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Laila
di Carla Montuschi
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Laila era diversa.

La sua bellezza era definita dai contrasti. Il nero dei lunghi capelli, lisci come seta, si perdeva nel pallore etereo del volto, il rosso vivo delle labbra carnose raggelava nell'azzurro intenso dello sguardo, la seduttività dei movimenti impietriva nel suono profondamente distante della voce.

Il fascino di Laila era disegnato da quei contrasti, era il risultato derivante da una miscela equilibrata di dolcezza e crudeltà.

Laila era bella... in modo ossessivamente inquietante.

Io non potevo fare a meno di guardarla, volevo a tutti i costi impossessarmi del segreto di quel suo fascino, ero convinta che quel segreto avrebbe potuto farmi uscire dall'anonimato della mia immagine.

La spiavo ovunque... nel riflesso rettangolare del lungo specchio posto sopra ai lavandini del bagno, fra le fessure delle pareti in cartongesso che separavano la mia scrivania dalla sua, fra i frammenti di discorsi spesi alle macchinette del caffè... ovunque!

La nostra confidenza era limitata ad un cenno altero del capo, che ella mi dedicava solo quando ne era proprio costretta. Capitava quando la casualità faceva in modo che i nostri sguardi si incrociassero, ad inizio e fine giornata. I restanti fotogrammi che possedevo della vita di Laila, erano rubati.

Sebbene ad un occhio superficiale ella apparisse assai attenta alla mondanità, aveva consuetudini riservate, quasi solitarie. Quell'aspetto del suo carattere sembrava renderci simili, ma la sua sua solitudine era assai differente dalla mia. Infatti, mentre la mia solitudine era dettata da un disperato senso di inadeguatezza e quindi mi era angusta, la sua costituiva uno spazio. Talvolta era come se Laila si estraniasse dal contesto circostante per preservare l'accesso alla sua intimità, imponeva un confine tanto invisibile quanto invalicabile sia per mantenere a distanza gli intrusi sia per creare un certo alone di mistero.

La odiavo e l'amavo, poiché semplicemente non riuscivo a "non considerarla".

Tutti cercavano Laila. Uomini e donne rimanevano incantati, storditi dal suo fascino. Sembrava che la massima aspirazione della gente fosse quella di compiacerla.

Non riuscivo a capacitarmi del motivo di tanto potere, non riuscivo ad afferrare quale fosse la strana alchimia di parole e movimenti, che riusciva ad irretire a tal punto i suoi interlocutori.

La bellezza poteva essere un incentivo sufficiente per gli uomini, ma di per se stessa non poteva bastare per le donne. Il confronto con la prepotenza della sua bellezza, avrebbe dovuto generare rivalità ed invidia, eppure tutte le mie colleghe di ufficio aspiravano ad entrare nel suo ristretto cerchio di amicizie.

Io la osservavo, la studiavo. La mia ossessione era arrivata al punto, che il mio lavoro era divenuto l'alibi per poterle stare accanto. Non mi importava più dello stipendio e del conseguimento degli obiettivi aziendali, ogni mia giornata era motivata dall'esigenza di incontrare Laila.

Divenni sempre più gelosa delle colleghe che avevano avuto l'onore di essere prese in considerazione da lei, ed in un'assurda lotta per essere notata cominciai ad arruffianarmi le sue "amiche".

Scoprii così dettagli inquietanti che infittirono il mistero circa suo fascino.

Nessuno, entro cerchia degli eletti, aveva mai frequentato Laila al di fuori del contesto lavorativo. Nessuno sapeva spiegarmi perché la trovasse simpatica... anzi, il quadro complessivo che la gente dipingeva di lei, a parte le indiscutibili doti fisiche, era alquanto scialbo. Tutti si adoperavano all'eccesso per compiacerla, senza saper bene "il perché". Neppure la sua posizione lavorativa giustificava un tale interesse. Laila era una semplice segretaria, esattamente come tutte noi altre.

Senza rendermene conto stavo precipitando sempre più nel suo gioco perverso. Ero rimasta una delle poche persone dell'ufficio che lei non si degnava di considerare. Nonostante il mio, ormai del tutto evidente, interessamento nei suoi confronti, mi evitava accuratamente. Esercitava una sapiente indifferenza che mi infastidiva al punto di non riuscire a ricambiarle il "favore".

Mi ignorava, e questo suo comportamento influiva pesantemente sulla condizione già esile di stima ch'io avevo per me stessa.

