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a Luciano
e a Raymond Carver
Era tardo pomeriggio.
Mentre lavavo i piatti ho visto un forte bagliore provenire dal corridoio.
Pensavo si fosse semplicemente fulminata una lampadina, invece era saltato l’interruttore del salva vita. Ho pensato che fosse colpa dell’umidità; Londra è una città parecchio umida.
Ho preso uno sgabello dalla cucina, ci sono salito sopra e ho riposizionato l’interruttore su ON.
Ma niente, le luci non si accendevano ancora.
Dopo aver fatto un controllo più accurato, mi sono accorto che si era bruciato un fusibile nel quadro principale, detto anche scatola dei frutti.
So che si chiama così, perché ho un amico che fa l’elettricista.
Non avendo un fusibile di scorta, ho lasciato tutto così com’era e sono tornato a lavare i piatti.
Appena ho finito, sono andato in bagno a lavarmi le mani, perché il detersivo dei piatti mi secca la pelle.
Ad un certo punto, ho sentito una goccia d’acqua che mi pioveva sulla testa.
Non ho fatto neanche in tempo ad alzare lo sguardo, che: “Tac”, un'altra goccia.
Guardando attentamente il soffitto, mi sono reso conto che la goccia d’acqua veniva esattamente dalla lampadina.
Era come se l’acqua avesse preso come buco di scarico, il foro in cui era incastrato il porta lampada.
In un secondo ho capito perché era scattato l’interruttore salva vita.
Probabilmente quelli del piano di sopra avevano una perdita nelle tubature, o più verosimilmente si erano dimenticati un rubinetto aperto.
Mi sono dovuto organizzare.
Ho preso un secchio e lo stesso sgabello che avevo utilizzato in precedenza, per raggiungere l’interruttore del salva vita.
Poi ho tirato fuori del bagno tutto quello che c’era.
Ho posizionato secchio e sgabello esattamente sotto la goccia e sono rimasto a guardare lo stillicidio per un po’.
Ad un certo punto mi è venuto in mente che dovevo avvisare quelli del piano di sopra.
Volevo bussare alla loro porta, ma io sono un tipo piuttosto riservato.
Allora gli ho scritto un biglietto.
Prima però l’ho scritto in brutta, perché io sono un tipo piuttosto preciso.
Il messaggio diceva:
“I have a leak in the ceiling (bathroom),
please check your basin, toilet, ecc.
Thank You
Your neigbour”
Quando ho scritto neigbour, mi sono dimenticato la H, così l’ho aggiunta dopo, con il risultato che l’ultima parola del messaggio risultava un po’ pasticciata.
Per scrivere tutte queste parole in inglese, ho usato il dizionario, perché io l’inglese proprio non lo so. Comunque, ho preso il messaggio e l’ho infilato nella loro porta, sfruttando la feritoia della posta. Quando sono rientrato in casa, il telefono ha iniziato a squillare.
Dopo un po’ ho risposto.
Era la mia ragazza. Voleva sapere come andavano le cose.
Io le ho fatto una tragica cronistoria. Le ho detto che avremmo passato la serata al buio, ma ho concluso la telefonata sussurrandole I love you.
Appena ho messo giù la cornetta ho sentito un rumore di chiavi.
Quelli del piano di sopra dovevano essere arrivati.
Io, ho iniziato a muovermi come un gatto.
Mi spostavo da una stanza all’altra senza fare il benchè minimo rumore.
Volevo fingere che nell’appartamento non ci fosse nessuno.
Volevo che la seccatura dei rapporti diplomatici la sbrigasse la mia ragazza.
Volevo evitare di parlare in inglese.
Ad un certo punto il telefono è squillato ancora.
Non avevo idea di chi potesse essere ed ho risposto con un certo terrore.
Fortunatamente era mia sorella Susanna.
Mi ha chiamato per dirmi che mio zio, il fratello di mia madre, era morto.
Io le ho raccontato dell’acqua che mi pioveva dal soffitto, del salva vita che era scattato e via discorrendo.
Insomma, ho rifatto la tragica cronistoria.
Mia sorella Susanna mi ha detto che mio cugino, aveva rinvenuto il cadavere di mio zio nel suo appartamento di Milano.
Io le ho detto che ero preoccupato per la faccenda dell’acqua.
Lei mi ha detto se volevo fare un telegramma.
Quando ha iniziato a dettarmi il nuovo indirizzo di mio cugino,
io le ho detto: “Ma hai capito o no, che sono al buio?”
©
Gianluigi Scelsa
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