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La mia intervista impossibile
di Gianluigi Redaelli
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                       La mia intervista impossibile

 Accadde qualche anno fa che mi trovavo nella Capitale, per un breve periodo, ospite di amici. Quel giorno, annoiato e scazzato perché gli amici erano impegnati in qualche cosa che non m’interessava, me ne ero uscito da solo e andavo passeggiando qua e là, senza avere una vera meta precisa.

A un certo punto, in una zona del centro cominciai a vedere frotte di persone che si dirigevano tutte verso una direzione. Incuriosito, cominciai a seguirle, man mano la fiumana s’ingrossava finché arrivammo davanti a una grande vetrina, con porta spalancata dove la gente s’infilava. Era una grande famosa libreria, entrai appresso alla marea. A farla breve, mezzo stordito, insieme con gli altri finii col trovarmi in una sala non troppo grande, per contenere tutta quella folla che spingeva e si affannava per vedere qualcosa sul fondo, dove si scorgevano grandi scaffali pieni di libri.

Sembravano tutti eccitati e si spintonavano per guadagnare un po’ di spazio davanti. Alla fine, dopo una gran faticata a forza di gomiti usati come speroni, riuscii ad arrivare abbastanza vicino, o meglio, a distanza tale da vedere cosa succedeva in fondo.

Si trattava chiaramente di una presentazione di qualcosa, di un libro, e ne fui certo appena potei scorgere un personaggio seduto tra altri individui.

Era proprio lui! Il mio scrittore preferito, insieme a Kerouac e Bukowski, avvolto in una nuvola di fumo, tossicchiando ogni tanto, la voce roca strascicata che arrivava appena a tratti, in mezzo al brusio generale.

Poi avvenne. Non ero più nella libreria, ma per strada, seguendo d’appresso il mio mito, che appena si fermò sul ciglio del marciapiede, in procinto di attraversare la strada, fu mia preda.

Lo presi per un braccio, amichevolmente, ma con una certa fermezza, mentre gli sibilavo:

-E ora caro Maestro, sei mio, e non ti lascerò andare se prima non avrai soddisfatto tutta la mia curiosità- e mentre mi guardava di sbieco con quel suo sguardo un po’ vacuo, tra l’addormentato e l’annoiato –e ti assicuro che è tanta. Io sono un tuo grande fan, ho letto quasi tutti i tuoi libri.

Si lasciò scappare un sospiro e rassegnato disse:

-Vabbene, vediamo che c’è da fare.

-Bene, là più avanti c’è un bar- e quasi trascinandomelo arrivammo al locale, entrammo e scelto un tavolino un po’ appartato ci sedemmo, come due normali avventori.

-Dunque carissimo ...- cominciai, ma subito  m’interruppe con un sorriso sforzato, guardandomi da sotto gli occhiali, come si guarda una bestia rara.

-Non s’inizia mai una frase con il Dunque, che è conclusivo.-

-Ah, vabbè, sì certo, però io volevo appunto concludere, che ce l’avevo fatta a beccarti- replicai con una certa sfrontatezza, che denotava il mio alto grado d’eccitazione.

-Allora, diciamo per incominciare, che ti sto dando del tu, non per mancanza di rispetto, bensì per profonda amicizia- quindi sfiorandogli con tenerezza la mano posata sul ripiano, di fianco a un pacchetto di sigarette che già si era magicamente materializzato -e poi siamo quasi coetanei.-

Allora parve improvvisamente animarsi e guardandomi bene in faccia, con un leggero sorriso

-Ma, questo non mi sembra proprio, al mio confronto, sembri un picciutteddu.-

-Già! Tu che indichi sempre l’età dei tuoi personaggi, quanti anni mi dai?-gli sparai in tono di sfida.

-Se fosse per me te ne darei tanti di galera!- poi sorridendo tra la tosse -Sto scherzando, ma l’età te la dico alla fine di questaa camur…- senza concludere.

-Dunque, ora lo posso dire- guardandolo ironico- bando alle chiacchiere, io devo farti molte domande e..

Fui interrotto da una graziosa fanciulla con un grembiulino azzurro che ci chiese che cosa ordinavamo. Lui chiese un caffè, io un analcolico. Quando gli domandai se non avesse preferito, che.so, qualcosa di forte, un cicchetto, mi rispose piccato:

-Allora non lo sai che non bevo più alcoolici?-

-Sì sì, lo so, da quel primo maggio terribile, scusa lo stavo dimenticando- un po’ contrito, per la prima gaffe che avevo già commesso, che rischiava di non disporlo nella condizione più favorevole.

-Di bene in meglio! Quello del primo maggio riguarda il vino- con enfasi guardandomi fisso e piegandosi un po’ verso di me -Invece l’whisky, che prima bevevo come una spugna, lo sai quando ho smesso di berlo?- con aria di sfida, mentre si accendeva una sigaretta.

