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OMBRE
In quella stanza vuota, immensa, due ombre danzano al suono di flauti infernali.
Danzano e sembrano volare, i loro passi ricadono leggeri sul pavimento e sulla polvere del tempo. Eterei, eterni, immortali.
Lei, in un vestito rosso come il sangue dei martiri, negli occhi un dolore antico. Aveva perso un figlio, in una sera di settembre, se ne era andato dietro un lampo ed un fragore che avevano squarciato la notte. Era stato ucciso per amore.
Lui, in uniforme, elegante, deciso. Nella fondina la pistola e negli occhi un altro dolore. Anch’egli aveva amato e per amore ucciso.
E si accendono mille candele, gli stoppini bruciano, le luci calde e fioche allungano le ombre e i sospiri le fanno tremare. Si spande nell’aria l’odore della cera e i fumi si alzano ,come in una Cattedrale, fino al soffitto, fino al cielo, fino a Dio.
Lui la guarda. Lei sorride.
Lui si volta. Lei gli corre dietro. Gli afferra le spalle e sussurra qualcosa.
Lui la scaccia.
S’interrompe la musica. Lui si gira. La fissa, l’abbraccia.
E riparte l’orchestra. Violenta, impetuosa, immorale. La musica li rapisce.
Lui la bacia. Lei sorride.
E si tengono per gli occhi, sospesi fra la rivelazione e la follia.
Lui bestemmia e svuota la coppa di vino che stringe fra le mani. Dolce veleno, gli brucia gli intestini.
Si alzano nenie dimenticate, orgiastiche, oscene e cantano a squarciagola accompagnati da invisibili menestrelli.
E negli occhi si scioglie il dolore fra le lacrime amare.
“Ritorno a sperare.” Lei bisbiglia.
“Sperare in che cosa?”
“Che mio figlio ti accetti.”
“Io non sono suo padre.”
“Ma ci amiamo. Capirŕ. Serve tempo.”
“Io non posso aspettare.”
La musica incalza. L’orchestra si esalta.
L’orologio batte il tempo, lento come un’attesa.
“Io esco.” Dice lui stringendo con la mano la fondina.
“Dove vai?”
“In giardino.”
“Vengo anch’io.”
“No! Ho bisogno di stare solo.”
“C’č mio figlio in giardino.”
“Allora?”
“Allora vai.” E lo bacia sulla fronte.
Era settembre ed un lampo ed un fragore squarciavano la notte.
©
Gianpaolo Serone
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