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1.
Di là dall'interminabile fascio di binari della stazione, le verdi cifre digitali sul condominio che aveva venduto mezza terrazza ad una gigantesca luminosa della Banca SVAL segnavano trentatré gradi. Questo significava che a terra faceva molto più caldo. In effetti i binari sembravano piegarsi sotto l'afa sensazionale.
Corrado era stanco, tornava da una settimana di lavoro. E siccome la SIG (Sistemi Innovativi Gestionali) era in crisi sostanzialmente irreversibile, tanto che molti avevano mentalmente aggiunto al nome dell’azienda un’acca finale, e le azioni SIG valevano ormai come una manciata di gusci di pistacchio vuoti, i dipendenti erano precettati in riunione permanente. Si preparavano vivaci proiezioni da tutti i portatili con titoli fantasiosi, mai meno lunghi di dodici parole, di cui almeno una metà inglesi, come prescritto dalla direzione. Ad ognuno dei gruppi, cioè scusate dei team, era stato assegnato un colore, con un subdolo sondaggio sulle preferenze cromatiche: Corrado era finito nel gruppo rosa. Voleva dire che si doveva usare come sfondo della presentazione in Powerpoint una tonalità del colore previsto. Era contento perché nel gruppo rosa c'erano solo donne, un contrattista un po' effeminato, e lui. Era accaduto come quando si scelgono le squadre di calcio al campetto facendo la conta: c'è sempre quello che rimane fuori, o è di troppo, o nessuno vuole, ed appunto il ragazzo effeminato, poverino, non lo voleva nessuno, anche se tutti gli facevano falsamente dei sorrisi larghi come gondole, soprattutto perché portava delle scarpe di cuoio marrone che davano cattivo odore e d’altronde gli erano costate dodici euro al mercato. Non era neanche colpa sua, cioè la sua colpa era di essere precario, e quindi intimamente da disprezzare, perché solo un precario poteva comprare delle scarpe del genere, che nemmeno l'aria condizionata valeva ad asciugare. Corrado doveva finire nel gruppo blu, ed un po' se ne doleva, da quando aveva letto, forse su Focus (o era sull'editoriale di Playboy?), che il blu della carta da parati, dell'intonaco o dei mobili, e quindi, evidentemente, anche delle pagine in Powerpoint, può indurre la depressione. Così aveva finto un’improvvisa allergia per il colore blu e specie per la pittura blu, con tanto di certificato medico autenticamente autoprodotto: per mancanza di fantasia o per necessità, sul timbro fasullo del medico di base si leggeva Dr. D. Modugno. Ma tutti lo presero per buono, anche perché suonava credibile. E, per dare più forza alla decisione, aveva fatto un cenno al contrattista dalle scarpe dubbie, come per dirgli: "Vieni con me?". Tutti avevano ammirato il coraggio di Corrado per alcuni minuti.
A Corrado piacevano le donne, voglio dire poteva arrivare all'insanità mentale per un sorriso di una bella donna, ma spesso otteneva da loro ben più di un sorriso. Piaceva, e gli piaceva piacere. Le riunioni di gruppo il lunedì erano molto interessanti, da un punto strettamente professionale. Corrado prendeva furiosamente appunti: su una pagina divisa in due colonne annotava a sinistra scollature (sc.), trasparenze (ts.), semitrasparenze (sts.), gambe in vista (gv.), vita bassa (vb.), autoreggenti (ar.), pancino (pc.) e così via, mentre a destra disponeva aggettivi e locuzioni come interessante (in.), seducente (s+), sensuale (s²), splendida (s³), spogliabile (s-), sto per provarci (s!), speriamo che si chini (s/2) e costellava i margini di rapide ed eleganti annotazioni come e- (e a letto?) oppure h:a (è l'ora di agire).
Siccome non sospettava ancora che le nove colleghe avessero capito le sue intenzioni e decrittato il suo codice circa dieci minuti dopo il suo ingresso nel gruppo rosa, aveva creato un sistema che pensava molto intelligente per attribuire nascostamente sostantivi, aggettivi, avverbi e locuzioni alle colleghe: sulla riga 1 si riferiva a Rosa, sulla 2 a Francesca, sulla 3 a Monica, eccetera. Finite le colleghe, ricominciava. La cosa difficile era arrivati a fine pagina, cosa che accadeva spesso, specie in prossimità dell'estate, fare il riporto, perché se la pagina era finita con la 7, Marina, la pagina successiva doveva iniziare con la 8, Chiara, e questo non era sempre facile da ricordare, per cui Corrado preferiva più di recente, terminando con la 9, Loredana, passare a pagina nuova, ove la prima riga era di nuovo riferita a Rosa. Aveva sempre trovato difficili le addizioni in colonna: quando la maestra gli faceva mettere delle dita sulla testa per ricordarsi di riportare le unità e le decine, Corrado di solito si grattava il capo. Ma, anche eliminato il riporto, c'erano le altre operazioni: così "sensuale e splendida" era s5 e "sensuale e seducente" s(s+1), come da scomposizione in fattori, mentre "splendida, sto per provarci" faceva s³*s!, o meglio 1*2*3*…s4 come da calcolo fattoriale. In modo logico, ma piuttosto imbarazzante poi, si deduceva che "seducente e spogliabile" faceva 0, e questo era un accoppiamento che Corrado si sforzava di evitare, perché gli dava la sensazione di andare in bianco. Non sempre ci riusciva, il che attribuiva all'eccessiva venustà delle colleghe. Ah, ecco, perché in generale Corrado le trovava tutte splendide (s³).
In questo modo leggermente maniacale, il ragazzo, che aveva anche una laurea, forse due, passava il tempo, aspettando la ripresa, od il licenziamento. Stava anche cercando un altro lavoro, ma non era facile, anche perché, si sa, coi computer, la stenografia, che era l'unica tecnica in cui fosse diventato davvero competente, non si usa più.
Insomma Corrado tornava da una settimana di lavoro al Nord, dalla sua ragazza che abitava al Centro, e che si chiamava Barbara. Per tornare a fine luglio nella città semideserta dalle parti della luminosa della Banca SVAL, bisogna o essere rivestiti d’amianto, e quindi intimamente cancerogeni, o amare molto la propria ragazza. Non si faceva molta fatica ad amare Barbara, almeno esteriormente, bionda col volto allungato, le piccole e graziose efelidi, gli occhi verdi ed un sorriso che faceva sbocciare i fiori. Corrado era stanco, come abbiamo detto, per le interminabili e noiose riunioni, ed inoltre il caldo era intollerabile, ma non poté esimersi, una volta sceso sul cocente e deserto marciapiede, di trovarsi abbracciato con Barbara. Zelante, premuroso ed esperto, non mancò di andare a fondo della questione: sapeva dove mettere le mani e ve le mise, ottenendo un certo effetto che desiderava, ma non sperava di conseguire. Mediocre, ma promettente. Ma quando, buttando fugacemente l'occhio nella polo di Barbara, notò che lo sguardo gli poteva cadere senza rete fino al celebre pancino (pc.) della sua ragazza, l'effetto si fece dirompente e difficilmente mascherabile, cosa che la stessa Barbara non poté che constatare: era un fatto, e coi fatti non è facile scherzare.
Il ragazzo bruno e stempiato, con la camicia a scacchi e l'incongrua valigetta, e la ragazza dal pollice verde erano dunque giunti a quel punto della loro vicenda ormonale in cui converrebbe appartarsi per riflettere sui possibili sviluppi. Infatti, se Barbara era venuta a prenderlo alla stazione con quel caldo, era con intenti purissimi, ma la piega improvvisa che aveva preso la situazione richiedeva una decisione immediata e coraggiosa: così lei gli propose di andare a casa sua. Si poteva farlo: sua madre era partita per il mare con un'amica. Certo, restava suo fratello.
Massimo, il fratello di Barbara, a parte che neanche ridendo a squarciagola riusciva a far fiorire qualcosa, era in realtà una protesi umana del proprio computer. Specialmente da quando sul computer aveva installato “il mulo”. Il mulo, nobile animale, serviva a scaricare da Internet un’infinità di cose che era difficile che Massimo avrebbe mai trovato il tempo di guardare od ascoltare, dato che, un po' mulo egli stesso, era sonnacchioso ed intrinsecamente capoccione. In realtà, le prestazioni del mulo dipendevano dalla connessione, che era sempre troppo lenta, malgrado la scatola dei contatti ormai fosse solo leggermente più piccola del computer stesso. Di conseguenza, dato che poteva per esempio accadere che uno scarico andasse a vuoto a circa dieci minuti dalla fine, a volte meno, sempre per colpa della connessione, urgeva trovare un capro espiatorio. Per farla breve, qualcuno doveva avere “spento il mulo”. Quel giorno però Massimo era di buon umore, aveva appena scaricato la Tetralogia diretta da Von Karajan in un tempo netto di due giorni, tre ore e quindici minuti di continua sosta davanti al computer (poteva permetterselo: stava godendo le ferie dell'anno precedente) con occasionali ed incidentali soste accanto al frigo ed in gabinetto. Anche un fachiro ne avrebbe apprezzato lo sprezzo della fatica. Perché il mulo, pur nato per star da solo, anche e non solo perché sterile, andava invece sorvegliato, in quanto Massimo aveva iniziato a sospettare, dopo aver accusato per lungo tempo i suoi familiari, che si spegnesse da solo. Sempre per colpa della connessione.
Quel giorno però Massimo era contento, come già detto, quindi non la facciamo tanto lunga; talmente contento che quando vide comparire alla porta Corrado, abbracciato in modo abbastanza ergonomico a sua sorella, riuscì quasi a salutarlo. I due passarono poi ai fatti in camera di Barbara, dove ella, dando seguito al discorso che aveva destato un indubbio interesse nel suo ragazzo, iniziò a togliersi la..., ma desistette all’istante (al punto che non terminiamo di scrivere la parola), perché Massimo la chiamava. Si affacciò nel corridoio, e suo fratello quasi la investì, gridando:
“Vabbé che state a fà dudum dudum, ma me sa che te cercano ar telefono”
“Veramente volevo farmi una doccia” Barbara era sempre forbita, specie da quando Corrado lavorava al Nord.
“Seee, la doccia col dudum”
“Sai che non sopporto quando parli in questo modo?” disse, ma ridendo.
“E’ più sexy, no? Non trovi?” disse Massimo, e fece il gesto del dudum per farla innervosire, ma Barbara aveva troppo caldo per reagire. Gli tirò solo un giornale dietro, ma fece cilecca.
Al telefono, c’era Laura, che era ancora in città, anzi, come precisò, era ancora al lavoro. Sola e disperata, come chiarì subito dopo. Barbara non voleva parlarle al telefono di casa, che naturalmente era nel corridoio, in modo che tutto il palazzo potesse avere notizie di giornata: avrebbe potuto chiudere tutte le porte, ma il corridoio aveva un’atmosfera controllata ed umidiccia che anche una locusta di buon cuore avrebbe trovato un po’ tiepidina. E Laura, la solita pasticciona e casinista, aveva il cellulare scarico, per un complesso motivo psico-fisico, il cui svisceramento da tutte le angolazioni richiese non meno di due minuti del prezioso e dorato sudore di Barbara. Massimo, passando, commentò: “Aho, me pari fontana di Trevi”, ma Barbara non aveva più giornali da tirare, anche perché le sarebbero scivolati dalle mani, ormai. Avrebbe potuto tentare con le Pagine Gialle, ma in fondo voleva bene a suo fratello, quando taceva e faceva quel che gli riusciva più congeniale, cioè scaricare roba che non gli serviva. D'altronde, come si poteva voler male ad uno che aveva una canotta grigia con scritto davanti University of Ochio, non Ohio, in quanto era un’imitazione, e dietro O©chio alla canotta?
L'unica soluzione era avviarsi subito da Laura, appena fosse uscita dall’ufficio. Laura abitava in un miniappartamento, ufficialmente dalle parti della Pineta Sacchetti, ma che lo stradario le riconosceva come ubicato a Primavalle, cosa che le aveva sempre creato un senso di sconforto e frustrazione: ammirava chi andava verso il popolo, ma pretendere di abitarci vicino era un po’ troppo. Della Pineta Sacchetti la casa aveva solo il prezzo, tanto che aveva consumato tutto quello che Laura aveva in banca, poco a poco, prima ancora che ella avesse finito di arredarlo. Ora Laura come secondo lavoro montava mobili.
Restava il problema di prima, cioè che Corrado aveva ancora la lancia moderatamente in resta, certamente non a fondoscala, perché il caldo, l’attesa ed una doccia separata e senza dudum lo avevano sfibrato non poco, ma insomma Barbara riteneva ad un sommario esame visivo che un suo opportuno e calibrato intervento avrebbe ancora potuto fare miracoli, sempre che le servisse un miracolo e non un ragazzo.
In un momento di lucida follia, decisero di prendere un tassì per andare da Laura, e Caimano 28 fu loro annunciato dopo tre minuti. Barbara pregò chi di competenza per il suo problema di coppia che il Caimano fosse una Multipla, possibilmente con aria condizionata.
2.