Ero sempre più inquieta, affannata. Quell'ossessione divenne così estenuante che mi ammalai.

Dopo una nottataccia di febbre alta, fui costretta dalla totale assenza di forze a rimanere a casa. Realizzai solo in seguito che la malattia coincise con l'inizio di un processo di affrancamento da quella condizione di sudditanza psichica. La distanza dal mio posto di lavoro per una settimana intera, giovò non solo al fisico ma in qualche modo mi disintossicò. Così, in un momento di fortunata lucidità, mi soffermai su alcune considerazioni.

Com'era potuto accadere che il giudizio di Laila fosse diventato così importante nella valutazione di me stessa?

Chi era e quale significato poteva avere quella donna nel contesto della mia vita?

Ella si era insinuata fra le crepe delle mie fragilità amplificando a dismisura le mie paure. Tutto era avvenuto senza che neppure ci frequentassimo, Laila aveva semplicemente fatto leva sulla mia paura di non essere accettata.

Tutto ciò era assolutamente privo di senso!

Fui pervasa da un sentimento vivo di rabbia mista a ribellione e trovai in esso la forza di proteggere quel poco che ancora rimaneva di me. Cominciai allora a non subire più la solitudine ed essa divenne distanza, uno spazio concreto fra me e gli altri, fra me e Laila.

Fu così che si invertirono le parti. Nel momento in cui cominciai ad ignorare Laila ella cominciò a far di tutto per attaccar bottone.

Un giorno, sfruttando la complicità del lavoro, me la trovai di fronte alla scrivania. Aveva bisogno di sfruttare le mie competenze contabili per la gestione di alcuni dati. Con un sorriso untuoso cominciò a sciorinarmi una serie di domande, centellinandole con una certa maestria, affinchè il discorso durasse il più a lungo possibile.

Avvertivo una sensazione di pericolo, era palese il fatto che si trattava solo di un pretesto, ella mi stava in realtà studiando.

Dopo aver ottenuto ciò di cui aveva bisogno , per sdebitarsi, mi propose un caffè alle macchinette.

Accettai a malincuore.

Non c'era nessun altro a parte noi. Laila mi guardò fisso negli occhi e dissimulando un sorriso tentò di oltrepassare la soglia dell'essere formali.

 

«Comunque... piacere! Io mi chiamo Laila. Tu dovresti chiamarti Ambrosia, vero?»

 

Detestavo il mio nome. Mi era stato affibbiato in ricordo di non so più quale parente defunto. Aveva un suono dolciastro ed ammuffito che non centrava nulla né con la mia epoca né con le mie fattezze.

La voce di Laila lo diffuse nell'aria facendolo risuonare in tono beffardo.

Annuii seccamente e dirottai la conversazione verso uno dei tanti "non-argomenti", quelli che normalmente consentono agli sconosciuti di chiacchierare, senza realmente dirsi nulla.

Riempimmo il silenzio della stanza di inutilità per circa una decina di minuti e poi ci accomiatammo con la promessa di dividere nuovamente la pausa caffè.

Ci salutammo con una stretta di mano.

Quel gesto mi parve infinito. La sua mano avvolse saldamente la mia mentre i suoi occhi si conficcaro nei miei.

Mi sentii soffocare.

Qualcosa passò rapidamente da me a lei, in modo talmente repentino che sul momento non riuscii a compreder cosa fosse. Mi sentii venir meno come se fossi vittima di un forte calo di pressione ma un attimo prima che svenissi, Laila mollò la presa. L'interruzione di quella specie di controcircuito mi fece sentire immediatamente meglio.

Raccolte le forze mi voltai e fuggii lasciando alle mie spalle, sospeso a mezz'aria, un saluto apatico.

Raggiuta la scrivania mi accasciai sulla sedia. Ero spossata, svuotata di ogni energia, e nel tentativo di non spaventarmi troppo pensai che ciò fosse dovuto ai postumi della recente malattia.

In vero, mi ripresi in breve tempo e senza fare nulla in particolare. Il tutto passò in una mezz'oretta circa, lasciandomi una sensazione di inquietante perplessità.

Non volli stressarmi più di tanto e mi buttai ogni cosa alle spalle cercando di non pensarci più.

Laila però tornò a trovarmi quella stessa notte.... in sogno....

