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Sono le dieci di mattina e la signora Pallone è seduta, con le membra indolenzite e deboli, sulla poltroncina sfondata e lurida in un angolo di un salottino ammuffito. Ai suoi fianchi si stringono timide le due figliole; s'aggrappano alle gracili braccia della madre e aspettano e guardano. Guardano il signor Pallone, padre di famiglia, che, mani in tasca, fa il giro attorno al tavolo sgretolato posto al centro del salottino.
Il signor Pallone macina metri scuotendo la testa; sembra intrappolato in qualche orribile pensiero, e di tanto in tanto si ferma, lanciando un sonoro peto che pare liberarlo per qualche secondo. Ma è soltanto una fugace illusione.
- State tranquille, dovete stare tranquille. Non c'è nulla da temere. Se ne andranno così come verranno, cioè a mani vuote, vedrete. E non state così a preoccuparvi, mi date ai nervi! Amalia, perché non vai in cucina a fare un caffè, eh?
Amalia, sua moglie, lo guarda smarrita. Sembra allucinata.
- Caffè? Non ce n’è più – risponde con una vocina tremolante.
- Non ce n'è più? Ottimo. Un tè? Dici che ce n'è ancora una bustina? E dai, su! Non state lì ad angosciarvi! Eccheccazzo, che ci sto a fare io qui dentro, eh? E poi...E poi ragionate un attimo, cosa potrebbero portarsi via, ah? Non abbiamo niente di valore. Il televisore? Che se lo portino! Troveremo un modo per procurarcene un altro, tranquille. E ancora? Non c'è nient'altro che possono portarci via. I mobili sono tutti sfasciati, la macchina pure è sfasciata e magari se la portassero via. Vedrete, capiranno la nostra situazione, non sono mica delle bestie quegli uomini, sapete? Sono uomini, appunto. Capiranno, capiranno, e se ne andranno stringendoci anche la mano. A loro poi che gliene importa? Sono soltanto degli esattori, non sono mica degli estorsori. Su, su, state tranquille, non state lì a tremare, tutto an…
Il campanello ha suonato e il signor Pallone s'è fatto quasi di pietra mentre la signora Amalia e le figliole hanno avuto un sussulto sulla poltroncina sfondata e lurida. Una volta, due volte, tre volte: il campanello è lì lì per squarciare la misera atmosfera di quella casa. Il signor Pallone sembra ridestarsi, caccia le mani dalle saccocce, guarda le donne della sua vita.
- Eh sì, devono essere loro. Chissà chi si è presentato per primo, ah? Io vado ad aprire, eh? Su, datevi un cazzo di contegno! Un po' di dignità, per dio! Non state lì a tremare! State tranquille. Sorridete, sorridete…Vado eh? Vado...
Il signor Pallone, quasi barcollando, va ad aprire la porta di casa. Lo fa molto lentamente. La porta è aperta e un uomo vestito di bianco è sulla soglia, serio e ombroso.
- Buongiorno - saluta il signor Pallone con un fil di voce.
- Sono qui per il pignoramento - dice secco l'uomo vestito di bianco.
- Ah sì?
- Non lo sapeva? Era stato avvisato, mi sembra.
- Oh certo, certo che lo sapevo.
- Vengo da parte della società del gas.
- Ah...Vuole entrare?
L'uomo sposta con una mano il signor Pallone ed entra.
- Non chiuda la porta. C'è altra gente - dice l'uomo bianco.
Il signor Pallone resta ebete sulla soglia. Vede altri uomini vestiti di bianco avanzare in fila indiana.
- Società della corrente elettrica - dice uno, ed entra.
- La banca - dice un altro, ed entra.
- L’assicurazione - dice un altro ancora, ed entra.
- Associazione Creditori Privati.
Un altro.
- Multe.
E un altro ancora. E’ un fiume in piena di creditori.