Non era una Multipla, ma era un’Espace, e ci si sguazzava, malgrado molto della romanticheria dell’idea della corsa in tassì fosse stato guastato agli occhi di Barbara dal tassista che in risposta ad un commento della ragazza rincuorata dalle dimensioni della vettura, pronunciò “espeis”, perché naturalmente ogni nome che suona esotico dev’essere inglese. Ma gliel’avrebbe quasi fatto passare, se non avesse avuto la forfora, molta forfora, e per giunta portasse una maglietta blu di cotone, in modo che i globuletti biancastri avessero il miglior contrasto possibile col colore del tessuto.
Corrado riprese le sue sotterranee attività di mano, senza parlare, anzi, con grandiosa condiscendenza, senza nemmeno guardare Barbara. Se la immaginava, o forse si figurava che fosse una delle sue nove colleghe spogliabili (s-). In verità Barbara, specie se sufficientemente spogliata (s?!) come in quel giorno canicolare, non temeva confronti con nessun membro del personale SIG(H). Sarebbe bastato guardarla perché i fantasmi delle colleghe si dileguassero. Ma purtroppo il tassì gli aveva fatto venire in mente Histoire d’O., e un uomo intimamente e sottilmente erotico, come Corrado nascostamente, ma nemmeno tanto, si riteneva, si suppone non guardi la donna con la quale sta per avere un infuocato incontro. Che a lei piacerebbe altrimenti, conta relativamente poco. Anzi, se Barbara fosse stata nella parte di O., avrebbe potuto gemere un pochino, tanto per gradire, invece di avere quelle labbra serrate, quasi se le stesse mordendo.
La ragazza, dopo qualche minuto in cui aveva sperato di proseguire il discorso iniziato nella sua camera, fu presa da una sensazione di distacco e d’estraneità sempre più evidente. Aveva sempre caldo, nonostante la climatizzazione, e si sentiva sempre piena di aspettative, come sul marciapiede della stazione poco prima, soltanto che adesso né l’una cosa né l’altra erano più piacevoli. Solo sudaticce, forse morbose. Quell’incerta sensazione non tardò a definirsi in fastidio, e Barbara cercò di muoversi impercettibilmente verso un estremo del sedile, pur senza lasciare la mano (beh, quella libera) di Corrado. E’ quello che gli uomini spesso recepiscono come “Non mi va più, scusami”, anche se spesso è qualcosa di più complesso, più una cosa d’atmosfera, di sensazione subliminale, che di fatti concreti. Perché in verità Corrado aveva solo ripreso il discorso dove l’aveva lasciato. E’ che a Barbara sarebbe piaciuto che si fosse accorto che l’interruzione chiedeva di cambiare registro, magari arrivare allo stesso risultato, ma per altre vie, più vicine al cuore, che non è esattamente quello che sta sotto i vestiti. Ci sta, ma ci si è trovato senza volerlo.
Il fastidio si mutò quasi in rabbia, quando vide le proprie gambe nello specchietto retrovisore del tassì. Lasciò la mano di Corrado, sicché anche l’altra ricadde, come quella di un fantoccio, e disse, dopo essersi morsa ulteriormente le labbra: “Senta...”
Il tassista non parve stupito che la ragazza gli rivolgesse la parola proprio a quel punto, anzi la prevenne: “Se è per lo specchietto, mi sembra normale, è puntato verso dove le donne mettono le gambe. C’ho fatto uno studio”
“Non mi vorrà far credere che tutte le donne mettono le gambe nello stesso punto”
“Non solo, anche nella stessa direzione, con un angolo di 30 gradi rispetto alla linea del cruscotto. Cioè, l’angolo dipende dal modello di macchina, per l’Espace è così”
“A parte che si dice espas e non espeis, perché è un’auto francese, lei mi sta dicendo che usa lo specchietto solo per guardare le gambe alle donne?”
“E’ regolare! Quanti specchietti c’ha una macchina?”
“Tre, no?”
“Già, uno dentro e due fuori. Ora lei è giovane e non si ricorda, ma prima, tanti anni fa, quand’ero giovane anch’io, ci avevamo solo lo specchio dentro, e bastava”
“Eh già, c’era poco traffico”
“E c’erano poche gambe, vojio dì, gambe da véde. Cor tempo, aumentando le gambe e magara pure il traffico, hanno messo prima uno specchietto fuori, poi, visto che nun bastava, pure un secondo, per lascià quello dentro per l’osservazione”
“E non le dà fastidio per il traffico?”
“No, anzi è un sollievo. Vede per esempio oggi, stavo a morì dar callo dalle parti della Majiana, in un posto dove ce sta solo un bar aperto co’ due tavolini, senza manco un filo d’ombra, m’ero fatto già un litro d’acqua, tre chinotti e dubbirre, quando ricevo la chiamata, che poi era la vostra. Vi vedo salire, regolo lo specchietto, e me godo lo spettacolo. Non c’è più caldo (anche perché accendo il condizionatore), non c’è più fatica per il Caimano, è come stà al cinema, mejio perché pagate voi. You made my day, come dice la canzone”
Barbara voleva mantenere il punto di essere indignata, ma notava anche che, parlando sul serio, Corrado le gambe non gliele aveva mai guardate, né tanto meno gli aveva detto che le trovava belle; toccate sì, ma quello si può fare anche ad un’estranea, che so per sbaglio oppure, perché no, volutamente per vedere la reazione, per prova magari. E non le aveva mai guardato le gambe, come non la guardava un attimo prima, eppure era sicura di piacergli. Sicura? Beh, diciamo che Corrado tendeva ad andare al sodo, e si va al sodo, di solito, con chi si desidera. Ma chi se ne frega del sodo, pensava Barbara, a volte bisogna tirarla anche un po’ per le lunghe, specie quando fa caldo, che era poi quello che contava. Il fatto è che, e Barbara non lo sapeva, Corrado abbreviava il rito con lei, perché andava già abbastanza lungo col “gruppo rosa”. E, quel che le diede ancora più fastidio, non aveva detto niente, o quasi, per tutto il percorso; unico segno di interesse, ma chissà se rivolto a lei, un mediocre rigonfiamento, che a quel punto quasi la imbarazzava. Le veniva quasi voglia di farsi invitare a cena dal tassista, peccato per la forfora. Per intanto, solo per simpatia, si dispose di nuovo nella posizione indicata per l’Espace, senza farsi troppo notare da Corrado, anzi prendendogli la mano, ma avendo cura che non riprendesse le sue attività: guardare e non toccare, si dice, non toccare e non guardare. Specie se fa sempre più caldo.
Arrivati davanti a casa di Laura, sembrava che la palazzina fosse deserta da mesi: anche il ficus a pianoterra era arso come uno scheletro. Solo, sul balconcino al primo piano sporgevano cartoni, residui di scatoloni d’ogni forma, colore e dimensione. Suonarono il citofono, senza molte speranze: poteva darsi che Laura non fosse ancora tornata, d'altronde, benché fosse perfettamente normale, conoscendola, che avesse lasciato il balcone, quel che lei definiva "il mio unico sfogo", in quello stato deplorevole. D’altronde aveva telefonato meno di un'ora prima dall'ufficio. E lavorava in via Bissolati, quindi a considerevole distanza da lì (anche se la città era semideserta).
Salirono con attenzione e cautela, perché il portoncino era solo socchiuso. Una zeppa, fatta col ritaglio di un catalogo, teneva aperta la porta di casa ad angolo retto. Il miniappartamento di Laura era formato da un soggiorno-sala da pranzo con armadio-cucina, una camera da letto 3x3 senza porta, ed un bagnetto triangolare con scalino e doccia a trapezio isoscele, dove per lavarsi le mani bisognava mettersi di sbieco rispetto al lavandino, perché il bidé ed il gabinetto coalizzati stringevano il lavandino contro l'ipotenusa.
Nel soggiorno-salotto solo la libreria era al suo posto: il tavolo non c'era più, giaceva piegato in due accanto alla porta-finestra, a cavallo della quale, aperta, c'era il mobile TV con l'apparecchio sopra. Due sedie erano contro l'armadio-cucina, chiuso a chiave. Dappertutto c'erano pannelli, strisce di legno, fondi di truciolato: all'angolo con la porta del bagno, un sacchetto di viti, bulloni ed eccentrici era desolatamente accartocciato. Laura in calzoncini e maglietta, sudata come un cavolfiore bollito, giaceva al centro, semisdraiata: alta com'era, occupava mezza stanza. Per alcuni, lunghissimi istanti, sentendo i passi, non mostrò nessuna reazione. Poi sollevò la testa: una forcina, che doveva aver tenuto in alto un ciuffo di capelli, ora si appendeva ad esso, come se avesse paura di cadere e perdersi in quel baillamme.
Si volse verso Barbara: "Da via Bissolati c'ho messo venti minuti, c'era poco traffico, poi sono uscita prima, perché devo finire di montare Jon"
"Jon?"
"Sta per Jonathan, è il mobile del computer: solo che sto avendo qualche problema tra l'istruzione 16 e la numero 17"
"Possiamo aiutarti?"
Laura sorrise, per quel che poteva, e si mise seduta: "Aiutarmi? Non esattamente. Basterebbe un po' di supporto morale…E' che sono tanto giù…"
"Per Jon?"
"Non per Jon. Jon è l'ultimo dei suoi fratelli, poi la casa è arredata ed anche i soldi sono andati tutti fino alla fine del mese. Ma guarda se una dev'essere alta un metro e ottanta e prendersi la casetta dei Sette Nani. Almeno ci stessero sette letti, è tanto se ce ne entra uno"
"Beh, un letto basta, no? A meno che tu non voglia…"
Barbara non capiva perché Corrado dovesse avere sempre uscite inopportune, e sì che era una delle persone più taciturne del mondo, aveva solo le mani loquaci, ma anche quelle a sproposito. Laura si era lasciata col ragazzo qualche mese prima ed aveva preso l'appartamento a Primasacchetti, appena ripresasi dallo choc. Non era forse il caso di ricordarle che ci potevano essere letti a due piazze nel mondo.
E' che Corrado sul letto aveva altre idee, anche perché alla vista di Laura semisdraiata la lancia stava per tornargli in resta, non per Laura poverina, ma per il ricordo delle colleghe: pensò ad organizzare una riunione del "gruppo rosa" alla piscina dello Sheraton, tanto i capi della SIG pagavano tutto quello che era di rappresentanza, bastava che fosse inutile.
Laura capì la questione al volo: "Ragazzi, per me sapervi qui è un grande sollievo, anche se non doveste nemmeno alzare un cacciavite o girare una brugola. Se so che siete qui, non mi sento una pazza che vive sola in una palazzina dove tutti sono andati al mare, e che cerca senza riuscirci di dare un aspetto decente ad un buco di casa. Non mi sento più nemmeno in colpa coi miei per non avere il posto fisso, se siete qui. Pensate quanto siete importanti per me. Basta che ci siate. Se volete mettervi a vostro agio, e per esempio fare qualcosa di creativo ed entusiasmante nel mio letto, io non ho problemi. Il palazzo, come dicevo, è vuoto, ed io sento solo gli scricchiolii di Jon. Ma mi permetto di farvi notare un paio di cose: la rete ha le doghe, bisogna girar le viti ogni sei mesi sennò il letto si sbraca, ed il movimento che farete sicuramente accelererà l'usura degli eccentrici che reggono i pilastrini, specie tu Corrado che per quanto giuggiolone sei grande e grosso, quindi se volete farvi una trombatina, fatela leggera, soave, come il vino. Eterea"
A Corrado non piaceva esser definito giuggiolone, per mostrarsi disinvolto disse allora: "Non è che hai qualcosa da bere?"
"Certo, acqua del rubinetto del bagno. La cucina è chiusa, e la chiave è da qualche parte sotto i pezzi di Jon, perché mi è caduta, mentre spostavo il mobile TV"
"Del lavandino?!"
"Beh, se vuoi bere quella del bidé, non c'è problema. E' la stessa acqua, basta che non ci sciogli dentro il sapone per l'igiene intima per fare un cocktail", continuò Laura, poi si sollevò del tutto in piedi, con qualche difficoltà, facendo attenzione a non pestare nessuna parte di Jon.
Barbara era un po' imbarazzata: le era passata del tutto la voglia di farlo (mentre Corrado sembrava non pensare ad altro) e cercava qualcosa da proporre: "Intanto che lavori, posso controllare la mail?"
"Certo, collegati col mio portatile: è sul letto, c'è il flacone del borotalco, ed altre due o tre cose sopra, ma è connesso, se non inciampi nel cavo"
"Proverò"
Corrado la seguì con interesse non professionale, ma Barbara gli disse, ferma: "Perché non aiuti un po' Laura?"
"E tu non sei gelosa?"
"No te preocupes, Laura sente solo Jon, ma io invece sento tutto. Tutto tutto. Bye", e non chiuse la porta, perché non c'era.
3.
