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Wolfgang Amadeus Mozart
Non dilapidate il vostro patrimonio, coltivate i sogni, tenete aperti gli orecchi e gli occhi, non desiderate il posto fisso. È una lapide che mi tengo in testa da 20 anni, un’epigrafe ingiallita, rosa dal tempo e da persone inutili. Mantenete la vostra libertà, soprattutto. Io sono stato libero, ho fatto tutto quello che ho voluto, sono nato e morto cento volte, ma che sollievo ritornare indietro, nel mondo. Mio padre è morto da poco, sia benedetto. Mi ha lasciato, quando ero matto e in balia dei Salieri, la libertà di fare tutto, di comporre, di scrivere. Mi sono recato al mare per 10 anni con una persona anziana, sempre nello stesso scoglio, con il fisico perfetto, magro e glabro. Il porto di Rimini me lo rammenterò sempre, le sue navi piccole, il suo popolo nuovo, l’operosità ruvida dei rozzi pescatori. Le ragazze di allora, che mi aspettavano in acqua, oggi sono vecchie, non hanno possibilità di figliare, procreare gente come me, unica, irrisolta. Quando vedo il volto scavato di mia madre vorrei riempirlo di baci, come quando ero giovane ma lì dovevo farlo per forza, per piacere a qualcuno. Ora no. E saranno i baci più belli, quelli carichi di amore. Sono stanco e sto male, il refrain è difficile, non riesco a completarlo, non ho voglia di fare cose sempre uguali. La Messa da requiem non la finirò. In questa vita mi invidiano tutti, dicono che sono un genio, un artista. Non sanno cosa ho passato. Giorni noiosi con Yvette, crocifissioni, scherni, serate tiepide ed interminabili con mio padre assiso davanti a me. Gli mettevo il piede nel braccio magro, piagato dal diabete. Lui mi diceva “C’è vento, le fronde degli alberi si muovono.” Il caldo mi martirizza, non lo sopporto. Ora ho la febbre, mi sta divorando, mentre detto a questo idiota italiano parte di me, della mia arte. Sto morendo e non vorrei, preferirei vivere in eterno, ma l’estate cede sempre il passo all’inverno spietato. Alle Nozze di figaro non c’era un’anima eletta, solo popolo, il mio popolo! Sono fiero di quelli che mi apprezzano, nella vita bisogna sapersi accontentare. Ho messo in musica le mie angosce e le grandi lacerazioni. Piango per tutti quelli che mi hanno amato, per coloro che mi odiano e mi vedrebbero con una corona di spine in capo. Il sangue di solito depura quelli che verranno dopo, dilava via il peccato, mi auguro non sia stato versato invano. Ho amato poche donne ma spero di aver lasciato loro qualcosa di unico. La solitudine comunque è stata la mia compagna di viaggio, troppo giovane per restare immobile a guardare l’acqua profonda, i pedalò argentei, le mucillagini bianche come il dolore. Ma non dimenticherò tutto questo, come non scorderò la mia libertà, in questo paese libero che è l’Italia, dove si può fare veramente quello che si vuole. Quanti muoiono inviperiti, verdi dalla rabbia e dal livore. Io devo tanto a tutti ma soprattutto ai miei genitori che hanno capito la mia essenza. “Wolfgang fa’ quello che vuoi, ciò che vuoi!” Il bambino dorato lasciò il posto ad un adolescente contrito, arrabbiato. Ma ho fatto tutto quello che volevo, ho scialacquato la mia arte, l’ho ripresa, fatto a pugni con Dio, perdonato da Lui. Ho avuto tanto. Anche adesso che giaccio in un letto odoroso di sudore, non smetterò mai di pensare alla mia vita passata, al sorriso triste di mia madre, alle Winston blu che fumava Bob, alle carezze di Yvette senza tette. Addio al mondo, al mio Don Giovanni che presumo resterà nei secoli, come tutte quelle opere che ho scritto. Anche quest’ultima non ancora terminata. Muoio felice, la libertà non mi ha mai abbandonato e spero che faccia la stessa cosa con voi, che vi resti appiccicata fino alla fine, come un bacio, una carezza, il piede dolce di vostro padre appoggiato sulla spalla. Un caro saluto dal vostro Wolfgang Amadeus e che la sorte sia benigna con voi uomini che restate ancora in questo sogno.
Ettore Bonato
©
Ettore Bonato
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