Sono sei in tutto, sei uomini bianchi con i capelli corti neri tirati a lucido e grossi occhiali da sole. Hanno fatto ingresso nel salottino sfondato e lurido. Si guardano intorno, emanando inebrianti effluvi che si sprigionano dalle teste e dagli abiti scintillanti e accecanti.
Gironzolano per la sala, osservando dappertutto con occhio esperto e professionale. La signora Amalia e le figliole ormai sono diventate un tutt'uno sulla poltroncina. Tremano e gemono. Il signor Pallone segue i movimenti dei signori ospiti, ansimando.
- Perché non prendete il televisore, ah? Potete prenderlo, davvero. E’ un ottimo esemplare. Non è gigantesco ma ha dei colori incredibili - dice.
I sei uomini bianchi esaminano l'apparecchio polveroso. Poi scuotono la testa.
- Non possiamo, non vale niente - dicono.
Guardano attenti la mobilia del salottino, anche la poltroncina su cui agonizzano le donne Pallone.
- Volete i mobili del salottino? - chiede disperato il signor Pallone, saltellando verso la poltrona.
- E' tutto rotto, è tutto molto vecchio e svalutato. Non possiamo - dicono.
Il signor Pallone accenna a sorridere debolmente.
- Ci conduca in cucina - dicono.
Il signor Pallone, zampettando, conduce i signori bianchi in cucina.
Studiano le condizioni del frigorifero, del forno, del tavolo, delle dispense, delle sedie. Sospirano, scuotono la testa, forse sono un po' infastiditi.
- E' tutto rotto, è tutto molto vecchio e svalutato. Non possiamo -, ripetono.
Il signor Pallone allarga le braccia.
- Tutta la casa è così, signori miei. Siamo dei pezzenti -.
- Pezzenti o non pezzenti, in qualche modo dovete risarcire le società con cui siete in grave difetto, compresa l'amministrazione pubblica -, dicono. Il signor Pallone ha un'espressione afflitta.
- Ma io…Prendete la macchina, eh? Nel parcheggio c'è una Fiat Punto grigia, prendetela. E’ una bella bestia.
- In che condizioni è?
- Straordinarie! Figuratevi…
- Ne è sicuro? La menzogna paga il doppio.
- Ha qualche problemuccio al motore, ma…
- Niente da fare, le società non possono accollarsi spese di alcun genere sugli oggetti pignorati.
Il signor Pallone lascia le braccia penzoloni, afflitto. Gli pare di sentire anche qualche debole singhiozzo provenire dal salottino.
- Ha un computer? - chiedono gli uomini bianchi.
- Venduto – risponde il signor Pallone con voce pesante.
- Un lettore dvd?
- C’ho fatto la spesa la settimana scorsa.
- Una parabola?
- Pignorata dal mio vicino di casa.
- Un pianoforte? Uno strumento?
- Suonavo il kazoo una volta, ma l’ho venduto a un barbone musicante l’altra sera.
- Un oggetto antico da collezione? Una statuetta di Capodimonte?
- Avevo un Pulcinella di San Gregorio Armeno, ma è morto di fame chiuso in dispensa. Deve aver sofferto in modo atroce.
- Un animale raro?
- Avevamo un cucciolo di cammello, ma le ragazze chiedevano carne…Ho sbucciato qualche patata, ripulito il forno e…
- D’accordo, basta così – dicono gli uomini bianchi.
I signori vestiti di bianco, sbuffando, si guardano a lungo tra di loro. Il signor Pallone guarda loro e un pizzico di ottimismo gli entra negli occhi.
- Ci riconduca in salotto - dicono infine gli uomini bianchi. Forse hanno preso una decisione. Forse stanno per andarsene, a mani vuote.
Il signor Pallone li riporta in salotto. Fa cenno alle sue donne di stare tranquille. Loro smettono di singhiozzare, guardando imploranti gli uomini bianchi, stringendosi ancor di più, sorridendo un po'.
Gli uomini bianchi sospirano gravemente, infilano le mani in tasca. Guardano per qualche minuto le donne sulla poltroncina attraverso i loro occhiali da sole. Il signor Pallone guarda loro incuriosito, aspettando.
