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Tibidabo
di Carlo Santulli
Pubblicato su SITO


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Ella osservò, ed era qualche secondo, o più che taceva: - Quel vecchio quella sera, si era messo ad una certa distanza da me per vedere se riusciva a vedermi le mutandine -

Rimasi perplesso: d'accordo che i vecchi sono presbiti (ed io miope), ma la distanza che ella mi indicava col braccio, mi sembrava tanto esagerata ed incredibile, che confesso di nutrire ancor oggi una certa invidia per l'attempato sporcaccione (forse zoomava con le ciglia).

- Io stavo così - proseguì, accavallando le gambe, il che mi fece capire che tutto ciò andava facendosi interessante. - Tu vedi niente? -

Ahimè no, non vedevo che un bel paio di cosce molto abbronzate, ma nulla di intimo. Sorrise con molta dolcezza.

- Sei troppo vicino, dovresti spostarti - disse ancora, facendomi covare il dubbio (ah, dimenticavo: eravamo su un terrazzo) che forse potevo chiedere ospitalità a qualche nostro vicino di là dal viale.

Mi spostai: d'altronde, cosa potevo fare se non obbedirle? Ma anche da lì non vedevo nulla: la minigonna rossa era salita quasi fino all'inguine, ma ancora non avevo nemmeno l'intuizione di quel che ci fosse sotto.

- Non pensare che non le porti: lo so che lo stai pensando, non negare - mi disse, quasi incattivita. Poi tornò alla solita indolente dolcezza, cui tanto dovevo, se credevo di amarla (platonicamente, ma sempre più fisicamente in realtà). In verità, non osavo pensarlo: avevo il cervello in gelatina ed il resto di conseguenza. Posso segnalare che cominciavo anche a sentire freddo (era luglio, come forse ho già detto).

Riprese: - Ce le ho, magari piccole, ma ce le ho - disse morbidamente e suggendo ogni sillaba.

Sentii allora qualcosa di tremendo, anche se forse piacevole, malgrado i pantaloni di lino bianchi, venire da sotto. Mi succedeva di solito con l'applicazione di una sola delle due caratteristiche comportamentali di Morena: estrema dolcezza o estrema lentezza. Ora le aveva usate tutte e due, per cercare di portarmi ad un giusto, o sia pure eccessivo, grado di cottura.

Come al solito, quando con lei si giungeva al punto dove logicamente sarebbe stato bellissimo ed appagante arrivare (un luogo dello spirito, diciamo. che avevamo sfiorato già una decina di volte, quell'estate), lei si ritraeva, a dimostrazione (lo capisco soltanto ora) del fatto che aveva più paura di me (e io ne avevo tanta, esageratamente tanta, un mare di paura, e pure in tempesta).

Provocante lo era certamente, credo anche questo di avervelo fatto capire: che mi piacesse, lo sapete poi fin dall'inizio. Eppure, temo che alla fine avrei forse dovuto notificarle un mio allontanamento. Certo, sentivo confusamente, oltre che vampate di calore a macchia di leopardo (il che, diciamocelo, era più normale), che  non era proprio il momento d'andarsene, in quella serata di luglio, cominciata in modo così borghese e destinata così a finire, se lei non fosse stata così. Ma il mio mare interno era ormai forza nove.

Mi resi conto, non senza viva preoccupazione, avvinghiata ad una gioia che non so esprimere, che ci avevano lasciati soli sul terrazzo, anche la porta-finestra era socchiusa. Avevo degli amici che avrebbero preferito morir di caldo, piuttosto che guastarmi quella situazione di reciproco e progressivo avvicinamento (di cui tutta la nostra comitiva parlava, e ridacchiava, ma allora non lo sapevo).

Ripensandoci, credo che fossero usciti in spiaggia senza di noi: ma in quel momento li credetti molto altruisti e disinteressati.