Sognai quel suo sorriso malvagio, immaginai che ella mi stesse nuovamente fissando. Provai la medesima sensazione del mattino ma in modo decisamente più intenso. Qualcosa sfuggiva dal mio corpo per entrare nel suo. Mi stava rubando qualcosa di impalpabile e non riuscivo a comprendere cosa fosse. Mi svegliai di soprassalto, fradicia di sudore. Ero prostrata da una fatica apparentemente priva di motivazioni, sprofondata in un vuoto totale di forze ed emozioni.

Mi ripresi solo grazie alla mia straordinaria forza di volontà. Vivevo sola da una vita e l'esercizio della volontà mi aveva spesso salvata dall'abulia, dell'evenienza assai probabile di precipitare in una depressione senza uscita.

Decisi di non andare al lavoro, mi serviva tempo per riflettere e capire... lontana da Laila.

Dopo un'abbondante e corroborante colazione mi sentii meglio. Tra me e me constatai che stavo riacquistando forza e che i pensieri lentamente acquisivano nuovamente i loro colori originari. Quest'ultimo dettaglio fu chiarificatore.

Capii. Laila rubava energia psichica, era in grado di sottrarre energia vitale. Ella, dopo aver scelto la sua vittima, la seduceva e poi stabiliva un contatto per poterne succhiare la vitalità. Assorbiva emozioni ed idee svuotando il malcapitato come fosse un sacco, di cui rimaneva solo il contenitore vuoto.

Ad un tratto compresi il perchè di tutto il suo fascino, esso era il frutto di una vera e propria razzia. Laila possedeva in sé il fascino della conoscenza, dei sentimenti e dell'energia di chissà quante persone. Laila fruiva di un bagaglio di esperienza immenso.

Io ero stata sedotta dall'illusione di poter attingere ad un poco di quel patrimonio ma il mio destino era invece di esser spogliata di tutto... sino all'ultimo respiro.

L'aver preso coscienza di tutto ciò mi spaventò moltissimo. Laila aveva ormai libero accesso alla mia mente e l'averla incontrata in sogno ne era la conferma. Dovevo trovare al più presto una soluzione, era una questione di sopravvivenza!

Mi dibattei a lungo, mi sentivo come una mosca divenuta pazza poiché costretta a volare entro uno spazio estremamente angusto. Sbattevo continuamente contro ai miei limiti, impattavo contro le mie fragilità, le mie paure.

Allo stremo delle forze, assaporai il senso del vuoto. Dopo tutto quel dibattersi esso aveva infatti assunto un senso di quiete e di silenzio che non sapeva più di solitudine quanto piuttoso di tregua.

Mi cullai nel vuoto e lo proiettai all'infinito cercando di prender tempo.

Il nulla per un tempo illimitato. Era un luogo perfetto ove nascodersi momentaneamente, ma al contempo una prospettiva di "non-vita" claustrofobica se protratto per un tempo infinito.

Ecco la soluzione!

Dovevo far si che Laila nel momento del contatto, ovvero nel momento in cui molto probabilmente ella era più vulnerabile, trovasse in me il vuoto. Se fossi stata capace di svuotare del tutto la mia mente, se avessi annullato le mie energie ella, cibandosene, avrebbe potuto annientarsi da sola.

Cominciai allora ad occultare freneticamente ogni mio pensiero e sfruttando tutte le conoscenze di training autogeno che possedevo mi concentrai su di un cieco nulla, una lattiginosa inconsistenza.

Mi ero appena addormentata in quella dimensione quando, come previsto, mi apparve Laila.

La mia incrollabile forza di volontà ostentò la più totale apatia. Ella si stupì alquanto di questa mia insensibilità, ma del tutto ignara circa il mio piano stabilì con impazienza il suo contatto vampirico.

Vidi la sua figura disintegrarsi, si polverizzò sopraffatta dalla sconfinata vacuità della mia mente. Perì nel totale annullamento della mia capacità vitale, soffocata dal completo torpore delle mie emozioni.

Dopo la scomparsa di Laila, il primo pensiero che tornò ad attraversare la mia mente, fu il mio nome... Ambrosia... un'erba infestante...

Sorrisi nel ricordare che il suo significato è "Immortalità" e spinta dalla curiosità andai a cercare il libro dei nomi.

Alla elle, appresi che il nome Laila significa "Una notte".

Allora il sorriso si tramutò in una fragorosa e liberatoria risata.

Il destino di Laila si compì una notte, annientandosi nello scontro con l'immortalità!

© Carla Montuschi





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