- Ci dispiace signor Pallone, siamo costretti a mettere in atto l'ultima legge in materia di pignoramento - dicono continuando a fissare le donne. Il signor Pallone sussulta.
- La nu-nuova le-legge? C-che le-legge?
- Non la conosce?
- N-no.
- In casi estremi come il suo, in cui non ci è consentito pignorare nulla che abbia un valore all'interno della sua abitazione e non, siamo costretti a pignorare sua moglie.
La signora Amalia gridacchia qualcosa, e non si riesce a capire se sia afflitta e sconvolta dalla notizia oppure no. Le figliole restano mute e inespressive. Il signor Pallone sembra essersi svegliato da un lungo sonno. La sua espressione non è più quella di un ebete.
- Che cosa? Che cosa avete detto?
I signori vestiti di bianco tornano a guardare il signor Pallone.
- Significa quello che abbiamo detto.
- Pignorare mia moglie?
- Già.
- State scherzando, vero?
- No.
- Ma io non ve la lascio mica prendere mia moglie, sapete?
- Ci sono due agenti di polizia sotto casa, per ogni sgradevole evenienza, signor Pallone. Non commetta idiozie.
- Ma non potete farlo!
- Invece sì, è la legge e lei ha il dovere di rispettarla.
Il signor Pallone guarda i suoi ospiti rabbiosamente.
- E che cazzo ve ne fate di mia moglie, ah? Che succede una volta che me l'avete pignorata, eh? Sentiamo questa stronzata!
Il signor Pallone sbava.
- Viene messa all'asta - rispondono pacatamente gli uomini bianchi.
- All'asta!?
- Sì, verrà data al miglior offerente, scapolo. E le assicuro che ce ne sono tantissimi pronti a scannarsi per comprarsi una moglie all'asta.
La signora Amalia ridacchia e batte le mani, pervasa da elettrizzanti brividi di follia. Le figliole la guardano spaventate, staccandosi da lei. Il signor Pallone ha quasi le lacrime agli occhi per la rabbia. S'avvicina minaccioso alla donna.
- Esulti? Che cazzo esulti? Vuoi essere pignorata?
La donna s'alza finalmente dalla poltroncina sfondata e lurida e guarda il marito con occhi diversi dal solito. Gli ride in faccia, sguaiatamente.
- Seee! Voglio essere pignorata! Voglio essere messa all'asta! Seee! Seee!
- Come una schiava? Tu sei pazza! Sei uscita fuori di cervello!
- Seee! Sono pazza! Tu mi hai fatto diventare pazza! Tu e la tua miseria di merda! Sei un pezzente schifoso! Una zecca fallita!
- E tu sei una mignotta!
- Ricchione morto di fame!
- Troia merdosa!
Si tirano una sberla a testa, ma entrambi restano in piedi, senza cedimento. Ringhiano.
- Ora basta. Signora venga con noi - dicono gli uomini bianchi afferrando per le braccia la signora Amalia che ancora si dimena. Lei continua a sputare rabbia e pazzia dalla bocca e dagli occhi. Il signor Pallone non sa più come guardarla e non sa più come reagire. Lascia fare agli uomini bianchi.
- Seee! portatemi via, portatemi all'asta, subito! - urla lei tra le mani degli uomini bianchi che stanno per trascinarla verso la porta di casa.
- Mamma! - gridano le figlie.
- Vaffanculo pure voi!
- Mamma!
La signora Amalia viene portata via da quattro dei sei uomini bianchi.
Nel salottino le due ragazze piangono amaramente, il signor Pallone le guarda come assente e vuoto. I due uomini bianchi si guardano e sospirano. Poi toccano una spalla del signor Pallone. Questi si volta verso di loro, stancamente.
- Signor Pallone…Ci dispiace…ma siamo costretti a fare un'altra cosa che non le garberà. Sa, è la legge.
