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- Sapete chi è il nemico numero uno delle network?
- L’uomo delle pulizie - e giù matte risate.
C’era sempre un idiota che tentava di distinguersi, in mezzo al capannello che si formava intorno alle macchinette del caffè. Ho sempre pensato che se per accattivarti la simpatia dei colleghi, ti riduci così in basso, devi aver proprio vissuto una vita infelice.
Cosa volete che vi dica: la mamma degli imbecilli è sempre incinta!
“Sapete perché un informatico non fa l’amore con la sua donna?”
“Perché non trova l’interruttore per accenderla!”
Lo so, non è una perla d’umorismo, ma uno di questi giorni giuro, questa battuta gliela faccio.
Quel Jackson mi perseguita da un anno. Quell’ingegnerino di primo pelo, con la zucca appoggiata sul colletto inamidato, mi ha preso di mira da quando è arrivato.
E’ un tipo presuntuoso e si da un sacco di arie; sembra proprio che il mondo giri solo grazie a lui.
Poi è facile dare la colpa agli altri.
Se un cavolo di computer al mattino non va, pensano sempre che io sia il responsabile.
Come se fossi un deficiente che non ha niente di meglio da fare, che andare in giro per l’azienda a staccare le spine dei calcolatori elettronici.
Perdonate il mio sfogo, ma odio profondamente le persone frustrate che se la prendono con i più deboli.
Ehi! Vi ho scaricato addosso tutti i miei tormenti e non mi sono nemmeno presentato.
Sono quel personaggio che vedete entrare nei vostri uffici, la sera, dopo le cinque.
Avete presente quell’omino silenzioso con il carrello ed il camice blu?
Vi svuoto i cestini. Vi pulisco le scrivanie, avendo cura di ridisporre tutto con lo stesso ordine, per evitare che al mattino qualcuno mi accusi di aver buttato via quel documento urgente, di cui avete un disperato bisogno. Comunque sono io che vi pulisco i servizi igienici, sono sempre io che vi sostituisco il rotolo della carta igienica ed io ancora quando aggiungo le salviette nel distributore.
Ma soprattutto ricordatevi che sono io, quando entro in bagno e vi trovo abbracciati alle vostre colleghe o alle vostre segretarie!
Per cui fatemi un favore, cercate di avere nei miei confronti un minimo di riguardo.
Cosa volete che vi dica: è un lavoro sporco, ma qualcuno deve pur farlo!
Prima di lavorare in questa società informatica, piena di supertecnici con la puzza sotto il naso, facevo le pulizie di notte nelle stazioni della metropolitana. Nel turno che andava dalle 24.00 alle 04.00 del mattino - con l’aiuto di un collega - riuscivo a far brillare le banchine di tre fermate del
Metrò. Tratteggiavamo una linea con il detersivo per la macchina lavapavimenti, e una volta che la banchina era divisa a metà, facevamo una sorta di gara per vedere chi finiva prima. Inutile dire che grazie alla mia esperienza, terminavo sempre con grande anticipo. A volte però non sapevo proprio cosa fare, così mi aggiravo nei dintorni delle panchine.
Una sera, abbassandomi sotto i sedili, mi accorsi che c’era qualcosa.
A prima vista sembrava un borsellino, purtroppo constatai che si trattava solamente di un libro.
Vi chiederete: “Che cosa se ne fa un uomo delle pulizie di un libro?”
Devo confessare che questa domanda me la sono posta anch’io.
Probabilmente uno come me, lo mette sotto alla gamba del tavolo; quella che balla, per intenderci.
Voi comunque fatevi i fattacci vostri!
La copertina del volume era completamente spiegazzata; quel libro doveva essere stato smarrito da qualcuno, che l’aveva riletto parecchie volte.
Si trattava del racconto di Sepulveda: “Il vecchio che leggeva i romanzi d’amore”.
Mentre aspettavo che il mio compagno finisse di pulire la banchina, iniziai a leggere e da allora non ho più smesso.
Avete presente la parte in cui il vecchio Josè Bolivar si ritrova nella biblioteca della scuola, e può finalmente scegliere le sue letture preferite? No? Leggetevelo allora!
Fino a quel momento ero convinto che la letteratura fosse stata inventata solo per gli intellettuali.