In verità, l'idea che Corrado, mentre lei apriva la casella mail, potesse contemplare e chissà mai apprezzare in modo non platonico Laura che in stato di semincoscienza si ikeizzava, non turbava per nulla Barbara, anzi la considerava, a questo punto della situazione, un'utile scappatoia. Solo che era altamente improbabile che Laura l'avrebbe mai presa in considerazione. Non si era mai visto (o almeno, lei non aveva mai visto) uno che col pretesto di andare al sodo, avesse lasciato tanto vuoto intorno. Già, giuggiolone: e d'altronde, inutile nasconderselo, la crisi era preesistente, l’abbraccio avvolgente alla stazione non era stata che una piccola parentesi, come quando la curva risale ed ha una punta leggera leggera prima di sprofondare nello strapiombo del fallimento, e da avvolgente si faceva nel ricordo polipesco, mostruoso, innaturale. Diciamo da quando Corrado era salito al Nord, ed aveva incominciato a fare quegli strani discorsi più o meno in inglese (con gli altri) oppure a tacere (con lei): Barbara era andato a trovarlo, solo tre volte, che le erano bastate per capire di trovarsi a disagio. Il clima, disse. La realtà era diversa.
La prima volta, Corrado l'aveva presentata ai colleghi, che poi erano quasi tutte colleghe, e lei si era sentita una collegiale: non solo non aveva mai pensato di vestirsi e truccarsi come molte di loro, ma non afferrava, a volte, nemmeno i nomi dei trucchi che si mettevano e dei vestiti che indossavano. Si vede che al Nord c'è un gergo per tutto, anche per la moda femminile, anche per i cosmetici. Non era invidiosa, Barbara, e non poteva dire che le colleghe di Corrado non avessero gusto, ma siccome era solo un'uscita del sabato sera, un sabato sera come gli altri, per quel che le pareva, tutto quello stra-vestire e quell'iper-truccarsi era forse eccessivo, un po' come andare a far la spesa al supermercato col vestito da sposa: si può fare, ma ci vuole un ottimo motivo.
La casella era intasata di porcherie: le proponevano di arrivare ad avere un pene di 25 cm., oppure di avere un mutuo al 3% per il 100% (sì, ma il 100% di che cifra?), aveva vinto una lotteria, ma c'era un disperato con un nome in swahili, che le chiedeva, dato che lei era così importante, se poteva garantire per un versamento di 25 milioni di dollari. Così importante, e non sapeva nemmeno se fosse un uomo od una donna (Dear Sir/Madam): comunque, anche il tizio del pene da 25 cm. doveva avere le idee parecchio confuse.
C’era anche il messaggio di una seconda amica in crisi (Barbara ne aveva una legione, e fortunatamente molte non si conoscevano tra loro, così poteva rivendere all’una la soluzione usata nella crisi dell’altra senza troppi problemi: a volte funzionava). Manuela era arrivata più in là di Laura in un certo discorso, e adesso era separata, certo sono cose che capitano, e che vanno più o meno bene finché capitano agli altri. Allora, enunciamo grandiosi concetti, proponiamo maestose ed onnipotenti soluzioni, e specialmente offriamo solidarietà a fiumi, eserciti di spalle su cui lacrimare e intere lasse di consigli per ogni occasione: rivoltabili, come certi abiti. Quando il problema, nella sua equanimità, colpisce noi stessi, la prima reazione è d’incredulità, e cerchiamo di riavere indietro le spalle e la solidarietà che abbiamo elargito a piene mani. Non sempre è facile, perché è materiale deteriorabile, e dopo qualche giorno manda cattivo odore, pure se tenuto in frigo. Ma è anche vero che anche un brandello di solidarietà un po’ ammuffita sulle giunture aiuta in certi casi.
“Non pensavo sarebbe potuto accadermi questo, sai? E adesso sono alle prese con situazioni tutte nuove per me; a parlarne sembrava tutto facile e specialmente chiaro. Poi, come sai, sono crollata, ed in più devo anche sentire i consigli, spesso inutili, di tanti amici ed ex amici. Carla insiste che devo chiedere l’annullamento, perché se annullo il matrimonio, mi posso risposare in chiesa. Posso dirti che non me ne frega niente? Sarebbe come prendere un pezzo della mia vita e tagliarlo via con l’accetta, qualche anno con Mario che...devo ammetterlo sotto giuramento, non è mai esistito: forse lui era un fantasma, o più semplicemente mi sono sognata tutto. Secondo me è roba da preti, fatta per i preti. E sì che Carla ce l’ha messa tutta per tentarmi, e l’abito bianco, ed i confetti ed il riso una seconda volta, e mia mamma e le lacrime, e poi potrei tornare in parrocchia, come prima, e fare la comunione davanti a tutti, non dovermi nascondere come adesso, che vado ogni domenica in una chiesa diversa. Perché, nonostante tutto, la fede non l’ho persa, e se penso che Dio, come fortemente credo, è una 'persona' un milione di volte più intelligente del migliore di noi, vedrà pure che non mi merito questo”
Manuela era lanciata, e quel messaggio, che non era il primo di quel tenore, andava avanti per altre dieci o dodici righe. Barbara ebbe un’occhiata in tralice verso la stanza di là, dove Corrado e Laura discutevano di come andasse messa un’asse di truciolato: sicuramente doveva supportare il mobile, ma essendo lo stesso rivoltato, non era evidente da che verso. Quel che le dava più fastidio, è che si vedeva che Corrado, il plurilaureato, il funzionario supercravattato, scherzava davvero, mentre lei, pur ironica, vedeva la vittoria sulle istruzioni di Jon come una questione essenziale. C’era una distonia tra i due, che la loro all’incirca uguale altezza non valeva ad ammorbidire: era come si muovessero su due piani diversi, anche se paralleli. Alla fine, la barra sembrò avviarsi a trovare la sua posizione, e Barbara provò una tenerezza per quella ragazzona piegata alle mutevoli esigenze dell’arredamento: aveva quasi un sorriso malinconico, la stessa specie di smorfia che aveva loro rivolto prima, citando la “trombatina”. Gli sembrò anche che tutto quel progressismo un po’ di maniera di Laura non fosse adesso più fastidioso (e dire che ci si era scontrata mille volte): ora la vedeva nella sua natura più autentica, ed appunto stringeva il cuore.
“Ciao Manuela, e grazie per il tuo bel messaggio. Sono qui con Corrado che fa il filo ad una mia amica intorno ad un mobile che si chiama come un predicatore metodista. Io assorbo, come vedi, il colpo, anzi mi piacerebbe, povero ragazzo, che avesse più successo, affascinante come si crede di essere. Non credo tu sia stata l’unica a sbagliare, spero soltanto di fermarmi in tempo, non tanto per la faccenda della comunione, ma più che altro per i casini che conseguono dallo sfascio di un rapporto. Credo che tutto sia iniziato dalla fuga verso il Nord”
Barbara rilesse la risposta, la trovò decisamente egoista e cretina, ma non ebbe il coraggio di cancellarla. Con un gesto istintivo, per asciugare il sudore, si versò una buona quantità di borotalco lungo la schiena, e ne ebbe un brivido doloroso. Guardò il flacone nella penombra della camera. Talco mentolato: già, Laura aveva avuto la varicella l’anno prima; Corrado non aveva voluto incontrarla per sei mesi dalla paura di essere contagiato. Bene però: un bruciore del genere poteva andar bene per il seguito. Aggiunse una B., cliccò Invia, e lasciò le poche righe stupide al loro destino vagante.
Era già stanca, faceva caldo anche al buio; si alzò dapprima, poi vide che altri messaggi reclamavano la sua presenza. Uno veniva da Monica. Non aveva idea di quale Monica potesse trattarsi, non aveva amiche con quel nome; è un nome del Nord, rifletté, come se fosse una giustificazione.
“Noi non ci conosciamo, però io conosco bene una persona che ti è, credo, molto cara. Mi piacerebbe incontrarti, ma non credo sarà possibile, ed anzi penso sarebbe solo una sofferenza per te, dato che ignori come stanno le cose. Ti ho scritto solo per informarti: se vuoi limitare le tue pene (che brutta parola, vero?) prendi la tua strada”
Barbara lo rilesse una decina di volte: non le piaceva quel miscuglio d’ironia e di minacciosità, e non capiva affatto che cosa volesse quella Monica da lei e che strada dovesse prendere. A parte che poteva non chiamarsi così: a volte si entra sul computer della collega che è in pausa od in ferie, si spedisce un mail, e via. Oppure si può anche modificare le impostazioni del programma di posta elettronica, a bella posta (appunto). Ecco, adesso aveva preso a pensare come quella Monica scriveva, per andirivieni e spiritosaggini.
Sua mamma era al mare, doveva chiamarla la sera, ma sicuramente stava bene, se taceva: per esser più sicura le mandò un messaggino al cellulare, poi chiuse il portatile di Laura, e tornò di là, mentre Corrado e Laura si abbracciavano festanti: Jon era in piedi lustro e trionfante al centro della stanza. Barbara notò che Corrado aveva avuto l’istinto di ripetere la scena della stazione con lei, ma per fortuna si era contenuto: non credeva che Laura l’avrebbe presa bene. Il fatto però che ci avesse pensato, rinnovò il suo fastidio. Tutto, anche l’attitudine polipesca, doveva essere iniziato quando lui era andato al Nord a fare il funzionario in carriera.
4.
Quando Corrado era partito per il Nord, era autunno inoltrato. Al Centro non faceva freddo, come si supponeva che invece al Nord facesse già. Barbara si era messa un vestito rosso che aveva fatto salire il sangue al cervello a Corrado. Ecco, era bello quando gli si vedeva in faccia l’attrazione, capivi che valeva la pena di aver perso mezza giornata per trovare quell’accidente con le bretelline che si era rovinato tre volte dopo, cadendoci la Coca Cola una sera in pizzeria. Adesso, notavi solo le mani che si agitavano cercando qualcosa, ma senza fantasia, come per un dovere. Ecco, e quel che era successo in macchina, in quella minuscola auto, che non era certo l’espeis o espas, era nato certo dal vestito rosso, ma aveva solo acceso qualcosa che in potenza già c’era, come un fiammifero accende il gas, se il rubinetto non è chiuso. Adesso il rubinetto era aperto in permanenza, trovava Barbara, ma non faceva più una bella fiamma tranquilla che ti riscalda, faceva scoppietti, fischi, a volte fuochi d’artificio, ed in un attimo era finito (tranne le mani, che sembravano vivere di vita propria).
Solo che Barbara voleva ridere: il sesso è giustificabile, se si ride molto, altrimenti diventa come una fettina di carne abbandonata sul piatto, senza sugo e senza contorno. Ed il contorno è più importante, a volte, dell’essenziale: altrimenti non servirebbe a niente parlare per ore, basterebbero pochi minuti, e scarne parole, di quelle preconfezionate.
Quella sera, prima di partire, l'aveva abbracciata, ma Barbara non si era lasciata trasportare: Corrado sapeva già di distanza, ogni suo respiro trasudava il desiderio di farsi benvolere, ma non da lei in particolare, piuttosto di conquistare un immaginario, ma proprio per questo spaventosamente esigente pubblico. Aveva uno sguardo da lettera di accompagnamento, due occhi da segugio che non attendevano che di esser classificati, valutati, acquistati. 'Avrei dovuto lasciarlo quella sera' pensò Barbara. D'altronde, lasciare il Centro per un Nord qualunque, incomprensibile e nebbioso, non aveva giustificazioni. Certo, se avesse detto una frase giusta, anche un po' melodrammatica, del tipo "quando torno ti sposo", la situazione avrebbe potuto prendere una piega diversa. Invece, niente, le guardava le bretelline come se le avesse volute usare come cerbottane, forse la Coca Cola qualche settimana dopo le aveva reso un servizio: sul momento si era incavolata come un'ape regina.
Ma il punto di rottura era arrivato la sera del terremoto, anche se Barbara non lo sapeva, sette mesi prima. Tutto il resto, a partire dal bloc notes di Corrado, era stato solo uno strascico non voluto, una codetta insomma, come le svirgolate dei fiati e dei legni sulla chiusura del sipario. La sera del terremoto, Corrado era in una stazione semivuota ad aspettare il treno che dal Nord lo riportasse al Centro, dove, all'ombra della luminosa della Banca SVAL, avvolta in un romantico loden rosa con gli alamari, Barbara lo attendeva. La prima scossa sembrò uno scherzo, neanche troppo di buon gusto. I terremoti, e Corrado lo sapeva bene, sono roba da paesi in via di sviluppo: la parziale eccezione del Giappone era semplicemente dovuta alla necessità che quell'operoso popolo orientale potesse mostrare le proprie virtù pianificatrici al mondo.
Quando la seconda scossa, che durò trentacinque secondi, aprì una profonda crepa nel muro della sala d'attesa, Corrado si precipitò fuori, mentre le sirene cominciavano ad urlare ed i cani a guaire, crocchiandosi la luna piena come uno stinco di montone: forse non era solo, ma il buio che si fece subito e subito apparve eterno, rotto soltanto dal brusio ventoso ed obliquo dei tigli del piazzale, gli rivelò che lui stesso sarebbe potuto finire in quell'attimo, come forse già qualcuno, confuso e celato in quell'uggiolare tormentoso e bestiale, era passato ad altra sponda. Non avrebbe mai pensato che qualcosa del genere potesse accadere al Nord, dove egli era andato per lavorare ed in effetti aveva trovato un impiego piuttosto dignitoso e decentemente stabile, per quanto le sorti della SIG cominciassero a periclitare nel disinteresse generale della direzione, che preferiva il golf e la caccia alla lepre.
