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Il passato, immobile.
di Sara Passerini
Pubblicato su PBUNIBOOK2009


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Pensate che il passato, solo perché è già stato,

sia compiuto e immutabile?

Milan Kundera

Resistere sei ore. O alcuni giorni. Qualche mese. Un anno.

Poi c'è di nuovo il sole.

Nicole Muller

 

Questa è la storia breve di un amore breve: mille baci al giorno- carezze che scivolano dolci- momenti densi di magia. È il racconto di un incontro. È una piccola passione nata dall'ubriachezza e mai conclusasi davvero, perché non tutte le favole si chiudono con un "e vissero felici e contenti", a volte semplicemente qualcuno spegne il telefono.

Questa storia ha due protagoniste: Io e V., si svolge in qualche mese, in due stati e in un mondo irreale fatto solo di: percezioni- colori- disegni animati- felicità arbitrarie.

Ci siamo incontrate per la prima volta in un centro culturale, lei si spacciava per barista e offriva da bere a tutto il locale, io lavoravo lì. Ci siamo guardate, abbiamo iniziato a parlare, a non capirci, a sorridere. Ora che ci penso, abbiamo riso tutta la notte.

A volte si vivono istanti che cambiano un intero sistema di valori: all'improvviso V. mi ha morso il braccio delicatamente, quasi giocando. In quel momento ho capito che la nostra pelle era fatta per rimanere a contatto: brivido intenso sulla schiena- elettricità fisica tangibile, e i miei occhi si sono trasformati in quelli dell'istinto.

La nostra non è una di quelle storie sensate, non ha un vero inizio, è essenza di momenti onirici. Un mese: il tempo in cui abbiamo dormito insieme. Mille: le volte in cui ci siamo amate. Ventitre: il numero di pagine fitte scritte a riguardo.

12. Ho un'immagine nella testa, è incancellabile.

Sei tu, nell'albergo di una città che non abbiamo visitato ne visiteremo; tra il letto e la porta d'entrata c'è il bagno. Sono sdraiata sul letto, fumo una/cento sigarette. Ti fai la doccia, poi apri la porta del bagno: sei bella-bianca-gocciolante; mi chiedi dov'è l'asciugamano. Ti guardo e mi sorprendo di possederti. Mi sei preziosa, sento nello stomaco il piacere di poterti guardare e posso solo sorridere profonda alla tua bellezza. Il ventre piatto accompagna piccoli peli biondi, le spalle risaltano geometriche-perfette, l'espressione del viso è naturale: no imbarazzi, no orgoglio; ti sei dimenticata che sei nuda, gli occhi sono chiari, estremamente vivi. Credo di non aver mai visto nulla di tanto splendido e naturale, sarà per questo che l'immagine si è ancorata nelle viscere come resti di miele in un vasetto ormai terminato. Ho un bisogno primario di scrivere da quando ti conosco, con te tutto è irreale e io non so se le immagini siano ricordi-parole-sogno. Alcune mattine ti svegli esplosiva, getti alla rinfusa vestiti in una borsa e mi convinci a partire con te, subito; altre volte apri gli occhi e vedi solo il nero di errori che ti sono troppo pesanti, e piangi per ore, inconsolabilmente oppressa dalla paura. Quattro giorni su sette sonnecchiante mi fai il caffé e mi abbracci per ore mentre guardiamo cartoni animati rannicchiate sotto il piumone. Puoi tutto e mi convinci di avere le stesse libertà. Mi allucini con la tua presenza- -la dolcezza- le droghe- il tuo amore particolare- la pelle liscia- il tuo camminare ballerino- le pericolose dipendenze. Non mi sono mai chiesta se fosse reale questo sentimento, l'ho semplicemente accettato così com'era: folle,  forte, nostro.

 

Io ero in viaggio e possedevo superpoteri: mi stavo reinventando. V. era appena uscita da un periodo duro dopo un'esperienza nella droga, in una comunità, al lavoro. Ci siamo conosciute la sera in cui V. si è licenziata. È un momento simbolico per entrambe, sospeso tra: passato e futuro, in bilico tra: volere e dovere. La sera del nostro incontro è fluorescente, in un istante decidiamo (incoscienti come adolescenti) di vivere ciò che sentiamo con una libertà semplice, nostra.

Io le consacro il mio viaggio, V. forse di più.