- Sììì? - dice il signor Pallone inespressivo.
- Sì.
- Volete anche le mie figlie?
- Esatto. Quanti anni hanno?
Le ragazze urlano terrorizzate.
- Quattordici e quindici.
- Bene.
- E che ve ne fate di loro?
- Stasera c'è l'asta dei papponi.
Il signor Pallone sospira.
- Puttane?
- Già, ma in piena regola.
- Ah.
I due uomini, un po' imbarazzati, prendono le ragazze attonite per le braccia. Guardano disperate il padre, ma il padre non guarda più nulla.
- Papà! Papà! - urlano, ma niente, ormai sono già per le scale. La porta viene chiusa, rumorosamente.
Il signor Pallone sospira ancora, profondamente; poi s'affloscia sulla poltroncina sfondata e lurida. E' stremato ma sembra lucido e tranquillo. Guarda per un po' la miseria nel suo salottino, con uno strano ghigno sulle labbra. Si rolla una sigaretta, l'ultima; l'accende, fuma, lentamente.
Trascorre un buon quarto d'ora, poi il campanello della porta suona nuovamente. Il signor Pallone non pare essersi scosso più di tanto. S'alza pesantemente, va ad aprire la porta. Un giovanotto vestito di bianco gli appare sorridente. Il signor Pallone lo guarda indifferente.
- Il signor Pallone?
- Sì.
- Sono venuto per il canone della televisione.
- Il canone della televisione?
- Eh sì.
- Io non la guardo la televisione.
- Però lei ha un televisore, vero?
- Sì.
- Ecco...Vede…Non importa se la vede o no la televisione, a noi importa se ce l'ha un televisore. Oggi si paga la tassa di possesso.
- Ah sì?
- Già.
Il giovanotto vestito di bianco allarga il sorriso.
- Aspetti un minuto - dice il signor Pallone.
- Non posso entrare?
- No. Attenda qui. Ho un sacco di ragazze nude in casa.
Il signor Pallone, stancamente e lentamente, torna nel salottino, s'avvicina al piccolo televisore, stacca qualcosa, poi s'avvicina alla presa, stacca qualcosa, stacca l'antenna. Poi, sospirando, prende il televisore tra le braccia e s'avvia di nuovo verso la porta. Il giovanotto lo guarda perplesso.
- Attenzione, la prenda bene, non la lasci cadere, eh?- dice il signor Pallone ammollando l'apparecchio tra le braccia del giovanotto attonito.
- Ecco, adesso il televisore è suo, se la paghi lei la tassa di possesso. E adesso se ne vada, ho da fare. Mi devo suicidare - dice il signor Pallone. Il ragazzo bianco è ancor più sorpreso.
- Suicidarsi? Con tutte quelle donne nude in casa?
- Non lo ha letto l’ultimo vangelo ritrovato? Sono cambiate le regole. Vada ad informarsi. Addio – risponde il signor Pallone. Poi chiude la porta in faccia al giovanotto basito.
Il signor Pallone torna a sedere sulla poltroncina, un po' sudato, ma è sorridente, stranamente tranquillo. Tutto ciò che è successo, molto velocemente, lo ha già annientato prima che lui se ne accorgesse.
- E speriamo che non venga qualche santo di merda a chiedermi la tassa per il suicidio – sussurra debolmente.
Si rilassa sul divano, allungando le gambe. Tira una generosa boccata dalla sigaretta, dall’ultima cicca. Sta serenamente ingegnando il suo piano finale: la morte volontaria.
Poof!! Poof!! Una nuvoletta scoppietta e su una sedia attorno al tavolo appare una sagoma. Indossa una giacca color cacarella con le toppe nere ai gomiti, e sotto la giacca un manto di peli ricci e folti; un paio di pantaloni bianchi di lino, degli infradito e in testa calza un berretto di lana blu. Ha le gambe accavallate e fuma una strana sigaretta a forma di tazza del cesso. La sigaretta sa di fogna, mentre i suoi piedi emanano vapori pesanti.