- Dì- e avvicinò il viso fino a tre dita dal mio -tu cosa trovi di eccitante in me? E in genere cosa ti eccita?-

La mossa aveva prodotto, anche perché sapientemente unita ad una torsione del busto appena accennata, ma tendente a portare la sommità del suo seno appena sotto il mio naso, effetti devastanti sul mio sistema immunitario. Rivedo il top ma non ricordo quanto fosse scollato, però la sensazione, quella, la ricordo bene: e dall'una cosa ricostruisco l'altra. Capivo il non più giovane libertino: un punto di vista interessante.

Morena era così: prendeva il soggetto più mite e imbranatello e lo trasformava in un guardone da coproduzione italo-ispano-egiziana. O forse lo faceva solo con me.

- Questo mi eccita - ne conclusi. So (andavo al cinema tutti i sabati allora) che avrei dovuto baciarla e passare a vie di fatto coi bottoncini del top. La storia riporta che non lo feci.

- Potrei ripeterlo col bagnino? - disse allora.

Mi cascarono le braccia, o forse mi sprofondò un po' tutto, ma ressi bene il colpo. Fui anche, nel ritorno a casa quella sera, orgoglioso di me (oggi non più, in verità).

- Insieme al discorso delle cosce - replicai coraggiosamente, sfiorandogliene una, ma solo a scopo illustrativo.

Insomma mi stava usando un po' come cavia, non più del vecchietto, tranne che godevo di una visuale da posizione un po' più centrale (una specie di poltronissima), ma non dell'inarrivabile panorama mutandiero (il che conferma ciò che diceva mio nonno, cioé che la musica si ascolta meglio in piccionaia). - Se provassi la gonna a coste? O forse il lungo con lo spacco? O magari i bermuda? -

Sempre col bagnino del Tibidabo, voleva dire.

La settimana scorsa, era andata da lui: e aggressiva, ma in fondo timida quasi peggio di me, gli aveva sussurrato pianissimo con la sua voce calda e amara: - I like you -. Certo, non era frase da bagnino, tuttavia se questi avesse provato solo la metà di quel che stavo sentendo io, forse il contatto si sarebbe stabilito: gli ormoni dei bagnini hanno una lingua propria, anche se in apparenza parlano in dialetto.

Ma non si era data per vinta.

Mi sorrise appena: - Non mi prendi sul serio -

- Ti prenderò sul serio quando ti vestirai - le risposi, un po' affannato, e dalla mia vigliaccheria, se guardate verso destra, potete vedere il mare.

Sbuffò: credo ormai fosse stufa di me, del mondo, del bagnino, di tutto, ma mi prese e mi trascinò in casa, al caldo, e di lì sul letto (dei genitori, che potevano tornare da un momento all'altro, se erano andati all'arena Italia, come supponevo). Aveva in mente di fare una cosa molto erotica, tipo farsi colare il succo di una ciliegia nella gola scollata, per cui se a quel punto non mi fossi indaffarato col suo top (celeste, ce l'ho ancora negli occhi...) avrebbe avuto la prova di non piacere neanche a me (sul bagnino, una controprova poteva essere necessaria: sapete, aveva i bicipiti e gli occhi verdi, lui).

Sventura fu che Morena avesse anche fame, così trovò invece un pezzetto di parmigiano e me ne offrì: io rifiutai, un po' sdegnato, non era erotico, e poi non colava niente... Ma se avessi imparato qualcosa dai sabati al cinema, dato che sedevamo sul letto, ce l'avrei rovesciata, e accidenti a papà e mamma, ed anche al parmigiano. Ero però, da quel punto di vista, tabula rasa.

Adesso sta con un carabiniere un po' cretino e vanesio, che la tratta come non si merita e ci esce solo il sabato (e non parliamo di guardarle le cosce, preferisce le Alfa). E io? Beh, io quel giorno, come sempre, vado al cinema: ma ormai i miei gusti sono cambiati, molto più intellettuali naturalmente. E ho trovato una cui piacciono i film d'essai, ci diamo la mano nel cinema buio, a volte ci baciamo anche (di solito prende lei l'iniziativa). Una volta ci ho incontrato anche Morena col ragazzo, lei mi ha sorriso di nascosto, come se ci fosse un segreto tra noi da quella sera di luglio. E forse, a pensarci bene, c'è davvero.

© Carlo Santulli





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