Corrado non si ricordava più quanto aveva corso, o forse appena balbettato qualche passo incerto, fuggendo da se stesso e dalla propria debolezza, oltre che dal terremoto, che dopo quella seconda scossa si placò, smorzandosi in uno sciame non più percettibile. La rivelazione della propria vulnerabilità, per quanto interna e del tutto mentale, fu però più atroce e dolorosa dell'evento naturale.
Un uomo che scopre di poter morire, anche se l'eventualità di un tale avvenimento gli paia in fondo remota, non può far altro che stringersi a ciò che ragionevolmente lo tiene in vita, utile fuco: la possibilità di procreare, o se non altro celebrare quelle cerimonie che alla procreazione naturalmente preluderebbero, o perlomeno invischiarsi in una teoria di azioni vagamente e contortamente connesse all'atto sessuale. Un’imene che la paura rende celeste, ma che il sollievo di ogni diastole che il terrore lascia, spiega come terreno e ben concreto. Il giorno dopo Corrado comprò il notes, senza sapere ancora a cosa gli serviva: anzi glielo comprò Barbara su sua richiesta urgente, dato che sembrava avesse anche difficoltà a reperire un cartolaio. Capiva che era cambiato, e non perché il treno aveva portato 240 minuti di ritardo e neanche per la difficoltà a fare acquisti, anche i più semplici, ma per qualcosa che ella non sapeva definire esattamente.
In realtà da quel giorno era nato il delirio vagamente sessuale, da cui dopo sette mesi Corrado non era ancora uscito, anzi sembrava contorcersi sempre di più, come un serpente in una bottiglia.
"Ciao Manuela, scusami per il messaggio precedente, la verità è che se mi parli di crisi, io sono la più in crisi di tutte, se mi parli di confusione, io sono la più confusa, se poi mi parli di ricostruire il rapporto, io non vedo che mattoni abbandonati ed un sacco di calce, aperto e gonfio di pioggia. Toccherà forse a tutte, non so, a me sta toccando, e la cosa terribile è che non viene da uno che non mi desidera, anzi vorrebbe farlo ogni cinque minuti. Ma io vorrei sapere che sono io l'oggetto di attenzione, non due bretelline rosse o la foto di un'attrice che per caso mi somiglia (a parte che nude ci somigliamo un po' tutte, ma è meglio che certi uomini non lo sappiano). Sono talmente giù che stavo per uscire con un tipo forforoso che dice espeis, pensa espeis, che per una che adora qualunque cosa sia francese, dalle canzoni di Rivgauche e di Trénet alla due cavalli passando per il pain au chocolat, è stata una pugnalata. Ma sempre meglio che stare con un centimani che è meno loquace di un pesce rosso. Poi, oggi mi ha chiamato una certa Monica, che non capisco se mi minaccia o mi prende in giro, e non so neanche come ha avuto il mio numero di cellulare. Comunque domani la incontro: se non mi senti più, fai prima sparire tutte le mie foto in costume da bagno, poi chiama la polizia, mi raccomando prima le foto, poi la madama, sennò i giornalisti s'inventano qualcosa di torbido. Ma magari la tipa vuole solo offrirmi un latte macchiato, o forse un tè freddo, è che sono un po’ agitata. Scusami anche per questo messaggio, spero di potertene scriverne un altro domani notte, ma non ne sono del tutto sicura"
5.
Monica non si chiamava Monica, il che, per qualche motivo profondo ed inspiegabile, rincuorò Barbara. Fece poi fatica a contenere un impeto non richiesto di amicizia, quando la sentì parlare con frequenti ed irriflessive aspirazioni. Dunque anche Silvia, come Monica si chiamava, era salita al Nord, non ne era originaria. Perché una Silvia deve diventare Monica per lavorare?
"Così, tu saresti la ragazza di Corrado?"
Barbara ammise l'evidenza, sgranando gli occhi.
"Io lavoro con Corrado. Più o meno"
'Più o meno che cosa?' si chiese Barbara, più o meno lavoro (come qui al Centro allora) o più o meno Corrado?
Si sedettero; Silvia le gridò quasi: "Se permetti offro io".
Barbara non era nella situazione e nello stato d'animo da non permettere.
Poi Silvia le fece un mare di complimenti, e come stava bene e com'era carina e il vestito e gli orecchini, al punto che Barbara si volse un po' imbarazzata intorno. Non pensava di essere tanto carina quel pomeriggio, cioè…un momento, non doveva essere carina, almeno finché non avesse capito cosa voleva quella Silvia o Monica che fosse.
Si temevano e, forse inconsciamente, non volevano rispecchiarsi. Silvia accennò ad accavallare le gambe, poi lasciò perdere perché l'altra sembrava volerlo fare, così rimasero entrambe con le mani sulle ginocchia, ma accorgendosi, con una sfumatura d'orrore, di essere nella stessa posizione, cercarono, senza trovarla, un'alternativa. Questo minuetto, un appropriato sottofondo ai complimenti che Silvia non accennava a terminare, durò qualche minuto, e fu interrotto solo dal cameriere che portò un Bombero, come Silvia aveva chiesto per entrambe, che a Barbara ricordò del lucido per scarpe blu; e dentro non ci si specchiava soltanto, si partiva in derapata. Ebbe un rigurgito, che mascherò soffiando tre o quattro volte, come per impazienza. Per fortuna c'erano le noccioline, che fanno venire i brufoli, le macchie, il cimurro e quant'altro, ma almeno sono sincere: Barbara ci tuffò la mano, e accidenti al Bombero ('al Centro non sappiamo nemmeno dare dei nomi ai cocktail, che non siano deficienti: potevano chiamarlo Sciuscià, e avrebbero reso l'idea').
Vedendola pensosa, Silvia decise di stringere la musica al dramma; giunse lievemente le mani, poi fece una smorfia discretamente sofferente, e disse d'un sol fiato:
"Io con Corrado ci sono andata a letto"
Barbara ebbe come una bolla d'aria nell'esofago, ma istintivamente aprì un sorriso largo, anche se un po' tremolante: d'altronde, ora poteva anche essere carina, se tutto era perduto.
"A letto?" replicò.
"Oddio, non era proprio un letto, sai, uno di quei cosi giapponesi, futon o come diavolo si chiamano"
A Barbara venne in mente Laura che si ikeizzava, e le doghe, ed il farlo soave, come il vino. Il sorriso divenne meno falso ed anche meno tremolante, sicché si sentì scema. Capì confusamente che avrebbe dovuto realizzare qualcosa di forte, di espressivo, forse di violento, rovesciarle il Bombero addosso, cospargerle i capelli a caschetto con la cera della candela tipo tartufo bianco, gridare qualcosa di estremamente duro su sua madre e sua sorella, oltre che su di lei naturalmente; invece piombò in una specie di rimbambimento leggermente gnostico e new age: atarassia si diceva, no? Soltanto ingurgitò tutta la manciata di noccioline in un colpo solo, e buttò giù anche mezzo Bombero, sicché iniziò a guardare Silvia con una fissità allarmante, pur sempre mantenendo uno spento sorriso. Ma Silvia aveva continuato, come solo una Monica può continuare in una situazione del genere: era una Monica, nulla da fare, veniva dal posto delle Moniche, voleva mantenere l'incognito, ma si era tradita. Barbara la guardò lievemente bieca. Avrebbe gradito una dissolvenza, magari sul mare al tramonto, o sul tavolino ingombro di cosmetici ed oggetti per il trucco, spazzoline, matite, specchietti, roba così.
"E' stata una sera, eravamo rimasti sul tardi a fare del lavoro, e sai l'attrazione c'era, un così bel ragazzo, anch'io lì da sola avevo un tailleur che so che a lui piaceva. Insomma siamo finiti sull'accidente di divano o futon nella sala riunioni"
"Siete attrezzati voi"
"Ci difendiamo: considera che lavoriamo spesso fino a tardi, così alle volte un sonnellino può essere utile"
"In quanti la fate la pennichella?" chiese Barbara, come tra sé e sé.
Ma Silvia, o Monica che fosse, non colse l'allusione:
"Ora tu mi dovresti aiutare…Barbara, no?"
"Sì, questo è il mio nome. Ne ho uno solo, io"
L'altra sorrise indulgente, o forse anche divertita: "Perché non me ne libero più, di quel ragazzo lì. E' come la carta moschicida, come la liquirizia sotto il sole"
"Appiccicoso. Capisco" disse Barbara, e precisò dopo una pausa: "Però dipende anche da come ti vesti…Forse"
"Ora: potresti dirgli di lasciarci in pace?"
Barbara ricominciò a tremolare leggermente: "Tu e chi?"
"Ma le mie colleghe, non ci molla un attimo" disse Silvia/Monica, e forse ebbe anche il sospetto che la ragazza andasse informata del bloc notes e del codice segreto, poi ci ripensò.
"Ma scusa, il futon, il coso…solo tu, vero?"
"Solo io, credo"
Barbara era confusa: voleva lasciarlo, è vero, non era contenta per nulla dell'andazzo del tocco-e-non-guardo, però la storia del letto-non-letto la turbava: 'dev'essere il destino di una generazione: si dice che si va a letto insieme, ma i letti non ci sono più. Si devono essere estinti con la guerra fredda'. Però…se avesse lasciate in pace le colleghe, avesse smesso quello stupido lavoro, se fosse tornato, anche povero in canna, non importa, magari tutto sarebbe ripreso come prima. 'Che indecente pensiero da donna sottomessa' sospirò Barbara.
"Così, capisci Laura, la tipa del Nord, che poi non è del Nord, o forse sì, non so, vorrebbe liberarsi del mio ragazzo, ormai quasi ex, insieme con tutte le sue colleghe, che non ho capito bene che c'entrano, e mi ha proposto una soluzione unica: praticamente io dovrei sorprenderlo con lei. E’ unica, nel senso che io più di una volta non vorrei trovarlo con una donna... A me la cosa non piace per nulla, mi sembra una trovata da racconto erotico, anche un po’ scarsetta, inoltre non penso, come ti dicevo, che sopporterei di vederlo intrattenersi con un’altra, preferirei mille volte che se ne andasse, sparisse, porto delle nebbie o alba tragica, anche con una musica appropriata se ci riesce, ma fœur di ball, come dicono al Nord, credo. Sono un tipo romantico, e faccio il tipo romantico, se poi lui sta con me per pura attrazione fisica, o animale, mi sta anche bene: però prima mi guarda diritto negli occhi, e poi, se vuole e crede, passa all’azione dove tutto finisce, secondo lui. Dopo, però, che ha guardato ben bene dove tutto inizia, secondo me”
Massimo faceva un quiz il giovedì sera in un pub adorabilmente finto (Barbara c’era stata solo una volta, per vincere la paura di un esame il giorno dopo), ed aveva vinto un panda di pelouche alto due metri, che adesso la guardava, tutte le volte che passava nel corridoio: sembrava, più che un pupazzone, una di quelle statue parlanti, mezza leggenda mezza realtà. Non aveva mai pensato ad associare il panda a Corrado, ma quella sera, scossa dall’incontro con Silvia-Monica, realizzò che Corrado avrebbe anche potuto guardarla fissa come un panda, e questo non le sarebbe piaciuto, affatto. Meglio nessuno sguardo o uno sguardo pandesco? E chissà se l’uno si fosse trasformato nell’altro, come un CD che s’incanta? Un po’ imbambolato quel ragazzo lo era stato sempre, anche prima di andare al Nord, ma Barbara pensava che fosse solo l’effetto di un eccessivo romanticismo, che non riusciva a smaltire in una sola occhiata.
In ogni modo, quella sera si sarebbero visti, prima che lui tornasse ancora una volta al lavoro, al Nord e a stropicciare il futon con la collaborazione della SIG o forse con la compiacenza delle colleghe.
Invece, prima che passasse Corrado, lasciando lo sguardo in pegno, la chiamarono al citofono, e dal tono di Massimo doveva essere uno che gli stava simpatico, quindi assolutamente non il suo ragazzo-panda: infatti era Sandro.
Sandro sosteneva di essere stato il suo primo amore, benché su questo ci fosse una tremenda divergenza, un contrasto ineludibile, ed in ogni modo era un suo ex-compagno di scuola, benché la cosa assumesse un profilo mitologico e svanito, in quanto aveva trascorso più tempo nella piazzetta che dietro il banco. Ricordava il banco di Sandro, dove aveva intagliato un B.A., come a dire Barbara Anselmi, per far credere di essere innamorato di lei, e poi aveva aggiunto a penna, visto che lei, B.A., non se lo filava eccessivamente ...ciami piccina. La cosa si era risaputa, ed ella era ormai nota in classe come Bi-A-ciamipiccina (una parola) o anche ciamipiccina soltanto, che quel mentecatto (con la media dell'otto, ma indubbiamente scemo) di Fausto Canale sosteneva si dovesse accentare ciamipìccina.
“Pìccina o quel che ti pare, con te non ci esco” gli aveva risposto una volta a brutto muso, in corridoio (come se veramente lei avesse potuto pensare, a sedici anni, di uscire con quella gattamorta e imbalsamata di Fausto). Infatti lui aveva riso, pensando forse che anche se Barbara gli avesse detto di sì (ma lui non aveva mai osato chiederglielo), non avrebbe saputo dove portarla: in oratorio al biliardino?