All'inizio io formulavo le mie prime frasi in greco, lei scoppiava a ridere ascoltandomi, ma lo faceva con un'ingenuità impagabile, deliziosa. Ci vedevamo solo la sera: il centro dove lavoravo chiudeva, lei un po' titubante si affacciava all'entrata. Una notte mi ha invitata a casa sua, "Se vengo dormirò da te, sono stanchissima" ho detto, mi ha accarezzato la schiena scrivendo con l'indice: "No problem". Da quella notte abbiamo dormito insieme ogni notte, nel grande letto dalle lenzuola blu.

30. Sento i muscoli che mi fanno male, è una sensazione che non sentivo da moltissimo, è bella. La stanchezza ha vagliato la soglia del dolore, mi impedisce di dormire. Sveglia per eccesso di energia, tutto il tempo. Voglia di ballare, voglia di sentire i tuoi occhi sui miei fianchi. Voglia di ipnotizzarti. Mani che si muovono ritmiche. Abbandono del razionale. La prima notte che ho dormito con te mi hai svegliata perché mi volevi, ricordo la tua eccitazione attraverso i vestiti, i tuoi baci sul collo, la tua voce (voce del trasporto) e il tuo calore sovraumano. La mattina dopo hai cancellato ogni potenziale imbarazzo, mi hai baciata sulla bocca solo per metà e mi hai riempita di coccole, di immagini animate, sigarette e caffé. Nessun attrito. Sei il piacere dello scorrimento, del contatto più lieve, della morbidezza. Sorriso furbetto fin dal mattino, pupille dilatate, occhi di desiderio. Voce sconosciuta-incomprensibile-mutevole: solo intuibile. Mi basta pensare alla tua "S" marcata per sentirmi mancare. Che succede? Ce lo chiediamo ogni giorno. Cos'è? È elettricità-energia-flusso-piacere-scorrevolezza-candore-innocenza. Sei l'ultima persona che credevo di poter amare. Guardi alla forma e ai colori, cerchi bellezza e comodità in ogni cosa. Io amo le difficoltà, un po' masochistica mi ci riempio la vita, la casa, ogni viaggio. Più una cosa mi mette alla prova più mi sento soddisfatta nel farla. Non ami i sapori forti, né la musica chiassosa, né le cose spigolose. Perché allora ti piaccio? Perché ti leghi a me? Sono/Ero il tuo spigolo preferito, mi vesto incurante e posseggo una bellezza antica. Ma tu sei figlia della contemporaneità, portatrice di zeitgeist, lo spirito del  tempo. Evidentemente hai bisogno di una ragione, ne abbiamo tutti bisogno.

 

Alla fine abbiamo iniziato ad amarci- a vivere insieme- a condividere: tempo-paure-paranoie-stoviglie-maglie-momenti pieni di tenerezza. In aeroporto aveva lacrime negli occhi, ha promesso che ci saremo riviste "Non dimenticarmi" ripeteva con un'amarezza mai vista prima. Io sono tornata alla realtà dopo essermi concessa la più realistica delle allucinazioni. Il mio ritorno non ha coinciso con le aspettative del mio mondo. Mi sono scoperta aliena-estranea-intrusa. Si sono risvegliati: problemi, non accettazioni, incomprensioni, ricatti morali, insofferenze.

Volevo mollare tutto. Ho deciso di provare a fissare parti del passato.

A volte noi crediamo che il passato, proprio perché è già trascorso, sia immutabile. Sbagliamo. Il passato si veste dei filtri con cui lo guardiamo, cambia di giorno in giorno anche se guardato dagli stessi occhi, Noi lo coloriamo di nero, grigio o rosso, Noi lo percepiamo pesante o leggero, Noi decidiamo cosa trattenere e cosa perdere. L'intento del mio scrivere è/era provare a fissare gli istanti che vanno conservati. Voglio costruire un abito su misura per questo passato, sono esausta del continuo cambiamento di forme-colori-tessuti. Necessito di un passato immobile, da indagare e trapassare. Così com'è inizia a dolere.

Il periodo vissuto ha avuto solo una regola: "Ribellarmi a razionalità indesiderate", così ho basato ogni azione/scelta su una serie d'impulsi emotivi voluti, ricercati.

Tutto sembrava senza conseguenze, credevo di poter annullare il presente, o meglio, di porlo in uno spazio-tempo indefinito in cui mi sono concessa tutto. Che stupida! Il disagio che ho provato al ritorno era accentuato non solo dalle Inevitabili conseguenze di ogni azione, ma anche dall'impossibilità di rimediare a un disagio profondo-mio-emozionale.

