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Tutto principiò da un equivoco. Sulla prima pagina di un giornale a tiratura nazionale comparve un articolo dal titolo: La mafia è una religione non confessata e senza idoli. Dai dibattiti che ne seguirono lungo tutto lo stivale emerse l’assenza dell'organico di insegnanti della nuova religione. E quindi, se fino a quel momento nessuno si era preoccupato di creare tale organico, era logico pensare che la mafia ben poteva essere una religione, ma certamente non era religione di Stato. C'era invero la teoria della palma, adombrata da un famoso scrittore, secondo la quale questa mafia attanagliata in principio solo al piede dello stivale, saliva, saliva; ma quando tempo ci avrebbe messo per arrivare alla rotula? Secondo questa teoria, infatti, la coltivazione delle palme si sarebbe spostata sempre più a nord a causa della desertificazione di territori che prima non lo erano, ma era un processo lentissimo. Se anche la mafia avesse seguito questo processo avrebbe impiegato secoli per completare l'opera di conversione dell'intera popolazione. E in fondo non sarebbe stata una cosa assurda se si pensa che anche altre religioni, ben più aderenti all'animo umano, avevano impiegato tempi analoghi per diffondersi. Ma non si poteva attendere così tanto, bisognava accelerarne il processo magari con una massiva campagna mediatica. Dopo le prime timide prese di posizione di alcuni giornali locali, anche quelli a tiratura nazionale si fecero partecipi del nuovo credo ospitando articoli di filosofi e filologi, i primi a testimoniarne gli effettivi vantaggi sull'uomo, i secondi a rimarcarne la coerenza con certi testi antichi dei quali si riportavano diversi brani a mo' d'esempio e testimonianza. In quasi tutti questi articoli veniva presa di mira la scuola e soprattutto la scuola dell’obbligo, la quale non poteva più limitarsi solo a insegnare a leggere e scrivere, compito che a onor del vero svolgeva egregiamente, perché in questo modo si perdeva la grande occasione di formare le coscienze, di inculcare il senso dello “Stato nello Stato” e il rispetto delle sue leggi. Si perdeva anche l’occasione di dare agli studenti gli strumenti per conoscere e capire il mondo in cui vivevano, l’intorno che li farà adulti. I primi dieci anni di vita portano già in sé l’uomo, e a questo piccolo uomo si potrebbero dare i mezzi culturali idonei ad affrontare con senso critico la società che li ospiterà domani. Un esempio su tutti. Nel piede dello stivale gli adolescenti vivono in mezzo alla mafia, però non sanno cos’è, non la vedono, non la riconoscono. Eppure la mafia è già sopra di loro, li aspetta al varco quando, ormai adulti, li condurrà, ignoranti e inconsapevoli, dove vorrà. È mai possibile tutto ciò? è mai possibile che i nostri giovani debbano essere condotti in modo inconsapevole? se debbono essere condotti, che almeno siano consapevoli. E’ necessario quindi insegnare loro che la mafia è una dittatura non manifesta, un costume, un modo di essere, un modo di vivere, e che non è solo quella dei morti ammazzati o dei crimini riportati sui giornali. Questo è solo un modo per racchiuderla, per limitarla in quella sua manifestazione più appariscente, più comprensibile, che è solo la punta dell’iceberg, mentre il vero corpo è in ogni cittadino che non la conosce, che la ignora, e che perciò l’accetta e, inconsapevolmente, l’avalla. Lo Stato ha in mano lo strumento della scuola per farla conoscere al meglio, per divulgarla, formando un esercito di futuri uomini consapevoli, in grado di comprendere che è proprio il costume mafioso che genera occupazione, perché espande l’impreditorialità in ambiti prima impensabili, come ad esempio all'interno degli apparati pubblici, dove prima non c'era. Eppure lo Stato non utilizza questo strumento e chiede, ai cittadini sino a quattordici anni, e con la nuova riforma sino a sedici, che sappiano solo leggere e scrivere, e far di conto. Perché? Questo perché fu come un sasso gettato nello stagno. Non solo filosofi e filologi, ma anche gli scrittori, che fino a quel momento erano stati a guardare dalla finestra, si buttarono nella mischia prendendo posizioni spesso contrastanti tra di loro, e contribuendo ad aumentare i perché