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C'era una volta un giovane gabbiano che viveva con la sua colonia su una piccola scogliera vicino al mare. Un giorno il gabbiano si accorse che c'era qualcosa che mancava nella sua vita, e allora decise di mettersi alla Ricerca. Prima di partire si staccò una piuma bianca da un'ala e la lasciò cadere sulla sabbia, come ricordo della sua vita su quella scogliera, dopodiché salutò la colonia e cominciò il viaggio. Il giovane gabbiano aveva da poco iniziato il suo volo, quando vide un canneto e planò verso il basso per avvicinarsi. Era un bel posto, c'erano tanti altri gabbiani e molti uccelli, e sembrava che potesse essere il luogo adatto dove fermarsi. Così il gabbiano fece del canneto la sua nuova casa. Ma ben presto cominciò a porsi alcune domande: aveva davvero trovato ciò che cercava? La Ricerca si era conclusa così presto? E il gabbiano, che amava l'avventura, non tardò a rispondersi che non poteva essere quello, il luogo adatto a lui, perché era troppo vicino alla sua vecchia scogliera. Dunque, si rimise in viaggio e questa volta il suo volo, molto più lungo e complicato, lo portò sopra un mare freddissimo, al Nord. L'inverno era rigido, ma il giovane gabbiano trovò una nuova colonia di suoi simili che accolsero molto volentieri la sua unione. "Finalmente sono arrivato", pensò, " qua è molto freddo ma supererò l'inverno grazie all'amicizia dei miei compagni!" E così il gabbiano si convinse di aver concluso una volta per tutte la sua Ricerca.
Ma l'inverno era più freddo di quanto lui potesse immaginare e molti degli esemplari della colonia morirono a causa del gelo: il giovane gabbiano ebbe davvero paura per la prima volta, e comprese di non essere ancora pronto per rischiare la vita in un luogo tanto bello, quanto pericoloso per il clima. Dunque, fu costretto a malincuore a dire addio alla colonia e ripartì alla Ricerca di un paese più caldo. Il gabbiano volò, volò lontano e con fatica, ma dopo giorni, settimane, mesi di viaggio estenuante raggiunse il Continente Tropicale. Là tutto era meraviglioso, un paradiso di suoni e di colori, c'era tutto ciò che il gabbiano aveva sempre desiderato. La temperatura permetteva di volteggiare tranquillamente nei cieli, il mare colmo di pesce buonissimo che l'uccello catturava con facilità e gustava con piacere. Ma non era trascorso molto tempo, quando scoprì che anche in quel luogo c'era qualcosa che non andava; dopo pochi giorni, infatti, il gabbiano cominciò a sentirsi solo, a sentire la mancanza dei suoi fratelli sulla scogliera e di quelli del mare del Nord, che non avrebbe mai più rivisto. Così si mise alla Ricerca di una nuova colonia alla quale unirsi, e ben presto notò un enorme gruppo di gabbiani grandi, azzurri, bellissimi. Era davvero affascinante osservare i loro movimenti eleganti e guardarli danzare sulle onde trasparenti, rimanere ammirati innanzi a quelle vorticose evoluzioni aeree; quegli uccelli sembravano esibirsi per lasciare un senso di meraviglia e stupore negli occhi dei loro spettatori. Così il giovane gabbiano viaggiatore decise di avvicinarsi per prendere parte a quello spettacolo incredibile e iniziare a prillare con gli altri. Ma quella era una colonia di esemplari vanitosi e cattivi, capaci soltanto di idolatrare la loro immagine, senza né considerare né rispettare chi era diverso da loro. Infatti, trattavano male il giovane gabbiano, non lo ritenevano all'altezza, lo evitavano e lo escludevano dai momenti di gruppo. "A che serve che io resti qui, in un luogo dove non sono benvoluto? A che mi servono il sole e il caldo se sto cercando qualcos'altro?" Con queste domande il gabbiano comprese che doveva ripartire e si rimise subito in viaggio, senza dare molte spiegazioni alla colonia. Così rispiegò le ali, si librò nell'aria e lasciò per sempre il cielo turchese del Continente Tropicale. Il suo volo riprese e viaggiò a lungo facendosi cullare dal vento che sempre lo accompagnava soffiando lieve sull'oceano. Dopo settimane, forse mesi, accadde un fatto che il giovane gabbiano mai si sarebbe aspettato: incontrò un altro gabbiano uguale a