Ripensandoci, sorrideva piano, perché ora, a ventitré anni già compiuti, le sarebbe piaciuto che qualcuno l'avesse portata a giocare al biliardino, ma ormai non avrebbe potuto confessarlo: magari una sera avrebbe schiodato con la forza Massimo dal computer, e via verso l'oratorio con una pila di monete gialle da mezzo euro.
Fausto, Corrado, Sandro: tre modi diversi di sillabare lo stesso disagio con le donne, cioè in pratica con lei, 'campione modesto, ma rappresentativo' rifletteva Barbara, rendendosi conto che le cose, riportate così, suggerivano (erroneamente) che mezzo mondo le fosse andato appresso, dai tempi del liceo in poi. Non era andata così, anche se, considerata la noia dei primi filarini, ed anche dell'attuale rapporto polipesco, forse era stato meglio.
6.
Sandro le aveva provate tutte, nel senso di droghe, dalla cocaina alla coccoina, passando per la pizza con le patate. La pizza era di per sé una pizza, nel senso di noia, perché qualunque cosa provasse o facesse Sandro era bukowskiana, sballante, profonda, mistica, globale (con una decina di b, come usa al Centro) e specialmente communista. Anche la pizza con le patate, di cui aveva rischiato più volte un'overdose.
Però si era giunti al punto che Corrado si meritasse una buca: una buca non premeditata, e quindi con tutte le attenuanti del caso (il vecchio amico con problemi esistenziali, la proposta di un trancio di pizza con le patate) ma una buca solenne, col fischio insomma.
Per citofono, Barbara rispose con la voce meno isterica che riuscì a fingere dopo una giornata del genere, e la risposta ormonale all'altro capo del filo, per quanto arrochita a volume zero da non si sa qualche bukowskiana perversione, la soddisfece.
Massimo le disse, alzando un attimo la testa dallo schermo: "Che fai, flauti?"
"Sì, flauto, e con un altro"
"Ah, beh, buona flautata allora, e attenta ai topi. Quando si flauta, non si sa mai i topi come la prendono"
"Flauterò piano"
Essere relitti sulla terraferma non è facile: per andare alla deriva, ci vuole metodo e vocazione, bisogna esserci tagliati. Sandro faceva quel che poteva, oltre a farsi quel che poteva, e a dichiarare che si sarebbe fatto quel che non aveva potuto. Prese un'espressione vagamente sofferente, un po' incerta e francamente non esaltante; Barbara avrebbe voluto trascorrere una serata senza eccessive ambasce, disimpegnata insomma, mentre Sandro sembrava un album di Claudio Lolli, spruzzato di un po' di Masini.
"Come stai?" disse lei, baciandolo sulla sofferta guancia: frase pericolosa, come comprese subito, anche se troppo tardi.
"Come posso stare in questo porco mondo?"
"Perché porco? In fondo non ti manca nulla…"
"Ora non mi farai anche tu l'elenco delle cose realizzate e dei problemi risolti. Se ti ho detto che sto male, ti prego di credermi"
"Me l'hai detto?"
"Te lo dico sempre, ma tanto è inutile. Io sono inutile"
"Nessuno è inutile, tu sarai solo un po' depresso, solo un pochino"
"Ho una voragine dentro. Sono minato"
"Basta che la mina non scoppi, che ho già mal di pancia, se capisci il senso recondito. Vogliamo andare da qualche parte?"
"Come sei propositiva, stasera"
"Lo sono sempre: purtroppo solo raramente le mie proposte vengono accettate, ma stasera non mi va di andare in un posto qualunque. Ti porto io"
"E Corrado?"
"Così…non mi va di parlarne"
"Tanto meglio"
"Meglio che si sia levato dai piedi, no?"
"No, meglio che tu non me ne parli. Ho già tante cose da dirti io"
Barbara di fare da contenitore, forse pattumiera, ne aveva voglia solo relativamente: le sembrava di ascoltare da sempre, la crisi, il terremoto, il Nord, la separazione, tutta roba di cui parlare senza fine. Senza fine e senza soluzione.
"Vedi, Manuela, Sandro non è mai stato il mio tipo, troppo fatto, troppo politico, arruffone, le unghie dubbie, spesso sudato e pasticcione. Corrado mi sembrava diverso, a tratti poteva essere persino elegante, anzi una volta mi ricordo che è stato veramente gentile, dev'essere stato la sera che andammo su a Frascati, erano anni che non passavo di lì, affacciato sulla terrazza. Mi recitò, o mi sussurrò, dei versi, dicendomi che erano suoi: non gli credetti, ma è stato carino ad aver pensato che potessero piacermi. In effetti erano belli, anche se non volevo farglielo capire. Non lo guardavo, ma sentivo il suo sguardo, il suo interesse su di me. Ce ne fossero state di serate così. Ora da nove mesi tutto si è confuso, illanguidito, spento. A questo punto, tornerebbe in gioco pure Sandro, perché io sembro metallica ed insensibile, ma in realtà la solitudine mi scava dentro, e poi non ho dignità, quello che mia nonna Franca chiamava l'orgoglio. Sai, quella pietra grossa che ti scende nello stomaco, e ti obbliga a star ferma, quando vorresti volare col vento, specialmente quello più perfido. Il vento del terremoto è tornato, come a sedici anni, solo che io non sono leggera e gioiosa come allora, ma non sono ancora stabile, come vorrei"
Per venti minuti al pub non ci fu che Sandro, il tormento esistenziale, la pietraia scoscesa, la fine delle illusioni, la barca che ondeggia senza respiro. Girava e rigirava intorno agli stessi concetti, come una zanzara tra due dita d'un piede. Alla fine, stanco di immagini sempre più faticose, che dall'ermetismo e dal crepuscolarismo declinavano a Baglioni e Gianni Togni, se ne uscì fuori che era stato quindici giorni con una ragazzina che prendeva ripetizioni da lui, una certa Miriana, che l'aveva mollato in fretta, senza motivo. O forse era che lui era vecchio e noioso… In ogni modo, non l'aveva vista più.
"Trenta euro la settimana in fumo, anzi senza fumo. Chi fuma più?" sospirò, e riprese: "Eh, vecchio a ventiquattr'anni, che ne dici? Dev'essere la cultura che rende vecchi"
"Che c'entra la cultura" disse Barbara, cercando di non sembrare annoiata "Magari sarà che non ti vesti alla moda, che non ti curi"
"Ti pare? Miriana gioca ancora con le bambole, c'ha mezza collezione delle Bratz"
"E lei com'era? Come una Bratz?"
"Beh, con meno capoccia…"
"Se viene a ripetizione da te… Che le insegnavi: a rollare canne?"
"Quello lo sapeva già: diciamo che tra un'espressione e l'altra le forgiavo una coscienza politica"
"In quale parte della Bratz la forgiavi?"
"Con te non si può parlare di cose serie"
"Ci hai mai provato?"
"Adesso. In questo momento. Qui"
"C'è chi ha una Bratz, e chi ha un panda. Quel che cambia, in fondo, è solo la struttura fisica: c'è chi preferisce l'asso di coppe e chi l'omino Michelin"
La notte, al suo portone sostava Corrado. Forse ci era rimasto male. Barbara gli si avvicinò; non voleva che tutto finisse così, anche se un po' ci sperava: almeno sarebbe stata libera. Anche di piangere, se necessario. Fare le donne forti stanca, specie quando nessuno intorno nasconde le proprie debolezze, neanche per scherzo. Invece Corrado le disse soltanto: "Dov'eri? E' un po' che ti aspetto"
"Con un amico. Tardavi, e mi sono organizzata"
Avvertì dal tono di voce che lui non se la prendeva a male, le si avvicinò, attirandola a sé e la strinse. Lo lasciò fare: quando sentì una mano di Corrado, poi l'altra, scendere ai suoi antipodi, si abbandonò come un corpo morto, sperando che capisse. Attese trenta secondi, quasi contandoli, e sciogliendosi con dolcezza, scappò verso casa, girando la chiave con studiata calma. Corrado attraversò la strada, Barbara gli disse buonanotte. Se era un finale, era smorzato, tenue, molto educato. Era forse la prima cosa che le piaceva davvero quel giorno.
Corrado tornò al Nord, e fu silenzio, finalmente (per modo di dire, c'era sempre il mulo). Barbara si guardò allo specchio, e si trovò graziosa, anche se un po' buffa.
7.
“Carla insiste con l'annullamento, è proprio fissata, d'altronde da quando esce con quel cavaturaccioli di Gaetano, è completamente persa ad ogni considerazione discretamente civile ed umana. Ora tu capisci, e se non lo capisci te lo spiego io, che a me concubina (termine ridicolo, ma prettamente gaetaniano, e che quindi Carla è arrivata ad usare, anzi a...centellinare) o nuovamente sposata o, per quel che conta, sola, non cambia eccessivamente. Qui il problema non è trovare un uomo da uscirci la sera, che poi con una bimba di quattro anni che chiede e vuol sapere, e capisce molto più di quel che pensiamo noi, figurati se è una cosa che si può fare. A parte che non è quello che voglio: quel che vorrei è equilibrio, stabilità innanzitutto nella testa, poi altrove, se necessario”
Dopo un paio di settimane di silenzio, di quel silenzio, una sera che pioveva, Carla chiamò anche lei. Con Carla si erano rincorse per anni, lei nella B, l'altra nella D, lei ad una festa, lei ad un'altra nel palazzo accanto, lei in un gruppo ai giardini della piazzetta, l'altra nel gruppo del bar all'incrocio della piazzetta: non era una cosa voluta, certo, e Carla, e parzialmente anche Barbara sostenevano fosse soltanto un caso, il destino, chissà, a dimostrare che il mondo è piccolo (per noi, troppo piccolino…).
In realtà, non si sa mai come vadano queste cose: tra gli asteroidi, ogni tanto se ne scopre uno che magari è in rapporto di rotazione 1:1 con un pianeta più grande, mettiamo la Terra, per cui se quello fa un giro di valzer, questa balla l'hully gully, ma alla fine del ballo si ritrovano violentemente allo stesso punto della pista, a tutto scapito dei rispettivi calli.
Di Carla non ci si poteva liberare, ma nemmeno ci si poteva avvicinare eccessivamente, e qui l'esempio astronomico calzava, perché non era una che Barbara potesse considerare un'amica. Carla tendeva all'esagerazione in ogni cosa, cioè ad essere onesti, soltanto in due cose: nel momento dell'infatuazione religiosa ascoltava tre messe al giorno, all'epoca della febbre politica leggeva dei tomi pazzeschi, che a Barbara ricordavano quel semolino senza sale e senz'olio, cioè in effetti senza niente fuorché la farina gialla, che aveva convinto sua mamma a prepararle, convinta dal numero irrisorio di calorie sulla busta. In quel caso Barbara non aveva considerato che il semolino si era bevuta più acqua di un dromedario, così aveva fatto le bolle con la bocca tutta la sera, come un gatto che si è ingoiato il sapone di Marsiglia. Fare le bolle, è il minimo che può capitare anche a chi si mette in politica.
Ora si era nel periodo più pericoloso: l'infatuazione per la religione e quella per la politica si erano fuse e confuse, e Carla le telefonava per proporle, dato che aveva saputo che era sola, un incontro con degli amici estremamente interessanti.
Dopo mezz'ora di macchina, Carla le era risultata quasi simpatica, ed era riuscita quasi a non parlare del suo nuovo ragazzo, di quel Gaetano, che stava studiando (anche quella sera) per la specializzazione in otorinolaringoiatria. Era una piccoletta mesciata, con degli occhi verdi anche lei, ma grossi, vivaci, spiccati: sembravano due bottoni di uno di quei vestiti molto tirati, insieme rigorosi e antichi, roba da merceria, non da supermercato. Barbara non osava chiederle dove stessero esattamente andando, anche per il timore che Carla non lo sapesse nemmeno lei. In effetti, uscendo dalla loro zona, la sua sicurezza, al volante ed in generale, si era spersa, diluita, come se improvvisamente qualcuno avesse cambiato il fondale e l'avesse sostituito con uno che le era del tutto ignoto. Finalmente accostò al margine del marciapiede, al di là dal quale si intuiva una villa avvolta nel buio, con una magnolia all'ingresso ed un cancello socchiuso.
"Molto casa degli spiriti, eh?" Barbara non trovò di meglio da dire: era ancora una volta una frase sbagliata, ma tanto al buio il rossore non si vede. Neanche un filo di luna quella sera, il marciapiede era anche più in ombra di un messicano che fa la siesta, zona di cani poi, si sentiva uggiolare da almeno tre direzioni diverse. Barbara scese circospetta, dando una mezza occhiata alla gomma delle scarpe da barca. Carla si era messa qualcosa di svasato e probabilmente scomodo, ma sembrava cavarsela meglio in quella pece sicuramente impestata. Notte di luna nuova, ovviamente.