Il signor Pallone guarda la goffa sagoma con in bocca la sua striminzita cicca moscia.
- Oh merda, non mi dica che lei è davvero un santo! – esclama.
La sagoma sbuffa una nuvoletta puzzolente di fumo, che lentamente raggiunge sul soffitto la scia della nuvola da cui è sbucato poco fa.
- No, non sono un santo. Sono Dio. Sono il suo Dio, signor Pallone.
Il signor Pallone sghignazza.
- Ma va? Addirittura si è scomodato lei di persona per chiedermi la tassa sul suicidio?
- Ho letto i suoi pensieri. Davvero vuole farla finita?
- E me lo chiede? Certo! E non pagherò per ammazzarmi.
- Non le chiedo di pagarmi.
- Ah, ho capito! Lei è qui per dissuadermi, eh? Ma prego, dopotutto è suo diritto. Ma io ho già preso la mia decisione, chiaro?
La sagoma sbuffa.
- Lei non può permettersi di suicidarsi.
Il signor Pallone, sempre sprofondato nella sua logora poltrona, aggrotta la fronte. La sagoma di fronte a sé, Dio, sorride debolmente e lo osserva dai suoi occhi bianchi.
- Che significa questo?
- Non può farlo: se lei s’ammazza noi saremmo costretti a pagare una tassa al Diavolo per il recupero della sua anima. E le assicuro che si tratterebbe di una tassa salatissima.
Il signor Pallone scoppia in una fragorosa risata, mettendo in risalto una manciata di denti marci.
- E ‘sti cazzi! Mi va benissimo il Diavolo!
Dio sbuffa nuovamente.
- Lei non può capire e non starò certo a perdere tempo a spiegarle come funziona. Quindi lasci perdere.
- Eh no! A questo punto desidero ancora di più suicidarmi. Cazzo, non sono mai stato conteso in vita mia. Come un grande calciatore! Cazzo, su, fatevi la guerra a suon di milioni! Lo vede? Lo sapevo io che noi morti di fame valiamo qualcosa prima o poi.
Il signor Pallone è fuori di sé. Dio scuote la testa, un po’ irritato.
- D’accordo. Sono costretto allora ad annunciarle la seconda opzione – dice gravemente.
- Una seconda opzione! Manco Lionel Messi!
- Se lei si suicida sono costretto a fare un pignoramento.
Il signor Pallone ormai è sepolto dalle sue stesse risate a bocca larga. Ora si contorce sul divano.
- Ahhh! Ohhh! Pignoramento! Mi sta prendendo per il culo, vero? Ahhh!
- No – risponde freddo Dio.
Il signor Pallone, con un balzo nervosamente elastico, sguscia via dal divano, ritrovandosi in piedi, di fronte a Dio, curvo, con la bocca storta in un ghigno mostruoso, puntando un indice contro il suo bizzarro interlocutore.
- Senta Dio, e cosa crede di pignorarmi? Io sarò morto. Morto!
Dio non si scompone, restando sulla sedia nella stessa posizione di prima e continuando a fumare quell’interminabile sigaretta a forma di tazza del cesso.
- Se lei s’ammazza le pignoro l’aldilà, qualunque cosa esso sia. Se lei s’ammazza non andrà da nessuna parte: nulla eterno. Le toglierò qualsiasi speranza e porta aperta. Le pignorerò l’universo a cui è destinato.
Il signor Pallone, curvo e con l’indice teso, sgancia un grande peto.
- Non ci credo. Continua a prendermi per il culo.
- D’altronde, considerata la sua vita, speranze e porte aperte ce ne sarebbero comunque poche dopo la sua morte, anche se non causata dal suicidio.
Il signor Pallone, con un movimento incontrollato, si riporta a schiena diritta, ritrovandosi però sempre con l’indice teso. Guarda curioso il suo dito, che adesso non punta più contro la faccia bianca di Dio, bensì contro la parete. Ma non gli importa. Prova di nuovo a concentrasi sul suo ospite, con la faccia che adesso si prodiga in mille virtuosi tic nervosi. E’ in trasformazione.