Mi sono mangiato le mani pensando a tutto quello che mi sono perso.
Dostoevskij, Flaubert, Gogol, spero che non sia troppo tardi, quando andrò in pensione voglio leggermeli tutti.
Da quando mi sono appassionato alla letteratura, mi sono accorto che certe persone sono predestinate al successo.
Questa affermazione può sembrare banale, ma a volte la banalità è sincera.
Basta guardarsi intorno, leggi la biografia di qualsiasi scrittore e scopri che per qualche individuo, tutto è già stato pianificato. A volte sembra che gli ostacoli posti sul cammino di certe persone, siano stati messi lì apposta, semplicemente per rendere più avventurosa la loro ascesa.
Per questo spesso mi domando quale sarà il mio destino.
Lavoro nelle imprese di pulizie da vent’anni. Ho visto la denominazione della mia società cambiare decine di volte. I nomi spaziavano dai telefilm di fantascienza tipo: “Cleaning Enterprise”, a nomi terra terra tipo: “Coccia & figli Impresa di pulizie”. Per me, cambia solo il nome sulla busta paga. Per quanto riguarda il resto, non fa alcuna differenza.
In questi anni ho fatto in tempo anche a mettere su famiglia.
Nicol e David hanno rispettivamente 20 e 16 anni.
Sono veramente fiero di loro, anche se non fanno nulla per meritarsi tutto il mio orgoglio.
No, scherzo!
Nicol è una bellissima morettona, con gli occhi verdi.
Ha una bellezza mozzafiato. Sembra una di quelle ragazze dallo sguardo ammaliante, che ti guardano dai cartelloni pubblicitari.
Devo ammettere che l’avvenenza di cui vado molto fiero, si è rivelata una dote piuttosto ingombrante. Quando Nicol frequentava le scuole medie, aveva già terminato lo sviluppo; era alta un metro e settanta e mostrava molti più anni di quanti ne avesse in realtà.
All’età di 13 anni aveva uno sguardo ammiccante, che faceva imbestialire i professori.
Probabilmente Nicol risvegliava gli istinti descritti nella Lolita di Nabokov.
I suoi insegnanti la tenevano sotto torchio. Le rendevano la vita impossibile.
Per esempio, controllavano con precisione svizzera i suoi orari, punendola ad ogni minima infrazione. Pur di romperle le scatole, ogni volta in cui Nicol si assentava da scuola, telefonavano al sottoscritto.
I suoi professori criticavano anche il suo modo di vestire. Affermavano che il suo abbigliamento era più simile ad una donna di facili costumi, che a quello di una studentessa delle scuole medie.
Alla fine del terzo anno, questi illustri docenti, le consigliarono di frequentare una scuola professionale.
Gli insegnanti dissero che con la cura che Nicol manifestava per il proprio maquillage, avrebbe potuto fare la truccatrice o addirittura la parrucchiera.
“In fondo è un mestiere come un altro” commentarono.
Quando andai a ritirare il diploma di scuola media, mi riportarono queste parole con un tono così altezzoso, da indurmi un conato di vomito.
Sono queste le persone alle quali affidiamo i nostri figli.
Sono queste le persone che condizionano il futuro dei nostri ragazzi. Altro che 1984 di Orwell! Comunque, dopo aver pianificato con Nicol il suo futuro scolastico, optammo per la Scuola Alberghiera.
Nicol non voleva diventare una cuoca, l’obiettivo che si era prefissata era diventare una barista!
Devo dire che all’inizio stortai un po’ il naso. Ero disturbato dall’immagine di mia figlia, dietro al bancone di un bar. Mi sembrava un mestiere poco gratificante. Tuttavia, vedendo che quella scelta la entusiasmava, decisi di non condizionarla.
Chissà perché noi genitori sognamo per i nostri figli un futuro da astronauti!
Nicol aveva un talento innato nel preparare misture… ehm scusate, volevo dire cocktail.
Quando era a casa, con la scusa di esercitarsi, mi preparava parecchi drink e un paio di volte mi ha fatto anche ubriacare.
Quel tipo di scuola le piaceva parecchio. Il programma settimanale prevedeva diverse ore di laboratorio e Nicol è una ragazza che ama la pratica. Durante le esercitazioni doveva indossare la divisa da barman. Nessuno fece obiezioni quando si accorsero che la sua gonna, era più corta di quella prevista dal regolamento. Nicol era una ragazza che poteva permetterselo.