Aspettai a rispondere, perché stavano arrivando le ordinazioni, poi mentre iniziavo a sorseggiare dal mio bicchiere, visto che non parlavo, lui sbottò

-Ecco vedi che non lo sai! E’ stato quando ho iniziato a scrivere, e ad avere successo-

-Comunque, non è quello che m’interessa- lo interruppi con fare deciso, per superare l’impasse.-Cominciamo! La prima domanda è, quando esattamente, a che età hai capito che il fascismo era ‘na schifezza, dopo che già avevi trovato il modo di non fare le adunate da balilla?-

-Ah! Ma allora sei proprio a digiuno! Altro che mio fan!- esclamò allargando le braccia in segno di disperazione -Eppure l’ho raccontato più volte che ho smesso di essere fascista, più o meno, nel 42, dopo aver letto “La condizione umana” di André Malraux-

“Altra topica”, pensai, “qua si mette male”.

-Ma sì certo che lo sapevo, è che non ricordavo bene l’anno- cercai di giustificarmi- sai a quell’epoca io ancora non ero nato. Comunque, andiamo avanti- Con piglio deciso -Quella faccenda con Pirandello, non ho capito bene, quando l’hai visto per la prima volta, che ti sembrò un ammiraglio, e che si abbracciò con tua nonna Carolina, che erano cugini. Ecco tu dici che l’hai saputo, della parentela, a settant’anni. Ma allora quel giorno che cosa hai fatto durante la visita e subito dopo, non hai chiarito chi era venu…-

-Basta! –m’interruppe il vegliardo, agitatissimo, quasi con il rischio di strozzarsi nel parlare- Tu ne sai proprio nenti di mia! Come! Non l’ho spiegato chiaro che io mi ero scantato da morire e che mi ero nascosto sotto lo...la scrivania di mio padre, finché non se n’è andò e poi non ne ho voluto sapere più niente?!-

Scrollando la testa irritato. -Un’altra lacuna come questa e non parlo più!-

-Ma veramente- cominciai a farfugliare, ormai impacciato- di questo episodio non c’è molto in giro, e appunto io volevo maggiori particolari.-

-Ma qualcosa di più intelligente da spiarmi non ce l’hai?-

E così dicendo si mise a tirare dalla sigaretta come se la volesse mangiare. A questo punto, pensai, bisogna che lo metta in difficoltà, così gli dissi.

-Senti, ma tu che sei stato aiutato abbastanza, lo dici tu stesso, nei vari passaggi della tua carriera, prima per il teatro e poi per la scrittura, il primo libro che ti hanno pubblicato, ecc –abbassando la voce, in tono più confidenziale- Sì dicevo, tu hai mai aiutato qualcuno a farcela? Che so un giovane scrittore alle prime armi, o anche non giovane ma esordiente.-

Di colpo si arrestò con la sigaretta a mezz’aria e guardandomi quasi schifato, dopo una specie di grugnito mi disse solo:

-Certo, più volte l’ho fatto, quando ne valeva la pena, solo tu non lo sai-

-E, secondo te- continuai senza dare peso alle sue parole- l’età per esordire può essere un grave handicap? guardandolo di sottecchi, e con un’espressione come di chi non da troppa importanza alla cosa -Sai anch’io avrei scritto parecchio, poesie, racconti. In fondo Gesualdo Bufalino si è fatto conoscere a tarda età e…

Non mi lasciò finire e con un ghigno sprezzante sparò le sue cartucce:

-L’età non c’entra, quello che conta è come e cosa uno scrive, e Bufalino da mò scriveva bene, anche senza essere conosciuto-

Quindi puntandomi il dito contro e strizzando gli occhi

-A proposito, secunno mia tu si un settantino, e un’anticchia  fastidiusu-

Poi quasi facendo segno che voleva alzarsi mi disse:

-E ora, se abbiamo finito con sta camurria, se permetti me ne vorrei andare.-

-No, no, solo un’ultima cosa, la più importante- alzandomi appena così da trattenerlo per un braccio- Ma Lei, che vendendo milioni di libri sarà diventato ricco, anzi ricchissimo, come fa a considerarsi ancora comunista?-

Al mio passaggio al Lei rimase un attimo di stucco, poi alzandosi con forza mi gridò sul muso:

-Basta! Accamora Vossia m’ha rotto proprio li cabasisi!-

E fu a quel punto che la visione scomparve e mi ritrovai nell’affollata sala della libreria, mentre scrosciavano applausi e qualche voce gridava entusiasta il nome Andrea.

Già, e io avevo solo sognato la mia intervista impossibile con il sommo Andrea Camilleri.

© Gianluigi Redaelli





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