Il cancello non mancò di cigolare, anche con una certa soddisfazione, percepibile tra un criic ed un booooc: i loro passi facevano rumori diversi sul ghiaietto, Carla era una specie di cicala raffreddata nella brina, Barbara un biscotto che annegava nel tè. Percorsero trenta passi, quando un riflettore le illuminò di scatto: non se l'aspettavano, Barbara si ritrasse leggermente, anche Carla avrebbe voluto saltare all'indietro, anche se non sta bene, ma aveva le cicale incatarrate e spente nel viottolo.
Dentro si stava meglio, una scarsa e liquida luce veniva da un'applique coi riquadrini gialli, un po' tremolante: la sala aveva un trompe l'oeil con ginestre e ciclamini abbracciati ad un arco diroccato, in fondo c'era una vetrata a specchio accanto ad un tavolino di alabastro con le estremità intarsiate a fiori di otto petali disposti ed appuntiti come i venti nella rosa, a destra c'era una collina di velluto che nascondeva qualcosa, forse un clavicembalo, forse una cassapanca, forse…
Dalla vetrata, aperta da una mano invisibile, un pastore tedesco si scagliò al galoppo contro di loro. Si appiattirono contro la porta, che si era serrata al tocco di Carla con un suono definitivo.
'Senti, Asia, o come caspita ti chiami…' pensò Barbara 'di tanti modi di morire, questo mi sembra il più insultante. e non so nemmeno dove muoio, e che ci sono venuta a fare'. Pensò tutta la frase, perché il cane si era fermato: ringhiava, ma non si schiodava di un pollice. 'Dev'essere l'odore campestre sotto le mie scarpe: gli fa troppo schifo avvicinarsi'
"Che facciamo?" disse Carla-Asia tremando.
"Che farà lui, piuttosto"
La teoria di Barbara sulle scarpe doveva esser giusta, perché il cane, ripartendo al galoppo, sparì un'altra volta dietro la vetrata. Si inoltrarono anch'esse, dopo aver lasciato un po' di distanza dietro al cane: sulla destra si apriva un corridoio, cioè no, una fuga di stanze: nella prima sedevano almeno venti persone, che non sembravano essersi accorti di loro: a prima vista erano quasi tutti uomini, ma, notarono poi con un certo sollievo, c'erano anche quattro ragazze.
Di tutto quello che si disse quella sera, Barbara non capì nulla: si parlava di politica, indubbiamente, ma in un modo che era per metà filosofia, e per metà pratica, ma pratica molto terra-terra, del tipo "vai dal nostro amico, e lui farà per te quel di cui hai bisogno", lista della spesa più che cahier de doléances.
Tornando, Carla le spiegò che quelli erano gli amici del suo gruppo liberal-innovativo-cattolico-riformatore, che il capo era quel biondino, che si chiamava Andrea, ma che tutti chiamavano "il biondo". Di solito si riunivano al circolo liberal eccetera, ma quella sera, eccezionalmente, avevano potuto stare in villa, con imprevisto contorno di pastore tedesco galoppante.
A posteriori, comprese anche che c'era qualcuno che la fissava intensamente, che chiese a Carla il suo numero di cellulare, e che la sera successiva la chiamò.
8.
"Ciao Barbara, qui Monica. Volevo dirti che mi ha fatto molto piacere conoscerti il mese scorso, sei una ragazza molto simpatica, o forse simpatica è un termine inadeguato alle qualità che sono sicura tu hai, e che non ho fatto in tempo a scoprire. Che bei locali ci sono giù da voi, io credevo non si potesse far altro che capitare in quei posti alla moda, dove ci si conosce tutti, ed il buttafuori ha l'ordine di non far entrare nessuno che non conosciamo, cosicché qualunque miscela appena un po' speziata è, più che proibita, impossibile. Certo, si vede che studi ancora, così sognatrice, romantica, gentile: me, la vita mi ha un po' imbarbarito. Ma mi riprenderò sai: sto appunto iniziando. Con vero affetto Silvia
P.S. Corrado è qui e ti saluta"
Studi ancora? A parte che le mancava soltanto un ultimo esame e la tesi, che c'entra studiare con essere sognatrici e romantiche? In ogni modo, Corrado si stava divertendo e ben le stava (proprio nel senso che le stava bene, così). Come prevedeva, Silvia l'aveva sorpreso con una donna, e il trucco aveva funzionato: che quella donna fosse lei stessa non aggiungeva che un po' di pepe all'intruglio. Ora poteva ricominciare da sé.
Oddio, non è proprio che una telefonata come quella del liberal eccetera, fosse fatta per mettere una pietra angolare sotto la propria rinascita: al massimo poteva essere un ponteggio in via di disfacimento. Imbarazzante. Ci voleva provare: benissimo; si può non essere d'accordo sull'idea, ma perché telefonare ad una ragazza che non ha parlato quasi tutta la sera (di cosa avrebbe dovuto parlare poi?) e dirle che una sua frase ti ha colpito. Significa andarseli a cercare, i guai.
"Quale frase?"
"Sai…quando parlavi di come potrebbe cambiare questo mondo, con un po' di buona volontà, con un po' di, ecco, di collaborazione"
Si era preparato però: anche il citare la collaborazione, molto furbo; se ci fosse caduta, se fosse stata collaborativa, non avrebbe fatto che confermare quel che aveva detto, cioè che non aveva detto la sera prima. Ma occorreva dargli spago: la cosa si faceva divertente, per puro gioco intellettuale, perché se il tipo che le aveva telefonato era quello che pensava lei (non ne era sicura dalla voce) non c'era speranza, per lui.
"Io credo molto alla gioia, che la propria gioia personale possa migliorare la vita di tutti"
"Ma è fantastico, è quel che penso sempre anch'io" replicò lui; si sentiva dal tono che stava andando fuori copione, così Barbara riattaccò senza nemmeno prendere fiato: "E' come un mosaico, la gioia di tutti è fatta dalle piccole gioie di ognuno". Rincarò la dose: "Come un coro di uccellini che cinguettano è fatto dai canti singoli di ciascuno"
Bene così: se avesse risposto qualcosa di adeguato a questa frasetta, che sembra frivola, ma che era l'essenza di tutta la filosofia anselmiana (non nel senso di Anselmo D'Aosta, ma di B.A. ciami, ecc.), sarebbe stato l'uomo della sua vita: sarebbe stata disposta a prendere la macchina (ma anche un tassì, anche se dopo l'ultima esperienza avrebbe messo dei pantaloni), gli avrebbe citofonato sotto casa e gli avrebbe offerto un giro panoramico della fantasmagorica capitale del Centro by night.
Ma non lo era: pensò che fosse una frase insignificante ed infantile, e la telefonata, dopo qualche frase improbabile e vaga su successivi incontri, si spense nel nulla, come in un buco nero. Di persona, sapeva bene che il ragazzo si sarebbe trattenuto un po' di più, perché sparire alla vista di una B.A. non è mai facile: non si trovano B.A. ad ogni angolo di strada, sicché, una volta che se ne è incontrata una, val la pena di dilungarsi, almeno nell'osservazione. Ma al telefono è diverso, poi Barbara aveva commesso un peccato, e l'aveva commesso volutamente: dire cose dolci e leggère con una voce consueta, abituale, come se le dolcezze facessero parte della vita, non con una voce imbambolata ed inespressiva da abbuffata di Condorelli. E così col liberale eccetera finì lì per allora.
Barbara ci scherzava, ma non è che si vedesse bella, tutt'altro; gli altri la vedevano bella, a volte, anche se spesso con una lunga lista di distinguo: se facesse, se dicesse, se fosse, ecc. Bisogna sempre, o almeno è preferibile, rispondere alle aspettative degli altri, che ci inquadrano, ci scrutano, ci spiegano anche a noi stessi. Finché non si fugge alla ricerca del proprio centro. Le piaceva ascoltare della musica che la facesse commuovere e ricantarla ad alta voce in auto di notte in città, nascondendo le lacrime in un taglio affrettato ed insincero delle labbra. Quel mare che si culla sotto la pioggia estiva, che ti fa sentire parte di un tutto più grande, in qualche modo gestito consapevolmente ed in armonia, un infinito con un fine sicuro, anche se inevitabilmente malinconico. E una ragazza, pensava Barbara, non può essere quietamente malinconica, triste e depressa sì, ed ovviamente consumare alcolici e droghe varie, a tutto beneficio del mercato e delle multinazionali, ma la malinconia no, non è autorizzata in società: eppure è la radice dell'unica gentile euforia che valga la pena di provare.
Neanche al Centro faceva più tanto caldo, quando Laura si fu completamente ikeizzata: allora calcolò con molta generosità che in casa sua ci stessero sei persone di taglia media, quindi notevolmente più piccole e snelle di lei. Barbara, media per definizione, era presente all'esperimento. Non faceva più caldo, ma a casa di Laura c'erano nugoli di zanzare feroci ed affamate, lo zampirone sul davanzale, e la finestra semiaperta. Laura aveva messo la citronella sul vassoio insieme alle bibite, pericolosamente vicina alla Coca Cola al limone.
"Si sono annidate nel truciolato, le maledette: devono essere le famose zanzare-tarlo svedesi"
La casa odorava di nuovo, di colla e di legno, e sarebbe stato in fondo gradevole, se le zanzare non avessero prediletto le bionde.
"E' così" disse uno, che Laura le aveva presentato come un artista e romanziere "ti anestetizzano per un paio di minuti, il tempo di fuggire, e poi quando inizi a grattarti sono già lontane"
"Lontane per modo di dire" commentò Barbara "sembra piuttosto che descrivano un turbine, od un vortice, intorno a questo divano. Fingono di allontanarsi e girano continuamente, come i temporali su un lago incuneato tra i monti"
Era chiaro che l'artista e romanziere non era stato colpito dalla similitudine vagamente poetica di Barbara: aveva tre racconti lunghi nel cassetto, e pensava di farne un unico libro, "anzi un libro unico" come precisò. "E tu scrivi?" le chiese.
"Se ho qualcosa da dire, scrivo. Lettere, diari"
"Ah, già, il romanzo epistolare sta tornando di moda. Oppure quello ad incastro, quattro storie che si sovrappongono diacronicamente"
"Io non scrivo per la moda, scrivo se mi va"
Barbara non era contenta per il concetto espresso, un po' banale ed anche sforzato, ma non avrebbe saputo essere diacronica, se andava il diacronico. Qualche mese prima, una negoziante era riuscita a convincerla che andavano le autoreggenti. Corrado aveva reagito scompostamente: aveva contato fino a ventiquattro mani che si muovevano indipendentemente. In apparenza, non si muovevano per lei, ma si muovevano su di lei: e molte di queste erano anche bagnate di sudore, un sudore autoreggente. Comunque le calze erano servite a chiarire che quel ragazzo aveva qualcosa che non andava, o almeno che non andava a lei: in un certo senso erano valse la spesa, anche se Barbara aveva deciso di archiviare i suggerimenti offerti dall'episodio delle autoreggenti: quel che si dice dargli un'altra possibilità (o più d'una: in verità aveva perso il conto).
In un angolo, ammesso che qualcosa del genere esistesse nel salotto puffo di Laura, sedeva una coppia male assortita, come un salatino ovale ed un bastoncino di quei sacchi da uno o due chili che si trovano in certi discount (ma non solo). Il bastoncino si chiamava Luca, mentre il salatino ovale aveva nome Sofia. Sofia cantava da soprano, anche se era ragioniera, mentre Luca era diplomato in composizione e suonava il piano. Avevano stretto un patto, di non esibirsi mai insieme, cosa peraltro facile, perché Sofia voleva sempre dar spettacolo, mentre Luca stava sulle sue, e l'angolo era la posizione giusta per lui. Peccato che non ci fosse proprio (l'angolo): a rintanarcisi, si rischiava di cadere dal balcone. Però ci si poteva abbracciare, anche se ovviamente nel farlo il bastoncino rischia o di infilarsi nel salatino ovale o di spezzarcisi contro.
9.
Insperatamente, il bastoncino era venuto in soccorso di Barbara, dopo l'ennesima tirata anti-editore dell'artista e romanziere, salutata con un po' di sgomento dai presenti, e l'aveva fatto con una frase cortese, ma diretta e decisa. Aveva detto lentamente, con voce profonda: "Secondo me, in Italia ci sono troppi scrittori, e troppo pochi lettori"
Barbara sorrise internamente, e dall'espressione costipante dell'artista e romanziere, attese un apriti soffitto, che non venne. Invece, quel ragazzo troppo attempato sbadigliò imbarazzato, e replicò: "Beh, io leggo tantissimo. Specie in treno". Il fondo crocerossino che albergava in B.A. si mosse palpabilmente: il suo volto si irrigidì un poco, nel desiderio di non arrivare a conclusioni affrettate, ma con la segreta speranza che il seguito la portasse da qualche parte, anche lentamente e a balzelloni, se necessario. Purtroppo poi l'artista pronunciò tre o quattro (facciamo cinque) frasi desolatamente spiritose, come un cabarettista fuori tempo massimo, mal interpretando l'espressione infermieristica di Barbara come un segno di necessità urgente di intrattenimento. Questa non era incomunicabilità, era buio oltre la siepe...Bisognava lasciar agire il tempo, con la sua estenuata lentezza: il tempo avrebbe chiarito ogni cosa, come al solito.