Dopo tre anni di scuola (portati a termine senza alcuna fatica), e dopo aver conseguito il relativo attestato, tentai Nicol con la proposta di proseguire gli studi fino alla maturità. Per farlo,
dovetti ricorrere alla corruzione. Usai l’espediente che ogni genitore utilizza, per incentivare allo studio i propri figli, così le dissi: “SE-PROSEGUI-A-STUDIARE-TI-COMPRO-IL-MOTORINO”.
La proposta fu bocciata da Nicol. A lei dell’intrinseco significato di libertà ed indipendenza, espresso dalle due ruote, non importava un fico secco.
Così Nicol ha cominciato a lavorare. Tre anni fa ha trovato un posto in un Pub, dove svolge la funzione di: barista, cameriera, cuoca e per mantenere viva la tradizione di famiglia, lava anche i pavimenti.
David, il mio primogenito maschio (perdonate la mia fierezza), ha iniziato quest’anno la terza superiore. E’ un bel ragazzotto di 16 anni, ma questo l’ho già detto. Anche lui ha avuto un rapido sviluppo, tant’evvero che attualmente gioca in una delle squadre di basket più quotate della città.
David ha un’intelligenza tagliente; certe volte le sue considerazioni mi sembrano affilate come la lama di un rasoio.
Mio figlio è un accanito lettore, ha fatto fuori il romanzo più famoso di Tolkien, in 10 giorni secchi. Non è male per un ragazzo che ha pianificato ogni minuto della giornata.
David analizza tutto ciò che gli accade intorno, con una meticolosità sviscerata.
E guardate che non sto esagerando.
Certe volte mi rivela le sue osservazioni.
Una volta, per esempio, mi ha detto che se una persona durante una conversazione si tocca il naso, vuol dire che sta mentendo. Non so come faccia a sapere queste cose, devo chiedergli qualche consiglio per rinverdire le mie letture.
Mio figlio poi, si schiera sempre dalla parte dei più deboli. David è un individuo che non tollera l’ingiustizia e la prevaricazione. Mi dice sempre che sarebbe disposto a farsi sparare, piuttosto che farsi mettere i piedi in testa da qualcuno. Certe volte lo ammiro: ha tutta quella passione in corpo.
Sembra che il desiderio di cambiare questo mondo trasudi dalla sua pelle. Se guardo David con gli
occhi di un genitore, la sua determinazione mi spaventa un po’. Al giorno d’oggi c’è gente disposta a schiacciarti come una formica, se ti ribelli a questo schifo di sistema.
Facendo un discorso da uomo a uomo, spero che mantenga intatta la sua passione. Non vorrei mai che - un giorno o l’altro - finisse col cedere alle lusinghe del potere.
Questo lo dico solo per farvi capire da che parte sto!
Comunque, adesso David ha solo 16 anni, per cui è meglio non pensarci. Ho altri progetti per lui. Spero che diventi un buon ingegnere. Si, ma mica come quelli della società informatica dove lavoro. A quelli non farei progettare neanche l’asse del cesso di casa mia.
Adesso però, concedetemi un attimo di pausa. No, non devo andare a prendere un altro caffè. Volevo fermarmi un attimo per ringraziare pubblicamente Madre Natura, per aver fatto prevalere i cromosomi di mia moglie Isabel, nella dura battaglia per la selezione naturale.
Fortunatamente Nicol e David, hanno preso tutto dalla mamma.
Dico fortunamente, perché non è facile incontrare una donna come Isabel.
Purtroppo se n’è andata 6 anni fa.
No, Isabel non è morta. Cristo Santo non è possibile che riusciate ad immaginare solo delle tragedie!
Una mattina di 6 anni fa Isabel si è svegliata e mi ha detto:
- Alexander, non ti amo più!
Il nostro amore era finito da tempo, ma ci voleva il suo coraggio per riuscire a dirselo, guardandosi negli occhi. Ci siamo lasciati senza rancori. Ogni volta in cui penso a lei, mi vengono in mente solo cose piacevoli.
A proposito di cose piacevoli…
Non ci crederete, ma in mezzo a quel nuvolo di plurilaureati che non sarebbero in grado di fare la O con un bicchiere, sono riuscito a beccare un tizio che mi piaceva.
