1.
DEVO SVEGLIARMI BENE PER NON AVERE SENSIBILITA’ ECCESSIVA
Primo movimento - Andante
Luce gialla.
Illumina le dannate pareti scrostate di questo cesso, in un locale di quart’ordine, nel buio di una strada dove l’unico segnale di vita è rappresentato da quattro lastre umide e due ubriachi molesti.
Ma non è di questa strada che vi voglio parlare.
Voglio parlarvi del perché mi trovo qui.
Tutto sta per accadere.
E sento il sapore della vittoria, che schiocca imperioso fra le labbra, come il migliore degli spiriti.
Chi sono io?
IO SONO IO.
Adesso non è importante.
Devo spiegarvi ancora molte cose.
I vostri occhi e il vostro cervello cieco devono abituarsi alla penombra.
A quello che non vedono.
Beveteci su se pensate di non farcela, smettete adesso - fine - che siete in tempo.
Se siete un branco di femminucce isteriche, abituate all’assuefazione della quotidianità, beh, continuate a fare così.
Occupatevi dei vostri capelli.
Voglio ritornare nel cesso umido, però.
Quello è il mio posto.
E’ lì che è cominciato tutto, è lì che finirà tutto.
Perché io detesto essere svegliato presto la mattina, mi si scoprono i nervi e non riesco a dare l’esatta dimensione alle cose che mi circondano.
La misura elettrica delle cose.
Mi si scoprono le gengive, come ad un cane che viene infastidito da una ragazzina petulante e ormonale.
Lo so che lo vedete.
Lo vedo anche io.
E vedete pure quell’altro, so anche questo.
Ancona e Provenzano.
Due musicisti in un cesso umido e in penombra.
Dalle pareti scrostate.
Un musicista che si rade i capelli, passando esattamente il rasoio con un’inclinazione di novanta gradi rispetto al piano del cuoio capelluto come quando ari un terreno o fai un màndala.
Ma lui non lo sa che cos’è un màndala. [1]
IO SI’.
Io so tutto.
Anche perché sta facendo quello che sta facendo.
Lo vedo dall’espressione dei suoi occhi.
L’azzurro dell’iride si è ritirato, all’indietro: emerge solo la pupilla che si contrae a intervalli regolari seguendo il suo respiro.
Si è accorto di me.
Di me che sorrido, intendo. Nel riflesso dello specchio.
E’ il momento.
“Te la ricordi la prima volta, Ancona?”
“Mi ero svegliato male quel giorno. Sarei andato più volentieri sulla sedia elettrica se avessi saputo”
“ Sei una persona educata Ancona, come il tuo amico, lì.”
“ Sei pronto a sapere la verità? E tu , anche tu Provenzano, sei pronto per la verità, ti senti abbastanza forte?”
Stop.
Resettate tutto.
Questa è la fine.
E l’inizio.
Ve l’ho detto.
Qui.
E’ qui che è iniziato tutto.
Nel cesso.
Davanti a un lavandino sporco, uno specchio e una macchia di umidità.
Riavvolgete il nastro.
Rewind.
2.
SE VOLETE FARE I SERI CERCATE ALMENO DI FINGERE BENE
Secondo movimento – Moderato
Sono un moralista.
Un purista.
Conformista.
Per questo motivo,per me,la realtà oggettiva non esiste.
La Verità non esiste.
Esistono differenti punti di vista assoluti.
Ed esiste la Fede.
La bugia che ci raccontiamo perché è più facile credere ciecamente in qualcosa che non conosciamo piuttosto che non credere in qualcosa che possiamo dimostrare.
Nonostante l’evidenza delle cose.
Io ho un solo Dio.
L’illusione.
Mi fa andare avanti e suppongo mi dia una ragione per esistere.
Eccomi davanti al computer.
Come ogni notte.
Posso essere quello che voglio.
Schermo.
Luce.
Immagine.
Finestra di dialogo.
Chat.
Nickname: Gelsomino.
Ridete?
Cazzo ridete?
L’olio essenziale del gelsomino inibisce il dolore e cura lo stato di confusione mentale, lo shock e la paura del pubblico.
Io sono la panacea di tutti i mali.
E mi piace parlare con il mio computer.
Con le persone che hanno le loro facce solo quando escono di casa.
GELSOMINO: CIAO
HANK: CIAO
GELSOMINO: CHE CULO, OH… HO BECCATO QUALCUNO IN CHAT STASERA….
HANK : SEI STATO FORTUNATO. CHE POSSO FARE PER TE? SERATA MUERTA
GELSOMINO: NIENTE, PARLIAMO.