Laura aveva quella sera recuperato un vecchio amico, come sesto individuo della riunione, di taglia adeguata alla bisogna: piccolo, calvo e con un sorriso incerto e sottile, come un Rapagnetta che non diventerà mai un D'Annunzio. Ma adorante ed assolutamente platonico, quindi il genere che Laura sotto sotto prediligeva.
Barbara non poteva concepire come una con una serie indefinita di lauree, diplomi e medaglie al valore, e giustamente vessata, sottopagata e precaria sul lavoro come Laura, si accompagnasse con persone in confronto alle quali il riso in bianco e senza sale era una pietanza ancora troppo vivace. Ma non capire (qualcosa, o tutto a seconda dei casi) è un elemento fondamentale in un'amicizia senza tempo: voler capire per forza può a volte diventare pericoloso e destabilizzante come aprire un ananas col trapano. Però il rapagnetto non era noioso, anzi riusciva forse persino brillante: era fuori contesto come un trattore su una scalinata, ma si dava da fare. Solo Laura sapeva come una compagnia tanto male assortita potesse funzionare: era il segno della sua genialità, secondo Barbara.
“Resto sempre un po' stupita, quando qualcuno mi prende sul serio. Probabilmente perché io stessa non mi ci prendo, anzi lo considero pure un po' di cattivo gusto. Poi, diventare un caso clinico, una da studiare, mi mette una certa agitazione. Ora Carla mi sta puntando con un'attenzione ed una dedizione che, se non fossi sicura del contrario, attribuirei ad un'attrazione lesbica verso di me. E' vero che non si può mai dire, ma credo che l'interpretazione più saggia è che non ci sono (più) abituata. L'unico, o almeno l'ultimo, che forse mi è stato così vicino è Massimo, che, a parte il mulo e tutte le altre frescacce virtuali, ha fatto almeno il tentativo di tirarmi su. Eh già, ma prima bisognerebbe capire che sono giù, ed a quanto pare, con tutte le tecniche di mascheramento che forse inconsapevolmente uso, questo rasenta l'impossibile. Non so come sono passata a dirti questo, ma sicuramente era un pensiero che mi girava in testa da un po'”
L'interessamento discutibile di Carla culminò nella proposta che Barbara dovesse confessarsi da un sacerdote, anzi un frate, bravissimo con una i molto dilatata.
“Perché? Non ho mica fatto dei peccati gravi”
Carla la guardò da sotto in su, con evidente commiserazione: “Prima di tutto, sui peccati è sempre difficile giurarci. Secondo poi, tu hai bisogno di un consiglio di uno che capisce qualcosa, e Padre Luca capisce qualcosa, anzi più di qualcosa. Tenta sempre, e spesso risolve”
“Ma posso usare un frate come un'aspirina?”
“Sì, non ha effetti collaterali e non devi temere il sovradosaggio. E poi è veramente un amico”
Sarà stato un amico, ma Barbara lo trovò eccessivamente profumato, specie la barba, e un frate profumato è incongruo, si disse: così si dispose a nascondere più di quel che raccontava, specialmente perché vedeva la testa mesciata di Carla a non più di tre metri dal confessionale, assorta in una preghiera che non precludeva l'attenzione al mondo circostante, anzi la fomentava. Però, per il solito principio moralistico anselmiano che anche si fa qualcosa, di cui non si sente un'eccessiva necessità, bisogna farlo bene, il muro di gomma che Barbara aveva costruito cominciò a stiracchiarsi e a cedere. Dopo aver esplorato, correndo a perdifiato per i dieci comandamenti, la propria vita recente, avendo accolto con una foga assolutamente eccessiva l'"Allora, come va?" cortese, ma professionale (se è il termine giusto) del frate, ne concluse che era confusa, lei, la sua vita, tutto: e rimise questa considerazione piuttosto intima nelle curate mani di Padre Luca.
Con sua sorpresa, il frate incominciò a parlare di sé: "Sai, quand'ero ragazzo, il mio vicino di casa aveva un bel giardino, un po' piantato ad orto un po' coltivato a fiori, era un giardino che mi affascinava, ogni volta che gettavo l'occhio di là dalla staccionata, e forse mi intimidiva anche un po'. Più di una volta dovetti suonare alla porta del vicino per recuperare la palla che giocando era caduta tra quelle piante, a volte spezzando qualche rametto o piegando qualche foglia. E mi ricordo che una domenica pomeriggio, invece di prendere la palla e di restituirmela, come faceva sempre, con gentilezza, mi portò a visitare il giardino, facendomi notare gli alberi da frutto, le file ordinate dell'orto, e le diverse aiuole coi fiori di vari colori. Ed io che ero curioso, ed anche un po' dispettoso, gli indicai una zona del giardino, l'unica che era in un caos, rami che giravano da ogni parte, verso l'alto, verso terra, foglie sparse, multicolori, alcune quasi schiacciate dal peso dei rami, e gli dissi: -Quella parte non mi piace-, ma lui mi spiegò che quella era una vigna e la vigna deve essere così, confusa e contorta, per portare frutto". Il frate si stropicciò un po' la barba, come se fosse quasi imbarazzato dal profumo: "Lo sono andato spesso a trovare, fino a che è morto, ogni volta che vado a casa di mia madre. Lei dice che il nostro vicino era più cristiano lui, di tanti che vanno in Chiesa…"
Barbara sorrise appena.
"E così la tua vita è una vigna, ma non importa: non sai che devi fare, ma questo non è l'essenziale, questo Dio lo sa, basta chiederglielo con fiducia. L'importante, sai, è che tu porti frutto…E si porta frutto essendo in massimo grado quello che si è già, diventando se stessi"
"E così io che c'ero andata con lo spirito di una che va a fare una scampagnata, mi son trovata spiazzata da questo discorso, e mi è venuto in mente Corrado, il suo interesse totale ed esclusivo, che non mi coinvolge, e la sua crescente vacuità degli ultimi mesi, vacuità che rischiava seriamente di comunicarmi. Ma io sono quella del mare che si culla sotto la pioggia estiva, devo avertelo già detto, ma che si culla per legarmi a sé per la vita forse mi era sfuggito, sono quelle parole l'essenza di tutto. E' la natura che stringe a sé: gli uomini, certi uomini, non fanno che abbracciarti. Ma magari ti sembrerò troppo melensa, è che a scriverti davanti allo schermo qualche sottile barriera viene a cadere. A dirti queste cose di persona, ne arrossirei, e sai che il rossore non mi dona tanto. Sai, Manuela, oggi stavo quasi per dar ragione a Carla… Sarà grave?"
10.
Già, Corrado: facciamo un passo indietro, o per meglio dire, una lunga passeggiata verso Nord per andarlo a recuperare a questa storia. Dobbiamo dire innanzitutto che la SIG(H) aveva chiuso, senza pagare una lira di liquidazione, perché gli eventuali e magri profitti se li erano mangiati gli yacht e le Jaguar dei dirigenti. Dal canto suo Corrado si era giocati i risparmi sulle conseguenze del bloc notes (ora cessato) ad acchittarsi ed a tentare di suscitare l'interesse delle colleghe, con l'idea che Monica, nel suo côté silviesco, potesse stufarsi di lui e di quello che B.A. definiva interesse totale ed esclusivo. Doveva acculturarsi, recuperarsi a qualcosa che sapeva di aver conosciuto, ridiventare interessante per un pubblico femminile più esigente e meno sull'orlo dell'assenza di cassa integrazione. Ci sarebbe riuscito? Forse, col tempo…
Dal canto suo, Barbara era in fondo consolata che il silenzio durasse così a lungo, e minacciasse di essere definitivo: d'altronde, come per uno che soffre di cefalea, l'aggiunta di una musica, anche gradevole, non è esattamente balsamica, così per una povera B.A. con un'orchestra sintonizzata sugli anelli di Saturno, la quiete è sempre un concetto relativo.
Avevano trovato Sandro con una decina di grammi di polverina bianca che, trattandosi di lui, non poteva essere zucchero: e non essendo uno di quegli attori, cantanti o semplicemente raccomandati che possono vendere ai media anche un'intervista dal carcere, un sopralluogo della polizia nella casa al mare o magari la stanza teatro d'un delitto, si ritrovò in una caserma, dove fu naturalmente picchiato, finché, come aveva sentito che si doveva fare, si gettò contro lo spigolo di una scrivania e vi restò privo di conoscenza, ma vivo, per cui fu scaricato, cioè soccorso nel più vicino ospedale.
Sandro era fasciato completamente soltanto in testa, in corridoio, in attesa che si liberasse un posto letto, gli altri graffi ed ecchimosi che affioravano qua e là, mentre parlava, sembravano dover soltanto aggiungere un po' di colore alla situazione. Trovava anche la forza di scherzare; aveva ora un'inflessione dialettale strana, artificiale: "Oh, è vero che sembro Nando Meniconi alla fine del film? Mo' scrivo pure The end con la saliva"
Barbara stette al gioco, con un sordo groppo in gola: "Forse, se continuavi ad andare appresso alla Bratz, non ti conciavi così"
"Me ce conciava lei, diciamo"
"Ma non sai esser serio neanche adesso?" disse Barbara, ma sorrideva.
"Colpa tua"
"Colpa mia, perché?"
"Quando t'ho sonato sotto casa, che t'eri quasi lasciata co' Corrado, potevi prendere la palla al balzo"
"E tu saresti la palla, no?"
"Certo, da baseball, sempre per restare in tema co' Meniconi. Se ce n'andavamo a fare un giro, t'avrei portato pure allo Zodiaco, oppure a Torvajanica, conosco un chiosco delle grattachecche originale"
"Il giro l'abbiamo fatto"
"Sì, ma era depresso, minimale: io volevo lo Zodiaco, capisci" disse quasi cupo.
"E chi pagava?"
"Tu: io so' moderno, nun ce tengo a 'ste cose…Sono un duro" continuò più piano, e la voce gli si ruppe tra le lacrime. "Me fa male" sussurrò.
"Dove?" disse Barbara avvicinandosi.
"Qui, lo sterno, m'hanno sderenato, 'sti fiji de…" e tossì.
"Beh, non piangere, che…me lo attacchi"
"Ora smetto: però mi piacerebbe vederti piangere… Te c'ho visto solo una volta al liceo e t'avrei portato in cielo in carrozza, tutta rossa com'eri"
"Scherzi? Il rossore non mi sta bene"
"Eri bellissima…cioè…" disse più piano "anche ora"
Barbara gli tese una mano, che Sandro cercò di baciarle, senza riuscirci. Tossì ancora.
Non erano più soli.
"Lo so che la tenerezza non è amore, so che è qualcosa di diverso, di maledettamente diverso. Però non si può dire che la tenerezza non sia nulla, che sia soltanto uno sbuffo di fumo. Quando ci sono tante cose che si conoscono e si riconoscono della nostra vita, non si può far finta di nulla. Ed al di là della vernice bukovskiana, Sandro non è mai cambiato: non è la persona adatta a me, mi fa troppa paura a volte, ma credo mi piacerebbe lo fosse stato. Si è giocato con le sue stesse mani"
"Cara Barbara, c'è un riavvicinamento, sai? Devo ancora capire che senso abbia, se ce l'ha, ma proprio dopo che abbiamo firmato quei documenti di fronte ad un giudice annoiato, che pensava al cappuccino prossimo venturo, altro che riconciliarci. Invece, il cappuccino me l'ha offerto Mario, e dopo abbiamo parlato, e poi ci siamo lasciati un'altra volta. Sento però che parlare ci ha fatto bene, almeno ora l'odio ed il rancore si è confuso in qualcosa in diverso: -Forse dalle parole nasce qualcosa di più solido- m'ha detto lui lasciandomi. Io resto perplessa, con un retrogusto vagamente dolciastro, ma almeno ora non ho paura di affrontarlo. So che sta un po' male anche lui, ed anche se non mi fa pena, non mi sembra più crudele e ottuso come prima"
Quando Barbara fu chiamata a rispondere all'esame, aveva raggiunto quel punto di totale e tranquilla consapevolezza della propria ignoranza che confina con la pace dei sensi. L'ultimo esame le sembrava quel territorio malcerto, dove qualunque osservazione (ed incidentalmente, qualunque voto) poteva esserle bene accetto. Aveva iniziato l'università quasi cinque anni prima con l'idea che si trattasse di una seria faccenda culturale, che meritasse una seria e meditata attenzione. La concludeva ora, o quasi, con l'idea che si trattasse di una trafila di prove, una dietro l'altra, a cui dedicarsi con sottigliezza, ma anche con un'intima, ed un po' rabberciata, fretta. Il solito principio B.A. che le cose vanno fatte bene non veniva meno, è che il far bene in quel caso coincideva con inanellare quel piccolo grano nella coroncina, che si traduceva in una verbalizzazione, costi quel che costi.
Fu tuttavia stupita dal constatare che la commissione sembrava contenta di quel che diceva, le piaceva anche il suo tono di voce moderato e tranquillo, si sentiva come se, liberata da un peso, potesse correre a perdifiato: non era certa della direzione, ma della necessità della corsa, di quella sì che era sicura.