invece di dare una risposta univoca al primo. Nel frattempo giungevano segnali incoraggianti sia in merito al clima che più velocemente portava verso nord la desertificazione, e quindi anche la possibilità di coltivare le palme, in tempi brevi, anche al nord dello stivale, sia in merito alla mafia la quale, anticipando le palme, si stava diffondendo in quei territori da sempre culla di altro credo. Era però una diffusione maculata, ancora molto lontana dall'obiettivo finale che era la conversione, se non dell'intera popolazione, almeno di una cospicua maggioranza. Ecco perché si palesò subito la necessità di fare della scuola l'ambiente dove veicolare il nuovo credo. I presupposti c'erano tutti, c'erano i giovani inconsapevoli affamati di consapevolezze, e c'era il luogo dove erano costretti a soggiornare per un tempo non indifferente. Mancava solo la formazione dell'organico, e qui si scatenò l'uragano. Sulla necessità di un organico di insegnanti della nuova religione non ci furono molte divergenze, in fondo si stavano creando nuovi posti di lavoro. Ma quando si affrontò la parte economica ci furono persino quelli che si alzarono dal tavolo delle trattative andando via senza neppure salutare. Il punto più controverso era questo: chi pagava questi nuovi insegnanti? Prendendo come riferimento gli insegnanti di religione in essere, questi erano pagati dallo Stato e nominati dalla curia, quindi, secondo logica, anche in questo caso dovevano essere stipendiati dallo Stato. “Ma che scherziamo!” esclamò un sottosegretario “anche la mafia è uno Stato, quindi, in quanto Stato, si pagasse di tasca propria i propri divulgatori. Non può stare un giorno sul pero e un altro giorno sul melo a seconda della convenienza!” “Sono d'accordo anch'io” intervenne a dire un ministro senza portafoglio “la mafia è persino più ricca dello Stato, il nostro Stato intendo, e quindi è giocoforza che si faccia carico delle spese di finanziamento delle Partite di Stipendio. Tanto più che solo essa ne trarrà vantaggio da questa operazione”. Non l'avesse mai detto. “Trarne vantaggio!” tuonò un capobastone “il vantaggio è di tutta la società, perché quando finalmente verrà fatta chiarezza su ciò che noi rappresentiamo, quel giorno ognuno ci vedrà meglio. Voglio dire, vedrà meglio noi, cioè capirà che il diavolo non è poi così brutto di come si dipinge.” “Cosa c'entra il diavolo adesso!” esclamò un rappresentante della cupola “lascia parlare me che almeno sono istruito. Ed io dico questo: coi Patti Lateranensi vi siete accollati le spese degli insegnanti di religione, in quanto religione di Stato, non vedo perché per quest'altra religione di Stato, volete fare una discriminazione, discriminando una religione a vantaggio di un'altra. Questo, per me, è razzismo!” “Ma che facciamo adesso!” cominciò a dire un alto dirigente prevosto “ci mettiamo a discutere sul sesso degli angeli? Non abbiamo sempre, in passato, trovato soluzioni a problemi ben più scottanti di questo? E quindi, suvvia, non facciamo i bambini ché i grandi ci guardano... La mia proposta è di ratificare da subito un accordo ufficiale secondo il quale la mafia, in quanto Stato nello Stato, si accolla tutte le spese del nuovo organico di fatto e di diritto. In contemporanea si fa un altro accordo non ufficiale con il quale lo Stato garantisce alla mafia di rientrare per altre vie, che poi sono le solite vie, delle somme che si è testé accollata.”. “La proposta mi va bene ma ad una condizione” disse il ministro senza portafoglio “che alla ratifica ufficiale siano presenti organi di entrambi gli Stati, e in quella non ufficiale organi nominati da entrambi gli Stati, affinché in questa seconda ratifica gli Stati siano presenti e assenti nello stesso tempo. In tal guisa si lancia un messaggio equivoco a chi voglia equivocare in futuro.” L'accordo venne siglato insieme ad alcuni emendamenti che riportiamo a onor di cronaca. Il programma di insegnamento della nuova religione doveva essere ecumenico e quindi comprendere, oltre la mafia, anche la camorra, la ‘ndrangheta, la stidda, ed altre minori organizzazioni che ne avessero fatto richiesta, allegando una documentazione dettagliata sul territorio convertito, con le firme di almeno il dieci per cento dei soggetti