sterco.
Sol'io son qui che piango e nessuno vede,
nemmeno tu.
©
Simone Veltroni
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