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La visita
di Alessio Iarrera
Pubblicato su SITO


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– Ciao, mamma.
La donna sì voltò verso la porta che dava al salotto. Era intenta a stirare una camicia sull’asse. Il ferro da stiro mandava vapore e i suoi occhi erano umidi.
– Oh, amore mio, sei tornato.
Il ragazzo era comparso improvvisamente sulla soglia e la mamma non l’aveva sentito entrare dal portone d’ingresso. Era davanti a lei e la guardava. Il suo figliolo di vent’anni, un uomo ormai. Era tornato a casa dopo aver passato tutta la notte a far baldoria con gli amici. Qualche volta la mamma diceva che rincasava sempre troppo tardi ma quella era una festa speciale. Luigina, la migliore amica del ragazzo, aveva deciso di trasferirsi in America con la famiglia e sarebbero partiti la settimana dopo.
– Vuoi una tazza di latte?
– Ho già fatto colazione, mamma – rispose il figlio con un sorriso pieno di letizia.
– Oh bello – diceva la mamma – Quanto sei bello. Però ti vedo stanco, sai. Perché non vai in camera tua a dormire?
Il figlio avanzò in mezzo la stanza tirandosi dietro i piedi. Sembrava che troppo faticoso fosse quel movimento. Perfino a togliersi il giaccone faceva fatica.
– Cos’hai amore, non ti senti bene?
Il ragazzo nulla disse ma riprese a muoversi a piccoli passi verso una sedia del soggiorno. Si sedette e trovò un po’ di sollievo. La mamma lo guardava rapita eppure c’era qualcosa in lui che la preoccupava. Suo figlio era sempre stato un ragazzo molto attivo. Giocava a calcetto e nuotava in piscina. Un atleta. Era un ragazzone biondo e molto carino ma ora la mamma si rendeva conto che era proprio bellissimo. Così pieno di luce e di buon profumo.
– Come sta Luigina?
– Oh bene, partirà per gli Stati Uniti mercoledì – rispose il giovanotto.
Accidenti, ma come aveva potuto fare un figlio così bello? Pensava la mamma. Era normale che tutte le ragazzine della sua età ogni volta che il giovane passava per il viale sotto casa si voltassero a guardarlo e lei coglieva in quegli sguardi innocenti le prime passioni delle donne. Chissà quante di loro avrebbero desiderato essere le sue fidanzatine.
– Mamma?
– Sì, creatura?
– Ti voglio bene, mamma. Voglio bene anche a papà e voglio che tu glielo dica. Siete sempre stati così buoni con me – il figlio abbassò la testa cercando di non far vedere la sua inquietudine, come se quel discorso fosse per lui piuttosto doloroso. I suoi capelli erano così lucenti che la mamma per un attimo temette di rimanere accecata da quel bagliore.
– Sarai tu a dire queste dolci parole al babbo. Tornerà tra poco, è andato in pasticceria a comprare una torta per te.
Il figlio ebbe un movimento istintivo e la testa tornò a chinarsi. Pareva che il ragazzo evitasse di guardare la madre come se la temesse. Le poche volte che incontrava lo sguardo della donna teneva il viso chino da un lato e un sorriso bellissimo sbucava da tutta quella luce.
– Amore mio, perché non mi dici cosa ti succede?
– No, non ho niente mamma – rispose il ragazzo con un sussurro – Sto bene, sono solo stanco.
– Allora vieni che ti accompagno nella tua cameretta, così potrai dormire.
La donna gli s’avvicinò e lo aiutò ad alzarsi dalla sedia. Un profumo molto forte le fece quasi perdere i sensi. Pareva l’odore di un campo fiorito, l’odore di un bosco di tigli.
– Vieni.
La madre lo portò verso la rampa che immetteva al piano superiore. Il ragazzo salì le scale con lentezza. Al sesto gradino per riprendere fiato si fermò. La mamma era dietro di lui. Che strano, pensava. Quei movimenti lentissimi. Quel modo di trascinare i piedi. E poi quella luce così forte. Se riposava forse quella stanchezza andava via. Forse ritornava a essere il ragazzo scattante e atletico che aveva sempre conosciuto.
Si avvicinarono alla porta della cameretta. La mamma l’aprì e lasciò passare il giovane. Era una stanza piccola e sobria. Qualche libro di scuola sullo scaffale e il poster della squadra del cuore alla parete.
– Guarda mamma, non è bello?
– Cosa, gioia mia?