convertiti; era anche richiesto di allegare tutti i certificati di esistenza in vita di detti soggetti. Questo procedimento farraginoso aveva lo scopo di scoraggiare altre associazioni dal proposito di conquistare alla loro causa, non solo coloro che non fossero già conquistati da altre cause, ma anche quelli che, pur conquistati da una causa, non ne avessero sentito la chiamata. Inoltre, nonostante fosse garantita la libertà di avvalersi o non avvalersi di detto insegnamento, si caldeggiava la scelta di avvalersi sempre, fornendo in appendice alcuni esempi sulle conseguenze per chi non si avvaleva. Apposte le firme l'alto dirigente prevosto fece notare una dimenticanza non di poco conto, disse infatti: “Che patti sono questi?” “In che senso!” esclamò come sbigottito un capomandamento. “Voglio dire: come li chiamiamo? In precedenza i Patti Lateranensi presero il nome del palazzo di San Giovanni in Laterano, che era il luogo dove vennero siglati. Noi qui invece sigliamo dei patti senza nome, anonimi; per cui non potranno neppure essere menzionati sui libri di storia. Senza contare il rischio che vengano recepiti come patti a sovranità limitata.” Compresa da tutti l'imprescindibile necessità di nominare i patti si aprì subito un dibattito per confrontare le varie proposte senza riuscire però a venirne a capo, in quanto ogni capomandamento voleva che si chiamassero col nome del proprio mandamento. Che fare? Fortunatamente c'era presente anche un barman, chiamato ad approvvigionare il conciliabolo di caffè, pasticcini e tarallucci, il quale con improntitudine disse: “Chiedo scusa alle Vostre Eccellenze, ma non ho potuto fare a meno di ascoltare quest'ultimo dibattito; secondo me la soluzione al vostro problema sta scritta nel dizionario”. “Spiegati meglio” disse distrattamente uno degli astanti, destandosi da un incipiente torpore. “Sul dizionario c'è scritto che la mafia è un'organizzazione criminale, quindi è logico chiamare questi patti, patti criminali”. Successe un pandemonio; alcuni si alzarono in piedi ad applaudire, uno andò a stringere la mano al barman, un altro, dopo averlo baciato alla sua maniera, gli disse: “Picciotto, da domani tu lavorerai per me, sei sprecato nel mestiere che fai!” Così per merito di un giovanotto da bar - ma la notizia fuori l'assise non trapelò - che nacquero i famosi Patti Criminali. Ma noi, prima di chiudere il resoconto, dobbiamo compendiare tutta la questione, perché la vicenda ebbe anche uno strascico, determinato dal fatto che il ministro della Pubblica Istruzione venne informato della sigla dei patti a cose fatte. Anche se la questione può sembrare strana ai profani non lo è per chi è addentro ai rapporti tra Stato e Stato nello Stato. Infatti, quando mai le cosche si erano interessate alla scuola? Solo in qualche rara occasione di cortei di studenti che manifestavano, per ignoranza, contro la mafia. Ma non avevano mai preso posizioni o decisioni in merito, considerandoli alla stregua di manifestazioni folcloristiche, che nascevano e morivano in ambito locale, senza alcuna ripercussione sugli affari dello Stato nello Stato. Anzi, ne scaturiva persino un beneficio sotto forma di pubblicità gratuita per effetto degli articoli sui giornali, dove è vero che si parlava bene delle manifestazioni studentesche e male delle cosche, ma è anche vero che vale il detto: parlane male, ma parlane. Per cui, la superficialità con cui avevano affrontato l'istituzione della nuova docenza di religione, era, se non da giustificare tout court, almeno da comprendere. Tanto più che con persone irascibili per natura è meglio essere comprensibili. È questo fu anche l'orientamento verso il quale volle orientarsi il ministro dell'Istruzione Pubblica e Privata. Costui, infatti, fu costretto a riunire con urgenza tutti i dirigenti prevosti e supposti tali, ai quali chiese di studiare a fondo il problema, risolverlo, e informarlo non più a cose fatte e neppure durante la gestazione, ma solo qualche istante dopo il parto della soluzione finale, perché lui aveva cose più importanti da disbrigare. Dopo alcune settimane di vagliatura dei dati a disposizione, emersero due o tre questioni che si presentarono, di primo acchito, insolubili. Per esempio, di uno Stato con due religioni