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Mi duole la mano destra! Eppure, nonostante il dolore, dovrei essere felice. In fin dei conti ho stabilito il record di zapping! Oltre cinquecento cambi di canale in meno di un minuto! Ammetto che l’assenza di un giudice di gara spaparanzato nel divano del mio soggiorno cronometro alla mano impedisca al sottocritto di finire dritto dritto nel Librone dei primati, ma state pur certi che il record l’ho battuto di sicuro! E alla grande, per giunta! Però la mano mi duole. Questione di preparazione, di allenamento: se continuo così fra nemmeno una settimana avrò le falangi talmente allenate che non ci farò più caso. E magari batto anche il mio record personale! Non credo che fissare una televisione mentre i canali si alternano alla velocità di un nano secondo sia una cosa didascalica. Di sicuro, non è salubre per gli occhi. Infatti, quando mi abbandono allo zapping selvaggio smetto di guardare lo schermo. Non è vero! Forse un po’ sbircio, ma di sottocchio, con atteggiamento indifferente. Faccio finta di pensare ad altro ed intanto registro i lampi che il video mi rimanda di sbieco ad ogni cambio di canale. Basta ho deciso: esco! Non sono proprio in forma, lo ammetto. Come mi sento? Mi viene solo un termine che potrebbe fare al mio caso attuale: sono “di tedio ammaccato”! Ma guarda un po’! chi lo avrebbe detto. Oggi mi sento anche poeta. Vi assicuro che dopo un’ora di zapping sentirsi un poeta è davvero cosa da giganti della improvvisata! Ma si! Chi se ne frega! Per una volta che trovo un qualcosa che forse si rivelerà divertente e che, magari!, mi renderà la prossima mezz’ora meno insopportabile di quella che poi arriverà! Per i prossimi trenta minuti penserò e ragionerò da verseggiatore. Per bestemmiare c’è sempre tempo! E così deduco che se sono davvero “di tedio ammaccato” vorrà dire che “in lividi esco” e che “e nel centro, del centro, del nulla mi mostro”. Però!? Meglio che una sassata sui denti! Cammino e la luce opaca che le grosse nubi d’ombra temporalesca rimandano sulla città mi appare meno insopportabile di quanto già per me lo sia. Odio la luce di rimando e tutto ciò che brilla di luce riflessa! Comunque, anche se malmesso, arrivo nel centro e qui “bisbigli e sbadigli sbadato intercetto. Tra portici ed angoli annuso il già detto”. Frasi fatte? Probabile! Ma di frasi ultimamente ne scrivo poche: troppo mal di testa! e poi meglio frasi fatte che sfatte! E meglio frasi fatte che niente! Se continuo di questo passo (intendo con la poesia, mica con l’incedere che, anzi, è alquanto insicuro) tra una settimana mi comprerò un quaderno a quadretti (piccoli, i grandi non li reggo!) ed inizierò a trascrivere questi miei pensieri in versi. Roba da non crederci! Ma è tutta questione di allenamento, di applicazione: ormai l’ho capito! Attraverso la piazza di gran carriera, mani in tasca e sguardo fintamente distratto. Ed eccomi qua, mentre scopro quanto sia intrigante giocare con le parole, con gli accostamenti lessicali. Quanto sublime sia il trasformare i sentimenti o semplicemente il passare del tempo quotidiano in versi, in frasi, in pennellate di propria suggestione. Va a finire che riprendo in mano quei quattro libri di poesia che acquistai al tempo delle superiori solo per rimorchiare la Sara.
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Amava tutto ciò che era poesia e si infatuava anche dei poeti già morti, trapassati! Il cuore mi ha trapassato, altro che storie e rime! Allontanato da lei per sempre e per sempre condannato a vivere tra le baraccopoli di tristezza ammassate confusamente ai margini della sua vita. Ammetto che per un pò trovai la vita di laggiù perfino affascinante, malinconicamente piacevole. Ero talmente preso da me stesso e dalle mie pene d'amor perduto che mi sentivo tale e quale ad uno di quei poeti sorvolati e trascurati per l’intera loro esistenza, miseri ubriaconi soli ed abbandonati con le loro ingiallite pagine di scarabocchi in prosa a fargli da coperta per ripararsi dalle raffiche pungenti della vita e di cuori gelidi come inverni. Era durata poco, tuttavia! Alla fine cominciava ad essere noioso ed io di lasciare 'sto mondo per la Sara non ci pensavo nemmeno! Ce n'è talmente tanta di gente in giro! Già: la gente, la folla, il mondo che ti vive accanto anche se quelli lì non li hai scelti tu: “Io, sotto il fuoco dei dirimpettai: sguardi bugiardi come siluri dai muri schivo d’istinto e distinto costeggio”. Andiamo avanti: mi sto proprio divertendo. A quanto pare anche il clima! Infatti “un cielo, dal cielo, mi diluvia addosso chili di gocce goccianti e ripiene di rumoroso liquidio” Tiè! Alla faccia di quello che ancora mi sbircia dalla finestra socchiusa di quel condominio penitenziario. Disgraziatamente l’inclinazione umorale è un marchio che c’hanno affibbiato tra le nuvole prima di comparsare su questo pazzo rozzo e sozzo mondo. E la mia è pateticamente, insanabilmente malinconica ed inquieta. Dovrei dire “triste” ma suona troppo brutto, ti butta giù più di quello che meriti, è eccessiva, quasi maniacale mancanza di autostima. Intanto l’animo del poeta struggentemente infelice affiora sotto il diluvio e la vita che vorresti diversa: “Squadro, invidioso, rigagnoli irrequieti e smaniosi d’acqua appena precipitata:esili filamenti ancora, lungo l’asfalto di questa catramosa città” Penso al finale. Deve essere di effetto, o almeno mi auguro che qualche effetto lo faccia su di me: la speranza è l’ultima a morire! “A breve, fiumi straripanti in fragorosa rincorsa verso il mare interminabile”. Ampollosa, forse, magari retorica, ma in questo momento penso sia giusto così! Che ne dite? Voi non so, ma muoio dalla curiosità di sentire il commento di Bicio. Lo raggiungo al solito Bar Italia mentre adocchia con fare stordito un tressette lanciando qua e là qualche ruggito gutturale di disapprovazione per alcune giocate (come dice lui) da pataca! “Ciao Bicio!” - gli dico sedendomi accanto a lui. Fuori continuano le raffiche iraconde di tramontana piovigginosa e gelata – “Senti questa: l’ho elaborata per strada, mentre venivo qui: ”Fiumi straripanti in fragorosa rincorsa verso il mare interminabile” - come ti sembra?” Si alza a fatica dalla sedia e sposta la Gazzetta quasi appiccicata al suo sedere, stropicciata come la sua giacca di velluto. Tira su le braghe e senza nemmeno guardarmi - mentre accenna con le dita alla barista il solito Bitter della mezza - mi dice: “Lapa, la va par tè, ch'tan fè un caz!”
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Alessandro Cancian
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