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Guardo la schiuma della Neretva passarmi sotto. E' presto, sul ponte ci sono solo io e i tre ragazzi in costume da bagno, pronti per il tuffo.
Mi guardano, ho capito cosa vogliono ma ho pochi soldi e non c'è nessun altro con cui fare una colletta. Si allontanano, decidono di rinviare il tuffo a quando arriveranno i turisti. Allora di impeto mi tolgo la camicia e i sandali e resto sospeso verso il fiume.
Da qui in alto mi prende la paura delle prime volte da bambino. Avevo dieci anni e c'era il Ponte Vecchio. Allora non lo si faceva per qualche soldo, era la nostra iniziazione. A volte mi sporgevo, mi mettevo in posizione, ma quando vedevo quell'abisso verde pronto ad ingoiarmi, mi prendeva la paura e mi ritraevo tra le risate dei ragazzi più grandi.
Spiccavano in volo tutti insieme, rimanevano sotto dei lunghissimi secondi, poi saltavano fuori come delfini e s'immergevano di nuovo una, due, dieci volte. Nuotavano contro la corrente che inutilmente cercava di portarli via, fino a quando, esausti, tornavano a riva. Ma dopo pochi minuti erano di nuovo sul ponte e subito dopo di nuovo nella corrente. Andavano avanti così, fino a quando il sole spariva dietro le montagne.
Quella prima volta sul ponte eravamo rimasti solo io e il mio amico Izet, i più piccoli. Dalle raccomandazioni delle mamme avvertivamo che le cose stavano cambiando, che dovevamo farlo, subito, prima che qualcosa di terribile ce lo impedisse per sempre.
Ispirai tutta l'aria che mi poteva stare nei polmoni, guardai la schiuma che sembrava chiamarmi, lanciai una sguardo d'intesa ad Izet, chiusi gli occhi e mi buttai. Li riaprii dopo aver annaspato nella corrente gelida, sputai un gran sorso d'acqua e mandai un grido di vittoria. Un attimo dopo fu nell'acqua anche Izet, lo raggiunsi con due bracciate. Mi diede una manata sulla schiena e ci abbracciammo. Così la corrente ci prese e ci riportò sotto. Ci facemmo un'altra bevuta di Neretva e uscimmo con la pella d'oca, pronti per un altro tuffo.
Il ponte si è riempito di turisti. I tre ragazzi contrattano, non si butteranno per meno di venti marchi da dividersi, è il loro lavoro. Come è un lavoro quello di Nedin che permette di fotografare la sua gigantografia del Ponte Vecchio distrutto dai bombardamenti. Lui è da solo e si accontenta di due euro.
I ragazzi hanno finito la trattativa. Mi vedono a torso nudo e mi fanno un cenno d'intesa. Ci lanciamo in perfetta sincronia. L'acqua gelida mi prende e mi porta sotto. Sento i brividi nel corpo, il sangue premere nella testa ed annullare il tempo.
E rivedo la nonna concitata che mi grida di seguirla nel sottotetto e mi nasconde dentro un baule coperto di ragnatele.
Chiuso nel buio, sento gli spari e le urla.
Sento i loro passi, i comandi secchi, sento la risposta di mio padre, capisco che lo stanno portando via.
E poi sento la risata oscena del soldato, il grido lancinante di mia madre.
E poco dopo ho davanti il suo viso invecchiato di cento anni, in una maschera di lacrime e di sangue.
Mi ritrovo nella lunga fila di donne, di vecchi e di bambini, dove c'era il ponte solo macerie, fumo e scoppi dalle montagne.
Guarda la Neretva che si porta via i corpi dei tuffatori.
Salto fuori con un grande respiro che mi riporta nel presente. Torno a riva con poche bracciate, ignorando la corrente che non vuole lasciarmi andare. Mi rivesto, stringo forte il tuffatore più giovane.
Torno verso la scala di quello che non è il mio ponte, attento a non scivolare sulla pietra bianca troppo liscia. Vado verso la riva dei negozi. Quello del padre di Izet è aperto, un ragazzino mi prende per turista e mi mostra dei souvenir. Gli faccio segno che non voglio niente. Ci rimane male, allora gli compro un piccolo servizio in rame con gli ultimi soldi. E' raggiante, ha gli stessi occhi di Izet. Vorrei chiedergli di lui, ma mi trattengo. Pago e lo saluto. Con passo veloce torno verso l'albergo.
Luigi Maffezzoli
luigimaffezzoli@circolopickwick.it
https://www.luigimaffezzoli.it
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Luigi Maffezzoli
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