- Perché? Per quale cazzo di motivo avrei poche speranze?
- Senta, signor Pallone, se non l’ha capito dopo sessant’anni di vita, miserabile, figuriamoci in questo preciso e patetico istante. Non crederà mica che io abbia creato questo mondo per i pezzenti inutili e insignificanti come lei, vero? Lei è semplicemente uno dei tanti milioni di aborti venuti comunque alla luce. Difetti della produzione, purtroppo incontrollabili e ineliminabili. Lei è qui solo perché non è stato ancora creato un marchingegno che vi elimini tutti. Anzi, che vi prevenga. Personalmente c’ho provato creando religioni, papi nel Medioevo, fondamentalisti, Napoleone, gli Zar, Hitler, Stalin, Pol Pot, Mussolini, i terroristi, gli americani, il mobbing sul lavoro, le guerre civili, la povertà, la siccità, la diarrea fulminante, l’AIDS, l’Alzheimer, etc, etc. Ho creato tutto questo con la speranza di non avervi più nella mia creazione del mondo. Io ho creato il mondo per farci sguazzare dentro i miei personaggi. A mio piacimento. Questo mondo l’ho creato per i mafiosi, i camorristi, lo Stato, i grandi magistrati, gli uomini politici, i corrotti, i ribelli, i Berlusconi, gli Andreotti e tutti coloro che li combattono. Ho creato tutto ciò per giocare al mio gioco preferito: chi prenderà il potere. E’ un’eternità che fornisco questa possibilità a milioni di grandi personaggi creati ad hoc, ma ancora nessuno ci è mai riuscito del tutto. Anche perché, e le confido un grande segreto, non succederà mai. E’ soltanto un gioco, e posso farlo smettere da un momento all’altro. Ma c’è un altro essere che sta più meno giocando allo stesso gioco, in un altro mondo: il Diavolo, quel pezzente nauseabondo. Lui crede di essere un genio, vuole per sé tutti gli stronzi e insignificanti suicidi come lei, e si li prende facendomi pagare tasse da capogiro. Quindi, come avrà ben capito, non ho alcuna intenzione di consegnarla a lui. Non si suiciderà, glielo assicuro, anche perché lei sarebbe l’ultima pedina che gli manca. Se vuole, l’ammazzo io, d’accordo? Vuole un infarto? Un ictus? O vuole crepare lentamente, con un bel tumore ai coglioni?
Dio sbuffa una grassa nuvola di fumo in faccia al signor Pallone. Questi ha ascoltato le parole dell’ospite sempre con l’indice puntato contro la parete, guardando con la lingua penzoloni le labbra di Dio che poco prima sputavano parole. Si schiarisce la gola, inghiotte un masso di saliva.
- Dunque stanno così le cose, ah? Un gioco! – dice ormai con una voce rauca che non gli appartiene più.
- Già. Questo mondo l’ho messo su per uomini di successo, mica per nullatenenti come lei. Il mio è un gioco di classe e uno come lei non mi serve nemmeno per fare una battaglia in un vigneto zeppo di cimici.
Il signor Pallone si curva di nuovo, così il suo indice può puntare ancora contro Dio.
- Scusi, ma non ho capito una cosa: perché non mi elimina del tutto? In questo modo non mi avrà nemmeno il Diavolo. Faccia come ha detto prima, mi lasci suicidare e mi pignori pure il mio aldilà. Non me ne frega un cazzo. Su, se ne vada e mi lasci soffocare sotto un cuscino.
- Ma non ha ancora capito, signor Pallone? Lei purtroppo dovrà servirmi dopo la sua morte.
- Cosa?
- Dovrò metterla a lavorare, mi servono continuamente dipendenti.
- Ma che cazzo va blaterando?