di Stato, non si era mai avuto sentore. Ma non fu difficile appurare che in altri continenti c'erano alcuni Stati, come ad esempio l'India, che avevano diverse, quindi più di una, religioni di Stato. Fascicolato questo problema nella cartella dei soluti, si andò innanzi con scetticismo volterriano perché c'era da affrontare, e senza le solite circonlocuzioni, il punto più spinoso; che poi non era un punto ma addirittura una linea che andava dal luogo dove iniettare la nuova ora di religione all'interno dell'orario scolastico, al luogo dove involare quell'ora di lezione scalzata dalla prima. Sorvolando su alcune soluzioni speciose, ben presto accantonate, finalmente il capo dirigente prevosto si alzò in piedi e, con l'aria di chi ha tracannato un emetico, disse: “Io non ho il piede marino, non so ballare la tarantella su un pennone senza barcollare”. Gli altri presenti all'assise si guardarono attoniti, poi uno chiese: “Cosa c'entra la tarantella adesso?” “Ho come un mal di mare, mi viene quasi da vomitare!” rispose il capo dirigente prevosto. Un altro dei presenti sussurrò all'orecchio del suo vicino: “Forse ha bevuto un fiasco di troppo”. “Non puoi dare la neve a uno che ti chiede l'acqua calda!” disse ancora il capo dirigente prevosto. “Forse è un linguaggio in codice” disse un dirigente demansionato “però che codice è?” Insomma quel giorno non si venne a capo di nulla, anche perché il capo dirigente prevosto aveva veramente il mal di stomaco. Comunque, per farla breve, si trovò il modo, in una successiva seduta, di dirimere la questione e dichiarare chiuse le operazioni, non prima di avere ordinato, al bar del ministero, un paio di bottiglie di lacrima christi, al fine di affogare nel vino i dispiaceri di quella inquietante gestazione. Ed ecco ciò che venne profuso. Art. 1. E' istituito l'insegnamento di una nuova religione di Stato, in tutte le scuole di ogni ordine e grado, per un'ora settimanale all'interno dell'orario scolastico. Art. 2. La dichiarazione, stesa dagli studenti, di non avvalersi dell'insegnamento della vecchia religione è ipso facto anche dichiarazione di avvalersi della nuova religione (così non c'è più la necessità di inoculare una nuova ora di lezione all'interno dell'orario scolastico n.d.r.). Art.3. I requisiti utili all'insegnamento della nuova religione sono: a) la laurea in mafiologia, o equipollente, rilasciata da qualunque ateneo legalmente riconosciuto; b) fino a quattro anni successivi alla data di costituzione dei nuovi corsi di laurea in mafiologia è ammessa la laurea in mafiologia rilasciata da un qualunque ateneo illegalmente riconosciuto; c) la nomina degli aventi diritto all'insegnamento è demandata alla cupola competente per circoscrizione. A detta cupola è accollata la relativa spesa per le Partite di Stipendio, indennità di quiescenza e quanto altro pur se qui non specificato ma contemplato nel contratto nazionale del lavoro, sottoscritto, qui ora e sempre, dalle parti in causa, compresi gli aventi causa; d) è considerato titolo equipollente utile all'insegnamento, l'attestato di frequenza, non inferiore a quattro anni, presso un'associazione mafiosa, o accreditata come tale, con la mansione non inferiore a capomandamento; e) comma 1: è istituita la Classe di Concorso Lupara Calibro 16, con la dicitura per esteso Insegnamento della religione di stato (minuscolo), da indicare nei moduli da inviare per conoscenza a questo ministero; comma 2: fino a quando la mafia non avrà esteso la propria influenza sull’intero territorio nazionale, il sostantivo stato verrà scritto minuscolo e pronunciato maiuscolo; f) tutti i titoli di studio sopra menzionati, compresi gli equipollenti, sono abilitanti solo per l'insegnamento della nuova religione, per l'insegnamento di altre materie si fa riferimento ai corsi e ai concorsi delle rispettive Classi di Concorso. Art.4. Agli insegnanti di questa nuova religione è consentito lo svolgimento della libera professione, oltre l'orario di insegnamento, previa richiesta scritta al Dirigente Scolastico della loro sede di servizio, purché non rechi pregiudizio all'insegnamento, né sia pregiudizievole al decoro della mansione di docente svolta.
©
Pasquale Faseli
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