HANK. GIA’...PARLIAMO. DI COSA VUOI PARLARE?
GELSOMINO: DEL PIU’ E DEL MENO, MA PREFERIREI IL MENO.
HANK: ABBASTANZA.
Il mio io reale raglia davanti ai pixel luminosi che formano le parole.
Ah . Ah . Ah.
HANK : DOVE ABITI GELSOMINO? E COME TI CHIAMI DAVVERO?
GELSOMINO: ABITO DOVE ABITI TU . MI CHIAMO DAVVERO GELSOMINO
Lo vedo che ride.
E chiama il compare suo allo schermo.
Vi vedo, cosa credete.
HANK: OK …GELSOMINO…
GELSOMINO: CMQ …TROPPO LAVORO…
HANK: CHE VUOI DIRE GELSOMINO?
GELSOMINO: DICO…CHISSA’ CHE LAVORO FAI?
HANK: NIENTE FACCIO. VIVO.
GELSOMINO: PER LA SOCIETA’
HANK: NO, PER ME STESSO. .
GELSOMINO: GRANDE RESPONSABILITA’. IO SUONO. CIAO. BUON LAVORO.
HANK: CIAO GELSOMINO. A PRESTO.
Ce l’ho fatta.
Adesso siamo in contatto.
Carpirò i loro segreti.
Sarò i loro segreti.
Come quando avevano vent’anni.
Ma devo essere credibile.
Mentire in modo veritiero.
Come nelle canzoni.
Le canzoni dicono la verità.
Che però non esiste.
Devo essere credibile.
State sbadigliando, razza di invertebrati?
Fra poco non riderete più.
Vorrete andare via da qui.
L’unica cosa di cui avrete voglia sarà quella di vedere una parete con l’intonaco bianco e il vostro psichiatra personale.
Come stanno i vostri capelli?
Per esempio, io so cosa stanno facendo adesso i Fonokit.
Sono chiusi nel fondo del loro studio di registrazione.
A scrivere del mondo.
Anche io scrivo del mondo, solo che nessuno mi ascolta.
Comincio a nutrire ostilità nei loro confronti, nei confronti di Ancona, temo che menta.
Non è la persona che scrive quelle canzoni.
Non mi sembra.
E adesso loro, si alzano in piedi e escono dal loro studio di registrazione.
Per andare a bere.
E il mio schermo appare libero.
Aspetterò.
So aspettare io.
Scrivo
GELSOMINO: IO SONO IO. IO SO. IO SUONO. IO SCRIVO. TU CHE FAI? IO SUONO. IO SCRIVO. IO ASPETTO. VI ASPETTO.IO SUONO. IO SCRIVO. TU CHE FAI?. IO SONO IO. IO SONO IO….
AH AH AH AH
IO SONO…
NO, NON TE LO DICO CHI SONO. NON LO SO CHI SONO.
SCRIVI LE TUE CANZONI.
3.
IL JAZZ E' BELLO, PIU' SUONI NOTE A CAPOCCHIA E PIU' SEI COLTO
Terzo movimento – adagio
Dark town -in a fluorescent light-
Bright eye – upon a black face-
White lips – under a somber sky -
And everything you may think
is happening beneath the waves
- the waves-
Surrounded by a deep, wistful, howl.
Parker G. Cassidy, pseudonimo
Io sono Ancona.
Io suono.
Chitarra.
Un giorno padre viene e mi fa: “vieni figlio, prendi questa chitarra”.
Avevo nove anni.
Forse dieci.
Un anno non fa differenza.
Un anno non è un cazzo.
Beh, senti cosa ti racconto, apri bene le orecchie.
Avevo nove o dieci anni e me ne infischiavo della chitarra.
E un giorno arriva mio padre, mi sono spiegato?
Arriva e mi mette fra le mani la benedetta chitarra.
Con le sei corde e tutto.
Corredata.
Io non avevo mai considerato l’opzione chitarra.
Stava lì, da qualche parte, in casa.
Come un quadro appeso alla parete.
Il mio occhio non ci si soffermava mai più dello stretto necessario, il tempo di mettere a fuoco il percorso da fare all’interno dell’appartamento dove vivevamo.
Cosa avrei dovuto mai fare, io?
Voi, che cosa avreste fatto?
Io ho fatto la cosa più ovvia.
L'ho suonata.
E poi l'ho suonata ancora.
A undici anni ero un ragazzino autistico che suonava la discografia dei Beatles, cazzo.