- Dovrà contarmi i morti ogni giorno: vittime di mafia, malattie, fame, guerre e tutto il resto che fa parte del mio gioco. Tra cent’anni ci sarà la resa dei conti, la fine del gioco: chi avrà fatto più vittime secondo i propri obiettivi avrà vinto. Dopodiché, chiunque avrà vinto, vi lasceremo tutti liberi di ricominciare a modo vostro. Ma ovviamente chi perde paga pegno. Se dovesse capitare a me, finirò per pulire per l’eternità il culo ai suoi animali bizzarri che tiene in stalle ricoperte di merda d’uomo. Se invece dovessi vincere io, lui, il Diavolo, finirà per diventare uomo come voi e sarà inchiodato a una croce. Un’altra volta: da leccarsi i baffi! Certo, è già successo, ma quella è stata soltanto una vittoria parziale, al giro di boa. Oh, però poi, come promesso, sarete tutti liberi, eh? Ma lei mi fa il preoccupato, vero? Non si allarmi, farà il suo lavoro in foltissima compagnia.
A questo punto il Signor Pallone è letteralmente invaso da vorticosi spasmi nervosi. Si contorce tutto, le braccia disegnano per aria diverse traiettorie, la bocca mille forme, le gambe gli arrivano in testa, attorcigliandogliela; gli occhi sputano dalle orbite, i capelli si dissolvono e cadono al suolo come lenta pioggia di cenere. E’ sospeso a mezz’aria. E’ in preda a una nuova forma di devastante epilessia. Dio osserva quell’insolita trasformazione con una lieve preoccupazione stampata sul viso bianco.
- Aaahhh! Ooohhh!
Il signor Pallone si tramuta definitivamente in un drago volante e punta contro il suo ospite. S’avventa contro Dio.
- Brutto figlio di put…
E’ il terremoto. E’ lo tsunami. E’ il nucleare. E’ una battaglia in terra mongola. E’ un tamponamento a catena nel traforo del Monte Bianco. I poli si ribaltano, i cieli cadono giù e le acque balzano in su; la terra si sradica, si strappa e si frantuma e si polverizza. Il mondo è truciolato, è sapone che si squaglia, è mozzarella che si fonde, è blob che fuoriesce dagli interstizi. I fulmini tuonano e i tuoni fulminano; le piogge inaridiscono e il sole gocciola. La notte è stuprata dal giorno e la pecora incula il pastore. Le auto sono risucchiate in un buco bianco, gli alberi volano come mongolfiere; i palazzi di governo, i parlamenti, gli istituti bancari, i pentagoni e gli stadi da calcio si rompono e formano il Nilo della devastazione, che scorre feroce in una terra che è ormai cielo dalle stelle fracassate.
L’ultimo boato squarcia gli equilibri perduti sospesi. Definitivamente.
Poi è la pace. Il silenzio che regna. Il frastuono che è morto.
Il signor Pallone si rialza, stremato, nudo. Solleva la testa: il blu intenso lo inebria. Si guarda attorno, riacquistando il regolare respiro. Le enormi querce gli accarezzano le orecchie con eleganti e delicati fruscii di foglie di velluto, accompagnati dalle voci che scorrono a pelo d’acqua d’un fiume che rispecchia un sole senza veli. Il signor Pallone rivolge lo sguardo in basso. L’erba è un morbido tappeto che gli rinfresca i piedi piagati; curiosi animaletti gli si aggrappano portando erbe e unguenti miracolosi. Il signor pallone li guarda con un sorriso rilassato. Poi si guarda le mani: sono piene di sangue, ma ora sa che può guarirle grazie a quegli animaletti.
Tira un lungo e profondo sospiro di sollievo.
- Cazzo, ce l’ho fatta. Non ci posso credere. L’ho fatto fuori! Gli ho fracassato quella gran faccia da coglione!
Comincia a correre, di nuovo in salute, felice di percorrere la bellezza che gli canta attorno. Felice di riscoprire. Felice di ricominciare daccapo.
©
Luca Palumbo
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