Così scrivo: ricordi-sogni, soprattutto le nostre favole vissute a metà. Inesorabile costruisco occhiali attraverso cui guardare nel futuro a questo periodo trascorso. Cerco un contatto, m'incorono regina del futuro anteriore.

32. È già sera, corriamo a prendere il treno per Salonicco. Quasi lo perdiamo. Ho: una piccola borsa-caramelle- un Bacardi Breezer; hai: una valigia con l'e-box-gin-i tuoi vestiti. Sembri stanca, ieri sera ti ho recuperata ubriaca in un locale, hai svegliato tutta la casa cadendo contro i mobili. Viso pallido e fiacco.

Con il buio i finestrini diventano specchi, allunghiamo il Bacardi col gin e chiacchieriamo di niente, ridendo ogni volta che il drink scivola a causa del moto del treno. Il viaggio è lungo, ad Atene dobbiamo cambiare.

È la seconda volta che andiamo insieme in treno, da qualche parte.

Quando arriviamo è quasi notte e cerchiamo un albergo: la mia guida ne consiglia uno- andresti nel primo che capita- insisto e ti trascino avanti e avanti fino a quando non lo troviamo- è chiuso- vinci tu e andiamo in quello di fronte, riposiamo un paio d'ore. Suona la sveglia e nonostante siano le tre ci alziamo. Metto il tutu- mi guardi incuriosita-andiamo ad una festa, no?? Sono un po' in ansia, è la mia iniziazione. Per la strada fa freddo, niente alba ancora, prendiamo un taxi e cerchiamo il locale, paghiamo una somma indecente per entrare e ancora di più per due drink, poi mi chiedi di aspettarti, ballo in attesa del tuo ritorno con la pozione magica.

La parola estasi significa trance, definisce l'apice della contemplazione ed è associata a momenti mistici, religiosi. Ecstasy è una sostanza derivata sinteticamente dalle anfetamine, è proposta sotto forma di pastiglia e costringe-invita-aiuta i suoi adepti a folleggiare. Una scarica di felicità gratuita, insensata, pericolosa. Un confettino gratificante che birichino allarga le pupille e dona elettricità alle membra.

Riappari soddisfatta, dici cose ma la musica è assordante, non capisco. Mi dai con un bacio metà pastiglia azzurra, la inghiotto preoccupata. Cosa sto facendo? Voglio davvero questo? E ora, che succederà? Capirò dove sono/cosa faccio?Leggi nel mio sguardo milioni di dubbi, mi abbracci, mi baci la fronte, poi le guance: una pioggia di piccoli baci rassicuranti mentre i tuoi capelli mi solleticano il collo. Poi, di colpo, più nulla.

No pensieri, no preoccupazioni, volo leggera, sono bellissima. Le braccia ballano da sole, libere-veloci-sorprendenti, le guardo e sono luminose, ritmiche, ne sento ogni muscolo. Il tutu diventa un'aura angelica. L'effetto passa alla pancia, emozione da innamoramento: vuoto-pieno-fermento, gioia. Gioia? Di più, molto di più. Percepisco le gambe e divento energia, e divento parte dei colori, delle persone, e stringo le mascelle, e vedo la mia pelle bianca, e mi sembra di dare vita alla stanza con tutto il mio candore. Ti guardo, mi sorridi dolcissima, vedi la mia felicità immensa, decodifichi la mia luce, ti trasformi in un fumetto, e rido, rido di cuore e ballo e salto, e sono felice, e non voglio che finisca mai, perché mai sono stata così felice, così piena, così potente, così. Euforia a livelli astrali. Sincronia ritmico-musicale, perfezione muscolare, orgasmi intellettuali. Empatia con il mondo intero. Siamo un grande gruppo pieno di amore, e siamo parte di un unico movimento che grazie alla musica parte dalle ovaie e sale fino a scuotere i capelli, come liane tropicali. Siamo un'onda che lava via il brutto dal mondo, siamo schiere di lucciole in una notte eterna, siamo adrenalina, energia, stupore. Legati da un filo elettrico come luci intermittenti di un albero di Natale. Siamo superuomini e superdonne, siamo angeli. Siamo disumani. Sei disumana.

 

Ogni mattina preparava due caffé, non le piaceva il caffé, bevevo d'un sorso il mio, lei mi guardava e diceva: Vuoi il mio? Tra di noi la sua tazza fumante. Adoravo il suo caffé.