A tredici anni e mezzo vivevo nella bolla, ho ascoltato “Happy”[2] dei Rolling Stones e ho deciso che per vivere avrei fatto il musicista.
Adesso vivo e se qualcuno mi chiede che lavoro faccio rispondo: “Niente. Vivo.”
Non mi piace dire che faccio il musicista.
Mi piace suonare.
Non mi piace dire che faccio musica.
Suono, punto.
Non mi piace dire alla gente: “ ehi, ascolta le mie canzoni. E' così la storia se ti piace. Adesso passami ai raggi x, crocifiggimi e guardami da sotto le palle, così riesci a vedere giù fino all'ultimo degli organi interni, anche le mie ossa riesci a vedere, se ce la fai a tirare via la pelle”.
No, io non ci penso.
Basta guardarmi senza guardarmi veramente.
Altrimenti è la fine.
E adesso spunta questo qui, questo Gelsomino - non so chi diavolo sia- con questo nome da ditelo con i fiori, che mi fa delle domande a cui non so rispondere.
All'inizio, “tutto bene”, mi sono detto.[3]
Le solite cose: come ti chiami, dove abiti, che lavoro fai.
Ma poi la storia del vivo per vivere non è bastata più.
Gliel'ho dovuto dire che sono un musicista.
Non puoi deludere un sostenitore.
Semplicemente, non puoi.
E' amorale.
Non penso mai che le mie canzoni diventino messaggi di beatitudine o dannazione o servano semplicemente per mandarsi a fanculo.
E poi mi chiedo: quante canzoni sono servite per mandarsi a fanculo? Quante canzoni sono servite per dire che società di merda, adesso mollo tutto e vivo nel deserto del Mojave oppure faccio lo spillatore di birra al dopolavoro degli operai della società dei telefoni di Liverpool?
E insomma questo Gelsomino mi parla del valore delle canzoni e fa l'analisi logica delle mie intenzioni e mi mette in bocca sue elaborazioni e fa in modo che il dannato testo lo riguardi ma, per me, quella canzone è solo una cosa già scritta.
E improvvisamente, mentre parliamo della Telecaster, mi dice: “Ancona, ma tu l'hai letta la recensione di quel Parker lì?”
“Parker chi?” gli faccio.
“Parker G. Cassidy. Nessuno sa chi sia. Nemmeno se ha i cromosomi al posto giusto, Ancona. Scrive per “La Mischia”, il giornale inglese. Recensioni in rima. Ha scritto anche la recensione del vostro cd, nuovo. Copia pirata, pare.”
“E che ha scritto questo qui?”
“Amore o purgatorio. Come Città oscura – nella luce fluorescente- occhio luminoso- su di un nero volto- bianche labbra – sotto un cielo ombroso- e tutto ciò che tu credi stia per accadere è sotto le onde – le onde- circondate da un profondo, agognante gemito. Post Scriptum: la televisione genera realtà distorte e la realtà una televisione meta-realistica. Così ho scritto. Parker G. Cassidy”.
“Ah”, faccio io, “ Ma noi non abbiamo nemmeno ancora dato il titolo al disco”.
“ Non mentire Ancona. Lo avete già fatto. Avete già formulato i vostri canti contro.”
Questo qui come fa a saperlo?
“Ancona, lo so. Li ho visti anche io i testi”.
“ Sei Parker G. Cassidy?”
“No non sono Cassidy. Magari lo fossi, saprei molte più cose e non mi troverei qui. Io sono Gelsomino l'inebriante e sto a metà strada fra te e Parker G. Cassidy. Ma non credere che mi faccia piacere, sai. Ci sono costretto. In ogni caso, so molte cose, mi piace essere una persona informata sui fatti e tu, Ancona, non hai capito niente. Non sembri la persone che ha scritto quelle parole, in quelle bellissime canzoni. Per me,tu, Ancona, menti al tuo pubblico. Mi hai de-lu-so, Ancona. Come se ti mettessi improvvisamente a suonare il jazz. Note maniaco compulsive per renderti colto. E onestamente, sono meno a caso di quello che tu credi.”
Zut.
Off- line.
Gelsomino non c'è più.
Non avevo finito.
Chi diavolo è Parker G. Cassidy?
Cazzo faccio adesso?
Non ho sonno.
Non voglio dormire.
Preferisco dormire di giorno, la luce altera il mio equilibrio.
Trasporto il mio cervello e il resto dell'apparato psicomotorio fuori di qui.
Tanto più che sento puzza di umidità.
4.