No, No, non dovete pensare male, non mi piaceva in quel senso.
Ogni tanto, fuori dagli orari delle pulizie, mi assegnavano compiti diversi. Certe volte svolgevo le mansioni dell’uomo di fatica e altre volte venivo assegnato alla macchina per le fotocopie.
Un giorno, in mezzo a tutte quelle scartoffie, mi capitò un dattiloscritto intitolato: “Doveva essere inverno”. Mi chiesi immediatamente cosa ci faceva un dattiloscritto, nel centro stampa di una società informatica. Tuttavia pensai che se poteva accadere che certi documenti importanti, venissero archiviati nel cestino dei rifiuti, sarebbe potuto anche succedere che qualcuno, riuscisse a perdersi il proprio dattiloscritto.
La carta stampata mi aveva reso avido; quando mi capitava tra le mani qualcosa da leggere, non riuscivo a resistere. Così presi il racconto e lo divorai al posto di gustarmi il pranzo.
Scrivere un racconto che si prefiggeva l’obiettivo di avverare la profetica frase di Stevenson: “Verrà il giorno in cui si scoprirà che l’uomo è un agglomerato di soggetti diversi, multiformi e indipendenti gli uni dagli altri.” , era un’idea davvero formidabile. (Tenete presente che questo è il modesto parere di un uomo delle pulizie).
Comunque, terminata la lettura, fui assalito dalla curiosità di conoscere l’autore di quel racconto. Insieme al materiale da fotocopiare, c’erano dei documenti che in calce, riportavano il
nome di un certo Albert Hyde, dell’area IT (questa sigla mi sembra volesse dire information technology, ma non chiedetemi di che cosa diavolo si tratta!).
Così chiesi il permesso al responsabile dell’ufficio stampa, per consegnare personalmente quelle fotocopie. Volevo proprio vederlo in faccia, quello scrittore in erba.
Salii sull’ascensore. R(ipensando alle parole del giovane Holden (a proposito delle letture che lo coinvolgevano di più), mi venne da sorridere. Per una volta potevo interagire con l’autore di un libro.
Uno, di solito, attribuisce ad uno scrittore alcune caratteristiche tipo: barba folta, fisico opulento e magari uno s’immagina che uno che scrive, abbia anche un bel paio di occhiali sul naso.
Sì, lo so, sembro il Principe dei Luoghi Comuni, cosa volete che vi dica: quello era ciò che mi aspettavo. Invece mi ritrovai di fronte ad un tizio che poteva dimostrare sì e no 25 anni, con la
corporatura minuta che potrebbe avere un ragazzino.
Riuscii a notare la sua conformazione fisica, perché in quel momento il novello romanziere stava tornando alla sua scrivania.
Mi avvicinai a lui proprio nel momento in cui si sedette per rituffarsi nel lavoro; quello vero.
Me ne stavo lì impalato, ammirando la sua chioma castana, senza che lui si accorgesse della mia presenza.
Non so per quale motivo, ma quel tizio mi faceva venire in mente una di quelle zolle d’erba che saltano fuori dal cemento. Quelle che spingi oggi, spingi domani, escono alla luce del sole
sgretolando l’asfalto. Da un momento all’altro, quell’uomo, sarebbe sparito da quel contesto per riapparire sulle pagine di qualche quotidiano.
Sfogliando il giornale, avrei trovato la sua foto in una di quelle rubriche culturali, dove il critico letterario di turno, esprime i propri elogi per il nuovo Salinger.
Me lo sentivo, o forse era la sua camicia hawaiana a farmelo osservare come si fa con una cometa.
- Questi documenti - dissi, - dovrebbero essere suoi.
- Grazie - rispose lui, senza sollevare la testa dalla scrivania.
Mentre mi avviavo all’ascensore, sentii qualcuno avvicinarsi a passi veloci. Poi, udii una voce…
- Mi scusi…
- Mi arrestai, e mentre il mio corpo compiva la rotazione necessaria, per dare un volto alla voce che mi stava chiamando, capii che si trattava del signor Albert Hyde.
- Com’è ? - mi domandò senza possibilità di appello. Era come se in quell’istante potesse leggere ogni pensiero nella mia testa, con annessi e connessi.
