Una sagoma agghiacciante. Dentro al finestrino. Il riflesso. Il maledetto riflesso. La sagoma piatta e oblunga della mia testa, attraverso la quale scorre il paesaggio come una serie di strisce colorate. Tranciata dal paesaggio in corsa.
E’ una parte di me, eppure non la riconosco. E’ come se non facesse parte del paesaggio. Del paesaggio umano. E ha la forma della mia famiglia. Diecine di teste tutte uguali. Niente di strano, è genetica. Ma è anche questo marchio di famiglia che non sopporto. Come fai ad allontanarti da qualcuno che è uguale a te?
Eppure il treno corre, corre lontano. E questa testa che mi insegue nel paesaggio in movimento. Vorrei poterla mettere dentro una valigia, abbandonarla in una qualsiasi stazione. Che potesse diventare un oggetto smarrito. Nessuno la reclamerebbe, nessuno la vorrebbe mai. A nessuno verrebbe in mente di rubarla. Chissà se quando sarò morto si sgonfierà?
Il treno rallenta. Il paesaggio diventa sempre più chiaro, e per un istante mi distraggo dal riflesso della mia testa.
Il treno si ferma. Capolinea. Sono arrivato, dopotutto. E sono arrivato lontano…