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“Poi non è che la vita vada come tu te la immagini. Fa la sua strada, e tu la tua. Ma non sono la stessa strada” Oceano mare- A. Baricco Anni che non vedevo il mare, forse secoli. Ma sono qui adesso, ormai vecchio, a guardarlo, respirarlo, sentirlo davvero. Siamo soli - io e la voce inestinguibile del mare - mai placata in me, mai perduta. Mi chiama. Le onde sventrano gli scogli e le gocce mi si frantumano sul viso, minuscoli specchi di cielo, di pianto liberato. Ho voglia di pensarmi così, nella mia immensa solitudine... Da ragazzo venivo spesso alla spiaggia per dare del cibo ai gabbiani, e anche oggi ho portato del pane. Mi siedo sul bordo di un vecchio peschereccio abbandonato e sono invisibile, assente. Il maestrale soffia forte, il sale brucia gli occhi, il freddo è un ferro arroventato, che dissolve il dolore prima ancora che sia. Avverto un fruscio alle spalle: un gabbiano mi si avvicina esitante; sorrido e gli offro le mie ultime briciole. Ci scambiamo uno sguardo, almeno così pare a me e ai miei occhi stanchi. Una lacrima gli scivola lenta sul bianco piumaggio. Che tenerezza, che follia... Ecco, ora, è arrivato il momento. Quella è la lacrima che mai mi è sgorgata dal cuore; è il pianto che mi ha negato la vita; è il dono mancato dell’essere fragile -e libero- dentro. Lo so, è soltanto la mia fantasia. Ma che uomo sono mai stato? Prigioniero di un’esistenza che non ha avuto il tempo -il coraggio- di fare concessioni all’amore, alla vita, al destino... L’avevo scordato il mare, come un accordo stonato. L‘avevo scordato il mio nome. Lo perdo ogni giorno e ogni giorno lo cerco. E’ sempre un inzio, inizio e mai fine. E’ che il mare è un moto incostante dell’anima - alta e bassa marea -ce l’hai dentro e non fuori di te, come la vita. La vita... Che se adesso dovessi raccontarne una - la mia? - non saprei nemmeno cosa inventare. Ho alle spalle nove mesi di paradiso, novant’anni all’inferno e di fronte nove giorni nel limbo. Ma non sento niente, non ho niente da dire. So che devo morire, non è una grande scoperta: lo sanno tutti ancor prima di nascere. E non mi scorre davanti il film del mio viaggio, non un solo fotogramma. Di memoria ne ho poca, pochi ricordi da ricordare . Ma se potessi scegliere... mare rinascerei, mare per vivermi fino in fondo l’abisso, per perdermi e naufragare. Mai più aggrappato a scalcinate e sicure pareti. Mai più schiavo di una vita apparente. Avrei sale negli occhi e brividi audaci sulla pelle bagnata. Soffrirei, sentirei, sentirei... tutto quello che mi sono affannato a evitare, da sempre, ancor prima di essere . Tra partenza e traguardo è una linea finita e imperfetta, il nostro limitato orizzonte? Non guardarmi così! Vola via, via! E allora comincio a sognare, a ricostruire il passato che ancora non ho... che non ho. Mi regalo una storia. Sono nato una sera d’agosto, e le ombre d’autunno già spingevano, inquiete. Mia madre piangeva, mio padre taceva; il vento soffiava. Son cresciuto respirando l’inverno sul mare, le sue assenze, i ritorni, il presente. Mi facevano male. Ho amato una donna -una sola- ché l’amore non passa due volte, e impazzivo nel suo ventre puro, come un’onda d’azzurro assoluto. Non ho ho avuto un lavoro, una casa. La mia anima abita il vento. E al vento ho affidato il mio cuore, affinchè lo portasse lontano, lontano... Ho viaggiato sulle strade più impervie, ho venduto il mio ruolo nel mondo per un pezzo di cielo. E non sono pentito. La mia vita è impronta su sabbia, la consegno alle onde del mare. Perché vivere è un istante perfetto, crudele. E’ qualcosa che va cancellato, perchè mai si ripeta, perchè mai muoia dentro, su una spiaggia sbagliata. Ma che resti in eterno, solamente nel cuore. E’ poesia sulle ali del sogno e nessuno può portarcela via. Ora resto a guardare la lacrima, che leggera ti imperla le piume e mi sembra un gioiello prezioso -un regalo impagabile- anche questa tristezza. So che la vita che mi sono inventato è qualcosa di grande, l’ essenza più vera di me. Più distante da me... E’ sangue, è carne, anima e spazio: un volo impossibile. E’ il pianto che mi è stato negato, il dono che non ho saputo apprezzare, la libertà di essere fragile dentro -e infinito- come la voce armoniosa e violenta del mare.
©
Daniela Cattani rusich
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