Che quello sarebbe stato un viaggio diverso dagli altri non me lo aspettavo. Proprio no.
Da sempre adoravo spostarmi in treno.
Seduta sul sedile, cullata dal dondolio dei vagoni, mi piaceva vedere scorrere il paesaggio accanto a me. Le cose scomparivano rapidamente dalla mia vista e si confondevano con il resto.
In quei viaggi mi sentivo in pace con il mondo e osservavo, curiosa come una bambina, le luci delle case che interrompevano il buio.
Amavo l'impressione di essere fuori dal tempo e dallo spazio e la sensazione che tutto diventasse immaginabile e realizzabile.
Non partivo mai senza un libro; mentre il treno andava mi lasciavo man mano catturare dalla storia che leggevo.
Anche quel giorno ero salita, di ottimo umore, zaino in spalla e romanzo in mano.
Zia Eugenia mi aspettava con impazienza per andare insieme a scegliere i regali da mandare alla sua nipotina in Liguria; era rimasta sola e nessuna delle sue vecchie amiche aveva accettato di accompagnarla. Toccava quindi a me.
Non mi sentivo molto legata a Zia Eugenia, donna burbera che da piccola mi aveva sempre fatto soggezione e timore, ma mi sentivo in dovere di darle una mano.
Il tragitto per arrivare da lei non era molto lungo e alla stazione avrei trovato ad aspettarmi il vecchio Arturo, maggiordomo della zia da quando ero piccola.
Mentre viaggiavo ripensavo con nostalgia alle lunghe estati passate da lei, mentre mamma lavorava.
Andare da Zia Eugenia, in quella vecchia casa, buia e piena di stanze, mi metteva sempre un po’ di paura e solo l'idea delle avventure con la mia cuginetta Celine e delle caramelle che di nascosto Arturo ci avrebbe regalato mi consolavano un po’.
Il nostro passatempo preferito era perlustrare la casa di stanza in stanza alla ricerca di tesori difesi da mostri spaventosi; i vecchi mobili nascosti sotto teli e lenzuola prendevano vita e diventavano oggetti magici.
Ero immersa nel ricordo di quei momenti così lontani e nello stesso tempo così vicini quando entrò il controllore.
"Biglietti, prego".
Gli passai il biglietto e mi irrigidii di colpo. Al dito aveva un anello che, non ricordavo dove, avevo già visto.
Lo guardai in viso cercando di capire se l'avessi incontrato prima; il suo volto aveva qualcosa di familiare che non riusciva però a trovare posto nella mia memoria.
Non riuscii a pensare ad altro; cercavo di immaginare dove potessi aver visto quell'anello senza successo. Passai in rassegna i posti in cui ero stata e le persone incontrate ma il buio era completo.
Mi sembrava di impazzire, senza sapermi spiegare perché sentivo che dovevo trovare una risposta.
Leggere ancora mi fu impossibile.
Dopo la fermata successiva il bigliettaio ritornò perché altri passeggeri erano saliti sul treno e quindi potei osservare con più attenzione l'anello, e tutto si fece chiaro.
Ricordai all'improvviso che a casa di Zia Eugenia, alle pareti della biblioteca erano appese numerose foto: in più d'una era ritratta la mia famiglia quando ancora era felice e unita.
Papà nei miei ricordi rimaneva un'ombra indistinta e una fredda immagine in un quadro di famiglia resa più reale solo dal profumo di colonia a buon mercato che immancabilmente si portava dietro.
Mamma e papà sorridevano, mano nella mano, il giorno del matrimonio e nelle istantanee delle vacanze: lì avevo visto quell'anello.
Entravo di rado in quella stanza, vedere quelle foto mi riempiva di tristezza perché rappresentavano la felicità piena goduta prima dell'abbandono da parte di mio padre.
A quel punto incontrai gli occhi del controllore. "Papà" sussurrai.
E capii che il viaggio era appena iniziato