È l'insieme d'abitudini di colpo interrotte ad essere doloroso, appena chiusa una relazione la cosa più penosa è andare al supermercato e fare la spesa, azzittire la consuetudine di comprare determinate cose, pensare per uno, non più per due. Ciò che ci viene rubato quando qualcuno sparisce è il futuro. Faccio rivivere la memoria, ne sento la presenza effimera e constato: non c'è più.

Il mattino, a festa conclusa, siamo uscite dal locale, era già giorno, piccoli spruzzi di pioggia ci rinfrescavano il viso, abbracciate strette strette in quelle vie nuove. Siamo tornate in albergo, V. ha messo della musica, abbiamo ancora ballato seminude nella stanza dalle tende verdine e dai quadri stucchevoli, abbiamo parlato a cuore aperto come non mai, parlato di tutto, sentendo il peso di ogni virgola, di ogni respiro. Ho sentito un amore grandissimo verso quella donna dalla camminata buffa: avrei dato la vita per lei, esattamente in quell'istante, mentre sedeva sul letto con gli slip blu e la pelle liscia, con mille mondi negli occhi e le mani affusolate.

37. Ecstasy. Ci penso ogni giorno e provo a ricostruire quelle sensazioni senza chimica, partendo da me stessa. Raramente ci riesco.

Ho scritto nella memoria l'istante in cui con un bacio mi hai dato quella pillolina blu, blu come il nostro letto, come il cielo, come i tuoi slip. Mi manchi-Mi manca la tua pelle. Mi fai male.

Mi appoggio a te per scappare dal mio qui- da me stessa, perché tu sei leggerezza e mi permetti tutto: bruci i cattivi pensieri, mi basta una tua risata per sorridere, una tua carezza per aver voglia di esplorarti, mi basti a fianco per addormentarmi. Ma so che questo non è amore, è necessità. Ti uso per staccarmi da un mondo usurato. Forse è meglio che ora tu sia distante, riuscirei a imboccare la strada peggiore in tua compagnia perchè è come se vivessi quotidianamente il desiderio di perdermi. Non voglio più tenere duro. Ho perso il buonsenso, e non ho la forza di cercarlo. Dove sei adesso? T'immagino con i tuoi stupidi amici, un giorno brillante e irrimediabilmente felice (effetto up) il giorno dopo tragicamente triste, ad alimentare le tue paranoie (effetto down). Ma un sentimento di felicità basato sull'illusione è vera felicità?

Domanda relativa-complessa-soggettiva. Se per vera si intende reale-tangibile, e per realtà si intende la percezione personale di ciò che ci circonda, allora sì, anche l'illusione della felicità è vera felicità. Se però si allarga il significato di vera ad un ambito oggettivo entrano in gioco altri fattori: società- durevolezza delle cose- rispetto-condivisione, e ahimé, in questo contesto più ampio non si può accettare come vera una felicità effimera ed illusoria, soprattutto perché non potrebbe essere compresa, condivisa.

Lei mi ha raggiunta dopo 17 giorni. Sì, li ho contati. Abbiamo passeggiato per la città, ho parlato, V. non ascoltava. Abbiamo dormito in un albergo. Non abbiamo mangiato. Abbiamo solo camminato su quelle strade bianche, un po' fredde. Poi è ripartita. Ha detto: "Vieni con me", ho risposto: "come faccio?", seria mi ha guardata, ha rigato la mia mano con le sue unghie corte, ha sospirato con gli occhi di chi prega: "Dormi qui-prenoto un volo anche per te-bus navetta alle 7.45-check in ore 9.00.". Non ho risposto. Non ho pianto.