lui, che proprio come lui era partito per concludere una Ricerca. I due uccelli strinsero subito una forte amicizia ed entrambi capirono che il vero oggetto delle loro Ricerche non era una grande scogliera, non era un mare tropicale, ma era semplicemente un amico, un compagno con il quale condividere i momenti più belli di un viaggio avventuroso. "Non importa se non ho trovato un luogo e se continuo a volare sull'oceano senza avere una casa, perché ho trovato un amico e la mia Ricerca è finalmente terminata!" pensava il gabbiano, che era davvero felice e convinto di vivere a pieno la sua esistenza. Così i due amici percorsero ogni rotta che la brezza marina offriva loro, riempendo le loro vite con l'affetto che solo poche anime sanno donare e ricevere. Ma un giorno, mentre stavano attraversando un mare sconosciuto in una notte come tante, li colse all'improvviso la Tempesta. Fu spaventoso: grosse nuvole nere avevano nascosto la luna e le stelle, le onde parevano tanti cavalli imbizzarriti, la pioggia e la grandine colpivano con malvagità le loro ali. Lo spaventoso boato di un tuono squarciò il cielo profondo, e i fulmini si scagliavano terribili su un mare scuro come non l'avevano mai visto. I due gabbiani tentavano di continuare a volare ma nonostante l'immane sforzo, spesso si trovavano sommersi da quelle onde gigantesche. Passarono lunghe ore prima che il gabbiano, con un ultimo disperato battito d'ali, riuscì a superare la ferocia della Tempesta, e realizzò di essere sano e salvo, avendo vinto chissà come, la forza distruttrice della Natura! Ma era solo. Il suo amico era rimasto intrappolato dentro a quel vortice nero che l'aveva ingiustamente strappato via dal suo viaggio della vita. Dunque, il nostro gabbiano era di nuovo solo. Si sentiva nello stesso momento triste, arrabbiato, deluso, vittima della Natura e colpevole per non essere riuscito a salvare anche il suo amico. Questo affollamento di sentimenti diversi tutti dentro al suo cuore poteva essere chiamato col nome della peggiore delle sensazioni: lo smarrimento. Si sentiva sconvolto perché perdendo il suo compagno aveva perso anche una parte di sé stesso, quell'essenza fugace che lo aveva raggiunto al momento del loro incontro. Per tanto tempo aveva creduto che fosse la risposta alla sua Ricerca, ma ora l'aveva perduta per sempre. E così al gabbiano non restò che continuare a volteggiare con l'azzurro del cielo e del mare, cercando da solo in quell'universo turchese una nuova essenza di vita. Perché il gabbiano non si era scoraggiato, perseverò nel suo volo e visitò tanti altri paesi, facendo della sua esistenza stessa, la Ricerca. Di notte ripensava spesso al suo compagno, e si consolava riconoscendolo in una stellina lontana che vegliava su di lui; ripensava anche ai suoi fratelli, alla sua scogliera, alla colonia di gabbiani cattivi del Continente Tropicale. Nei suoi occhi si specchiava il mare notturno, mentre nella sua mente vorticavano confuse le immagini di un passato avventuroso. Finché un giorno, anni, forse secoli da quando era partito per la prima volta dalla sua casa sulla scogliera, il gabbiano sentì di essere stanco. Era una stanchezza che non aveva mai provato, così, con l'aiuto del vento, scese verso la costa e si fermò sulla sabbia, in riva al mare. C'era qualcosa di ineffabilmente poetico in quella mattina un po' grigia, nella musicalità del suono delle onde e nel profumo salmastro dell'aria, qualcosa che rese il gabbiano inspiegabilmente felice e malinconico. Delicatamente appoggiata sulla sabbia, stava una piuma, la piuma che, come il pennello di un pittore, aveva dipinto i colori di quella mattina e di tutta l'esistenza di un'anima in viaggio. Se ne accorse il gabbiano, che prese debolmente la penna con il becco e la riconobbe. Riconobbe anche la scogliera dove era nato, e capì tutto: era tornato. Il suo viaggio lo aveva riportato all'origine di ogni cosa, e quella piuma era lui, lui era quella piuma.
Era trascorso tanto tempo, secoli, forse millenni, ma alla fine era servito a qualcosa.
La Ricerca era conclusa.
©
Francesca Ture
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