- E’ originale - dissi, - e si beve d’un fiato - proseguii con un certo imbarazzo.
Quello che a me sembrava poco più di un ragazzo, accennò un sorriso, poi disse:
- Mi scusi, non le ho detto neanche come mi chiamo, sono Albert Hyde… può chiamarmi Albert, se preferisce.
Mentre terminava quella frase, fece il gesto di stringermi la mano.
- Mi chiamo Alexander Sanders - risposi.
- Sig. Sanders, vuole…- lo stoppai, mentre tentava di formulare la domanda.
- Alexander, è sufficiente Alexander e dammi pure del tu - dissi mostrandomi perfino ossequioso.
- Allora Alexander, vuole ehm… vuoi prendere un caffè?
Era la prima volta, in tre anni, che qualcuno si rivolgeva a me, chiamandomi per nome.
In quella società mi avevano appioppato nomignoli di ogni genere. Vi dico solo che il soprannome che va per la maggiore è: omino delle pulizie.
- Accetto volentieri - dissi.
Di fronte a quell’invito decisi che era arrivato il momento di abbandonare la mia misantropia aziendale. Per la prima volta, in tre anni, avevo trovato un interlocutore che ritenevo degno della mia compagnia.
Solitamente il famigerato coffee-break lo facevo da solo.
Prendevo il mio espresso alla macchinetta e lo bevevo nel mio stanzino.
Devo farvi una rivelazione a costo di sembrarvi antipatico; non mi piace l’aria fritta che si fa di fronte alle macchinette del caffè.
Cosa volete che vi dica… per essere un uomo delle pulizie, sono piuttosto snob!
Quando io e Albert ci trovammo di fronte al caffè, cercai di essere più preciso possibile nell’esporre la mia critica al suo racconto. In quel frangente, mostrai una capacità d’analisi che andava oltre le mie aspettative.
- Leggi molto? - mi domandò Albert, manifestando lo stupore tipico di chi immagina che
l’uomo delle pulizie sia una bestia, che si nutre di sola televisione.
- Tutti i fumetti della Marvel - gli dissi con tono irrisorio.
La mia risposta ironica aveva generato una sorpresa nel suo sguardo, tuttavia lo stupore scomparve in un secondo.
Quell’uomo era troppo intelligente per farsi fregare dai luoghi comuni.
Gli raccontai come cominciai a leggere, ricordando l’aneddoto del ritrovamento del romanzo di Sepulveda. Mentre narravo la vicenda, Albert mi disse che quella sarebbe stata una buona idea per un racconto.
Era davvero piacevole parlare con lui, tutto troppo bello per essere vero. Ad un certo punto, senti il fischio finale del mio attimo di serenità. Dal fondo del corridoio, vidi arrivare quell’idiota di Jackson.
Io, troncai immediatamente la conversazione.
Albert, per un attimo, pensò di esser responsabile della mia improvvisa interruzione.
In realtà lui non c’entrava, avevo semplicemente paura che Jackson ascoltasse le mie dissertazioni letterarie.
Ero già vittima di feroci battute, potevo solo immaginare cosa sarebbe accaduto se, l’ingegnerino di primo pelo, avesse saputo che ero un uomo delle pulizie letterato.
Jackson arrivò di fronte alla macchinetta del caffè, salutò Albert e guardandomi negli occhi fece sfoggio della sua esilarante battuta:
- Sapete chi è il nemico numero uno delle networ…
- Sei tu Jackson - rispose Albert, senza dargli il tempo di completare la sua spiritosaggine.
- Sei tu! - ribadì, troncando sul nascere quello che doveva essere l’inizio di una conversazione.
Albert doveva essere uno che di informatica ne capiva parecchio. Jackson cercava di accaparrarsi la sua simpatia e invece aveva rimediato una bella batosta. Devo ammettere che per riuscire a trattenere la mia risata, dovetti mordermi il labbro.
Da quel giorno ne è passata di acqua sotto i ponti. Se dovessi raccontarvi tutte le volte in cui io e Albert siamo andati a bere il caffè insieme, vi annoierei a morte.
Vi posso dire solo una cosa di lui: è l’unica persona che mi viene in mente, quando penso al significato della vera amicizia.
©
Gianluigi Scelsa
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