Così arrivò alla parte pratica: le misero davanti la carta dell'I.G.M.; raffigurava una zona nel 1940. Barbara riconosceva qualche toponimo, ma le pareva nel complesso che di quanto indicato sulla mappa non esistesse più nulla, luoghi totalmente cancellati, come si dice in urbanistica: sembrava una geografia da hobbit, o meglio da villaggio gallico, dove la lente, infilzata con una picca, avesse deformato quel che restava della realtà.
Vacillò: prese un fontanile per un bosco, cosa inspiegabile; "la vigna deve funzionare" si disse, e vide l'assistente, una ragazza poco più grande di lei, con dei grandi ed improbabili occhiali fumé, puntare l'unghia verso una lunga e contorta linea tratteggiata. Barbara fu presa da un attimo di esitazione, improvviso, ma forse per questo più doloroso ancora, poi la corsa di prima si chiarì, era tra l'erba alta, in un campo di papaveri e di violette. Aveva le trecce, sette anni, e aveva perso il primo dente da latte la settimana prima, ma nessun topolino le aveva portato quel che si aspettava. Doveva essersi sbagliato, magari l'aveva confusa con un'altra bimba bionda con le trecce, ce n'erano tante, anche se lei era l'unica B.A. E c'era suo padre, sbiadito come si conviene ad un'ombra, affettuoso come non lo era realmente stato mai (Battisti doveva aver detto qualcosa del genere).
Sparse le sillabe come sul tavolo da gioco: "Questa era la ferrovia mai realizzata: ci fu la guerra ed i lavori si interruppero, e non ripresero più; era la ferrovia rapida per il Nord, la via interna"
La ragazza con gli occhiali la guardò sorpresa, anche leggermente scandalizzata forse: "Dunque, è una ferrovia in costruzione"
Barbara ammise, sì, era una ferrovia in costruzione: tutto il resto era la solita poesia che non interessa a nessuno. Suo padre parlava di quei lavori interrotti, che si vedevano ancora, malgrado la valle d'argilla fosse stata largamente occupata dalle case nuove, la traccia del binario era chiara, e si poteva anche scorgere l'imboccatura ovoidale della galleria. Ma suo padre non c'era più e lei doveva essere seria, crescere, smetterla di ascoltare canzoni malinconiche e un po' folli, e vivere la sua vita vera.
"Per me va bene" concluse la ragazza, ripiegando la mappa. Anche per Barbara andava bene.
Uscendo, si sentiva insolitamente libera: gli esami erano finiti. Ne informò sua mamma, che le rispose come se lo sapesse già. Forse ne avevano parlato al telegiornale: l'ultimo esame di B.A. non è un ultimo esame qualunque. Sua mamma era un personaggio di contorno, nel cinema sarebbe stata una comparsa, nello sport un portatore d'acqua, un gregario. Non è che non avesse idee, le aveva, solo che si contentava dell'ombra che facevano sul muro, le bastava che lasciassero traccia: non aveva mai cercato di parlarne, tantomeno con Barbara. Sarebbe forse ingiusto darle più spazio di quel che chiede in questa storia: non saprebbe come riempirlo e probabilmente ne arrossirebbe. Ma la sua presenza si diffondeva come una consuetudine sul mondo di Barbara, che non sarebbe stato lo stesso senza di lei.
11.
"Sai, mi piacerebbe leggerti qualcosa che ho scritto, penso che forse potresti capire, che finalmente avrei trovato una persona con una forte affinità culturale con me"
"Cosa ti fa pensare che potrei capirti?"
"Mah, non so, mi sembri così sensibile, un'anima profonda, densa, ricca di chiaroscuri…"
Secondo Barbara, erano le efelidi: le efelidi le spuntavano in primavera e si dileguavano in punta di piedi verso l'autunno. Quell'anno erano ben intenzionate a restare, e Barbara aveva raggiunto quasi un decente compromesso con loro. In fondo meglio un'efelide di un punto nero (anche se la differenza, ad un occhio inesperto, può talvolta ridursi fino ad essere infinitesimale). Il ragazzo attempato, Giulio, era un tipo da efelide: doveva avere un poster di Veronica Miriel o forse di Pippi Calzelunghe in camera. L'efelide è una gioiosa imperfezione, un po' come constatare che il professore, od il capo, che ci terrorizza, ha un velo di polvere sulle scarpe nuove. Dispettosa, anche. E siccome Barbara dava per scontato che Giulio non fosse arrivato alla sua anima, e sperava che non si fosse eccessivamente soffermato sui suoi apparenti dintorni, la teoria dell'efelide stava in piedi, eccome.
Di fronte alla morbida parete di efelidi che Barbara aveva eretto, Giulio ingranò la ridotta: "Beh, non ci si conosce mai abbastanza, credo. Tuttavia, se posso dirtelo, non ho mai trovato una ragazza che sapesse condividere a pieno certi sentimenti, certe aspirazioni, dico proprio in senso letterario"
Barbara sapeva che adesso Giulio avrebbe tirato fuori dei racconti, e non dei racconti qualunque, ma dei racconti sofferti, profondi. In parte era stata lei a non troncare il discorso, quella sera da Laura, quando soltanto per il fatto che non stavano neanche in piedi in quel minuscolo salottino, avrebbe dovuto tagliar corto, essere sferzante ed algida. La drammaticità non era mai stata il suo forte: la spiegazione che si era data per questo è che aveva il seno piccolo. I fiumi di lacrime non vanno a peso, certo, però avere un contenitore più capiente aiuta a mantenere la tensione, a reggere il pathos. Lei dopo poco era sempre a corto di fiato, nel senso non di voce per urlare, ma di scenografia per piangere. E poi, francamente, si trovava ridicola.
Corrado aveva spesso reazioni scomposte, ma mai nei rari momenti in cui un po’ di scompostezza sarebbe stata tollerata, anzi avrebbe costituito una gradita sorpresa. Una volta, in campagna, Barbara si era messa un cappello di paglia con una falda larga (era estate), si era aggiustata i capelli che le scendevano spontanei e scalati ed era rimasta in attesa, un’attesa un po’ obliqua e molto dolce, ma innegabile. Oh, aveva anche un vestito a fiori che, benché di un rustico improbabile da messa grande della domenica, sottolineava con discrezione alcuni concetti, fisici e caratteriali, molto B.A. Ma purtroppo Corrado voleva una ragazza ripassata con l’evidenziatore rosso, a rischio di non vederne più i tratti né la personalità: e allora, meglio il tipo da efelide.
“Ci sono cose che penso spesso” continuò Giulio su un tono monocorde “In particolare rifletto sul futuro: che cosa devo scegliere, la letteratura o la vita? Tu cosa prenderesti?"
"Tutto. Sceglierei tutto. Perché devo togliere qualcosa?"
"E il tempo?"
"Il tempo si trova sempre, credo"
"Io non ho mai tempo"
Eccolo là, rifletté Barbara: la lagna inevitabile del fatto che se uno è felice, quando se ne accorge, non lo è più, col corollario menagramo che la felicità ad ogni buon conto non esiste. E giustamente il tempo manca, il tempo stringe, come le scarpe, come la cravatta: e stinge negli anni, si opacizza. Non c'era via di scampo: doveva immolarsi sull'altare della letteratura. E non si dica che una B.A., in questi frangenti, si sia tirata indietro.
Barbara disse dunque, senza quasi prender fiato: "Puoi parlarmi dei tuoi tre racconti? L'altra sera me ne hai appena accennato"
I tre racconti, a forza di convivere sullo stesso disco rigido, avevano finito per intrecciarsi, probabilmente per copulare, e ne era uscito fuori un romanzo, un po' muschioso come un sentiero che scende da tre colline diverse: "E' bello però" disse Giulio: Barbara non si permise di dubitarne, e lasciò che la serata andasse per proprio conto, ascoltando come si intrecciavano le trame e sottotrame di 'Trasgressione AX'. Non osò chiedergli se c'entrasse qualche utilitaria o forse un motorino, ma sicuramente no, troppo banale.
Tornò da Padre Luca per chiedergli come si diventa se stessi, ma sul momento non ebbe cuore di formulare la domanda, e si limitò a girarci intorno per un quarto d'ora circa. Parlò lui, per fortuna: "E allora, la vigna dà frutto?"
A quella domanda, Barbara espose, correttamente ma velocemente, tutto quello che era stata la sua vita recente, senza tacere nulla, né la banca SVAL né il caldo di qualche mese prima e neanche il terremoto di Corrado e le botte in caserma di Sandro. Quando ebbe mosso abbastanza alberi da intravedere il bosco, si stupì che quello strano prete, che poi era un frate, non si scandalizzasse. Non aveva fatto niente di grave, nulla che fosse indicibile, e forse era proprio questo il punto: infatti aveva raccontato tutto questo niente, come una B.A. non dovrebbe fare (o almeno, come non aveva mai fatto in una ventina d'anni di vocalizzi). Ma anche la vigna è niente, solo un intrico di rami contorti e sbilenchi.
"Non parlava, mi ascoltava soltanto, una sensazione nuova, nuova e strana: la barba sembrava concentrata come su un'eternità che appariva evidente solo a lui. Non parlava, ma io sentivo di andare bene. Anch'io avevo avuto un riavvicinamento a me stessa, e pensavo che anche se Corrado non dovesse tornare più (e non so se temerlo o sperarlo, a questo punto), non sarò sola. Ci sarà sempre il mio mare assorto di pioggia e le nuvole grosse che mi guardano con un po' di inutile pietà. Ieri sera sono andata al pub con Massimo, per festeggiare in anticipo la mia laurea, che tanto arriverà, anche se non ho voglia di affrettarla". Era una notte già d'inverno, un po' in anticipo per il Centro, chiara e fredda, ma anche nitida e concitata come se avesse fatto tardi ad un appuntamento importante. "Sono state ore lineari ed incredule, una serata di succo d'arancia e di chiacchiere un po' vuote, ma sincere, che rimeritano tutta la mia vita passata, e quella che spero verrà. So che ad un certo punto ho detto piano a mio fratello, che era più spettinato del solito, forse anche per il vento, che aspettavo qualcosa, come sempre: ed ho aggiunto che ogni minuto in più che si aspetta, una goccia si condensa sul cuore; magari è soltanto una lacrima, ma intanto è lì"
Massimo aveva accennato un sorriso, che per lei era complice e sereno, e le aveva sfiorato la mano per farle coraggio.
Il mare della canzone continua a scorrere, battendo la riva fino a cingerla e ad accarezzarla. Sul suo letto ancora di bambina, B.A. sogna: sogna che qualcuno la porti via, o forse la riporti a casa, quella casa vera che abita al fondo di ognuno, col suo giardino fiorito e i petali sparsi dal tramonto d'un autunno infinito, che ricorda tanto un'estate un po' appassita e tenera.
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Carlo Santulli
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Prefazione / Indice / Scheda
Ghigo e gli altri di Carlo Santulli
2007 pg. 204 - A5 (13,5X21) BROSSURATO
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Altre informazioni / L'autore
Pochi autori, come Carlo Santulli, sanno giocare con le parole, intarsiandole in piccole storie che si snodano tranquille (mai lente) attraverso una realtà quasi ordinaria e che, pure, riescono ad affascinare il lettore costringendolo a leggere fino all'ultima riga. Personaggi stupiti, a volte impacciati, si aggirano tra le pagine di questo libro, alle prese – come tutti noi – con le incongruenze e le follie del vivere quotidiano, non si abbandonano però all'autocommiserazione, non si ribellano, non cedono a tentazioni bohemien e, se cercano una via di fuga, questa è piuttosto interiore che esteriore. Un cammino, a piccoli passi, che li porterà, forse, verso un punto di equilibrio più stabile. Irraggiungibile (ma reale) come un limite matematico. Siano essi alle prese con una Quinta Arborea, un mazzo di chiavi che si trasforma nel simbolo di un'esistenza, un Clostridio tra i Pirenei, o passeggino, semplicemente, per le strade di una sonnolenta Roma anni trenta.(Marco R.Capelli)
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Prefazione / Indice / Scheda
Ghigo e gli altri di Carlo Santulli
2010 pg. 200 - A5 (13,5X21) COPRIGIDA
Altre informazioni / L'autore
Pochi autori, come Carlo Santulli, sanno giocare con le parole, intarsiandole in piccole storie che si snodano tranquille (mai lente) attraverso una realtà quasi ordinaria e che, pure, riescono ad affascinare il lettore costringendolo a leggere fino all'ultima riga. Personaggi stupiti, a volte impacciati, si aggirano tra le pagine di questo libro, alle prese – come tutti noi – con le incongruenze e le follie del vivere quotidiano, non si abbandonano però all'autocommiserazione, non si ribellano, non cedono a tentazioni bohemien e, se cercano una via di fuga, questa è piuttosto interiore che esteriore. Un cammino, a piccoli passi, che li porterà, forse, verso un punto di equilibrio più stabile. Irraggiungibile (ma reale) come un limite matematico. Siano essi alle prese con una Quinta Arborea, un mazzo di chiavi che si trasforma nel simbolo di un'esistenza, un Clostridio tra i Pirenei, o passeggino, semplicemente, per le strade di una sonnolenta Roma anni trenta.(Marco R.Capelli)
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