Il figlio indicò alla madre un crocifisso di legno appeso al muro sopra la spalliera del letto. Un intaglio su un tronchetto di quercia fatto da mani esperte. La mamma pensò al povero fratello defunto che prima di morire le regalò la reliquia con la preghiera di metterla nella stanza del nipote.
– Dovrò ringraziare lo zio per quel regalo, mamma.
La donna non capì ma tornò a guardare il crocifisso. Immobile sulla parete e con le braccia aperte come se volesse abbracciarli entrambi. Il figlio entrò nella cameretta e si sedette sul letto. La madre sospirò.
– Avevi ragione, mamma. Ho proprio bisogno di riposare un po’.
Il figlio sorrise e fu come se una ventata di bagliori attraversasse il suo volto.
– Dai vieni qui che ti do un bacio.
La madre non riuscì a trattenere una lacrima. Si avvicinò e la sua testa grigia si perse in quella luce. Il figlio la baciò e lei sentì un tocco delicato sulle gote e un profumo di rose attorno al capo del giovanotto come se l’avesse cinto d’una ghirlanda.
– Ti voglio bene amore mio.
Quelle parole uscirono dalla bocca della donna con un sussurro mentre la luce le avvolgeva il corpo in un abbraccio di calore. Il figlio sorrise poi abbassò gli occhi.
La madre uscì dalla stanza in punta di piedi e si preoccupò di chiudere la porta. Voleva che nessuno disturbasse il suo ragazzo e sperò in cuor suo che il riposo cancellasse per sempre quella stanchezza. Tornò a domandarsi mentre caricava un’altra camicia sull’asse da stiro del motivo di tanta strana apatia per la giovane età del figlio. Cercò di non pensare a un possibile abuso di droga alla festa della notte precedente e scacciò con fastidio l’idea; Luigina era una ragazza per bene. E poi suo figlio non avrebbe mai fatto uso di stupefacenti. Restava sempre l’alcool ma anche quel pensiero fu cancellato dai vapori del ferro da stiro. E allora? Forse erano andati in una discoteca e avevano conosciuto dei balordi che li avevano drogati. Impossibile! Comunque la mamma decise che appena il ragazzo si sarebbe rimesso in forze l’avrebbe interrogato sulla notte trascorsa in compagnia degli amici.
Stava pensando a quelle cose quando sentì suonare il campanello della porta. Abbandonò il lavoro di stiratura per andare ad aprire.
Un carabiniere era davanti all’ingresso. Alto e fiero, doveva avere circa ventiquattro anni. Indossava l’uniforme di ordinanza ma teneva il berretto con la fiamma in una mano.
– Signora Righi? – chiese il carabiniere.
– Sì – rispose la mamma.
– Buongiorno, signora. Purtroppo devo darle una brutta notizia. Suo figlio Roberto è morto questa mattina in un incidente sulla statale e se vuole venire con me…
– NO! – gridò la mamma e afferrò il braccio del carabiniere per sostenersi – Mio figlio è qui.
– Non è possibile, signora – disse il carabiniere restando sulla porta – L’abbiamo riconosciuto dalla patente e abbiamo già trasferito la salma all’obitorio… purtroppo è deceduto sul colpo…
– La prego! – gridava la mamma – Venga a vedere, la prego!
Trascinò il carabiniere all’interno della casa e continuò a stringergli il braccio con il tremore nella mano. Costrinse il giovane a seguirla lungo le scale che portavano alla cameretta del figlio. E allora la mamma capì. Capì ma non voleva crederci. Non voleva credere a quella stanchezza. A quel modo di camminare trascinando i piedi. A quella sofferenza che il figlio aveva negli occhi mentre le diceva che le voleva bene e che avrebbe dovuto dirlo anche al padre. Le lacrime iniziarono a sgorgarle copiose mentre a voce rotta gridava: no, no, no.
La madre si fermò davanti alla porta della stanza del ragazzo mentre il carabiniere si portò la mano alla pistola chiusa nella fondina.
La mamma spalancò la porta della cameretta. La stanza era vuota. Un penetrante profumo di fiori veniva dall’interno come una primavera a solleticare le loro narici.
Sulla parete, sopra il letto, c’era il crocifisso di legno.
E brillava, brillava, brillava.

© Alessio Iarrera





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(2) CATER di Alessio Iarrera - RACCONTO
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