1. Non hai neanche più l'illusione della felicità. Ti è rimasta la paura: della gente-di te stessa-della realtà. Mi raggiungi tremante, sfigurata, magra. Un piccolo abbraccio. "Cosa hai fatto?" penso. Poi ancora droga, e di nuovo ti senti brillante, stella, più innamorata dell'amore stesso, più felice di. Ma questa volta io vedo solo pupille allargate, sassi ciechi in uno scheletro, una sconosciuta che amo e che si è persa. Ti riconosco solo perché ti conosco. Sacrifichi Noi, la semplice dolcezza di alcuni momenti a pochi volt d'elettricità. Ho l'impressione che s'insegua sempre e ad ogni costo un ideale di felicità, e quando lo si cattura lo si distrugge, con una sorta di masochistica consapevolezza, come quando con perversa soddisfazione si butta giù un castello di carte pazientemente costruito. Camminiamo, la mia lucidità stona, ti parlo e non afferri i significati: hai dimenticato la concentrazione da qualche parte. Non basto a salvarti, puoi solo tu. Baratti ciò che ci rimane per un di più effimero e desolante, per l'allucinazione di un tutto perfetto, per una forza estrema che ti lascia spossata, soprattutto sola. Ti isoli vittima-carnefice in un mondo di cui sei l'unico abitante, e nella follia interpreti ogni fatto in modo da conservare e rafforzare il sistema stesso. Mi inviti a far parte di questo mondo storpio. Rifiuto. Ti invito a lasciar perdere le storpiaggini, a perderti tra le mie braccia. Non capisci cosa dico. Mi butti fuori perché intacco la tua libertà dall'interno, la mino con l'amore. Divento virus e provo a non abbandonarti, ma non posso seguirti in tutto questo. Mi abbracci forte davanti al bus navetta, come mi dicessi addio, poi ridi, ti sembra che la mia testa sia gigante. Sali. È mattina, piango, ti scrivo. Non sono migliore di te, ti rivoglio solo indietro.

Non l'ho mai riavuta indietro. Non l'ho più sentita. Le lettere che le ho scritto sono troppe, ognuna inizia con un numero, il numero dei giorni trascorsi senza sapere se sia viva o morta, immaginandola: in carcere-in comunità-a prostituirsi-in un convento. "Il passato senza V. cresce giorno dopo giorno". Nessuna lettera ha avuto risposta. Ormai quelle che scrivo sono lettere alla me stessa più rassegnata, lettere in cui racconto ciò che faccio, ciò che penso. Non ho più fatto uso di nessuna droga. L'ultima lettera iniziava con il numero 367. Ho realizzato che è passato un anno. Ho fissato il passato, comunque. E quindi? Quindi si va avanti, la vita continua...ah! Le solite cose. In verità siamo tutti mostri in grado di proseguire, dimentichiamo morti importanti, vite importanti. Sopravviviamo a tutto. Il tempo lenisce, e noi proseguiamo, come se nessuno fosse indispensabile. Soffriamo e poi passa, sbattiamo la testa sul muro per rendere fisico il dolore, alziamo gli occhi bagnati al cielo, preghiamo. Poi i ricordi finiscono in un cassetto a ingiallire. Poi la vita riprende, diversa, magari triste, ma va avanti. "Quando ho iniziato a lavorare su queste memorie ho pensato: ho solo le parole. Ora aggiungo: e non è poco."

Potrei concludere riprendendo il primo paragrafo, ribadire con lirismo che a volte qualcuno spegne quel maledetto telefono e si eclissa, ma ho Deciso che questa è una breve storia d'amore, non d'amarezza, quindi, banalmente, concludo al supermercato.

∞. Siamo all'AlphaVita, all'entrata vuoi prendere un carrello, ma te lo impedisco. Odio andare al supermercato con qualcun altro, ma questa volta andiamo insieme; fuori pioviggina, indossi: una maglia marrone di quelle con la cerniera davanti e con il cappuccio (che non metti nonostante la pioggia perché ti "rovina" i capelli), dei jeans trasandati, scarpe nere. Sorvoliamo il reparto verdure (all'entrata sulla destra) e andiamo veloci a quello surgelati, prendi una moltitudine assurda di scatole e sacchetti dalle diverse grandezze, li teniamo tra le braccia come fossero bambini. Fingendoti severa sottolinei la necessità di un carrello, insisto nel mio negare, ormai cos'altro può servire? Hai già ogni genere di frescura disponibile! Nel reparto alcolici prendi il gin, vorrei prendere delle caramelle gommose, ma ho così tanti sacchetti ghiacciati che rinuncio (alla fine sono io a non volere il carrello...), appoggiamo sul tapis roulant il malloppo ed esco a fumare una sigaretta aspettandoti. Esci con due borse piene, mi guardi e dici: "Non mi dai neanche un bacio? Pensa a che cenetta scalderò stasera!", mi avvicino, m'insinuo tra le tue braccia, ti bacio forte sulla bocca. Nella giacca sento un rigonfiamento, curiosa ti guardo. Furbetta fai sì con la testa, apro la giacca e un pacchetto di piccoli cuori gialli e rossi mi salta tra le mani! Ti rubo una borsa di piombo e quasi abbracciate avanziamo tra la gente, casa tua è a cento metri (forse duecento) sulla sinistra. È la casa con le tapparelle sempre aperte, quella con il letto grande dalle lenzuola blu.

© Sara Passerini





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