I SUCCHI DI FRUTTA NON CONTENGONO FRUTTA
Quarto movimento – in levare
“Caro Gelsomino, non tutte le cose a questo mondo vanno rivelate per quello che realmente sono . Spesso, i succhi di frutta non contengono frutta. Un risentito Parker G. Cassidy “
E così, mi sono infognato.
Il Grande Capo, Parker G. Cassidy, si è risentito perché io ho osato rivelare la sua esistenza.
Non potevo fare in un altro modo.
Un altro modo non era previsto.
Prima o poi avrei dovuto farlo.
Mi ci sono sentito costretto.
Perchè io esisto.
Non volevo certo arrivare in quel cesso e assistere alla scena di Ancona che si taglia i capelli.
Non è un bel vedere.
Non per il gesto,per il suo significato.
Ma voi ancora non lo sapete.
E’ che non mi va di essere costretto a fare qualcosa che non rientra nello sviluppo della mia più intima essenza.
Così,dopo che ho scoperto Cassidy, mi sono ribellato.
Credeva di poter fare con me quello che fa con tutti: decidere chi fa cosa e dice cosa e scrive cosa.
“Egregio Parker G. Cassidy, tu esisti anche se io non ti nomino. Tu mi hai detto che io sono Dio. E tu mi stai facendo spiare i Fonokit. Che, detto fra di noi, mi stanno anche un po’ sulle palle. Io sono più elementare. Non lo capisco l’accanimento terapeutico contro lo statu quo. Non possono scrivere canzoni che parlano semplicemente dell’amore? Dell’uomo e della donna? Ti amo, non ti amo, ma tu un tempo mi amavi. Due rime baciate ed finita lì? Cassidy, tu pensi che me ne importi qualcosa della sperimentazione e della rabbia generazionale? Secondo te, mi può minimamente interessare sapere che questi qui suonavano già da piccoli? Con quel nome poi. Bludinvidia. Non ci fossimo mai incrociati, Cassidy.Che compito del cazzo che mi hai assegnato. Gelsomino rabbioso”.
Voglio vedere se avrà il coraggio di mostrarsi e dirmi le cose come stanno, una volta per tutte.
Che un giorno qualsiasi mi ritrovo davanti a un computer e nemmeno sapevo di esistere, io.
Con questo nome da operetta.
E mi ritrovo ad esistere pure incazzato come una mina che non può esplodere, con l’ossessione dei Fonokit.
Con Parker G. Cassidy che mi spiega come stanno le cose: il perché e il per come gira il mondo.
La mia missione.
E mi piace, oh sì, mi piace quello che devo fare.
Mi piace contestare.
Mi piace uccidere le opinioni diverse dalle mie.
La musica è una cosa seria.
Non puoi permetterti di esprimere opinioni diverse.
Non con me.
Perché io sono io.
Sono Dio.
E mi ha risposto, lo scrittore.
Bene, l’ho provocato.
Ma poi chi è?
Parker, il nome di una penna o di un jazzista morto da fallito[4], davanti alla televisione.
“ Gelsomino, non ti conviene fare così. Posso farti fuori da un momento all’altro. Lo sai. Fammi lavorare e non interferire con le tue rivendicazioni inutili. Certo, non posso biasimarti, almeno non fino in fondo. Era deciso che tu fossi così e non ho voglia di cambiare. Pazientemente, Parker G. Cassidy”.
Vuole blandirmi in modo paterno.
Non lo sopporto.
Non mi fa dormire mai, non sbaglia mai.
Costretto a stare seduto davanti al fottuto computer.
Per quanto…
Per quanto adesso, potrei anche inventarmi qualcosa.
Lo scrittore mi ha mandato le canzoni “così ti fai una cultura, visto che ne sei tanto ossessionato” mi ha detto.
Se ne sono così ossessionato è colpa tua, comunque, Parker G. Cassidy.
Dice che c’è una canzone che parla di me.
“Non esiste” così si chiama.
Il concetto base fondamentale è che se qualcosa ti fa soffrire, tu la neghi, per non implodere o consumarti dal di dentro.
Così, se non parli di una cosa, questa cessa di essere .
Io - Gelsomino- esisto perché gli altri fanno esistere me, ma, quando smetteranno di pensare a me, io non esisterò più[5].
Lo so perché è quello che è successo.
Mi correggo: quello che sarebbe dovuto succedere.
Preso da questa fondamentale consapevolezza ho cominciato ad insultare Ancona e a prendermela con lui.
Non sono un tempo relativo, io.
Cazzo.
5.
BACIATE LE VOSTRE MAMME
Quinto movimento: in battere
Faccio l’avvocato, ma solo di giorno.
Nei miei sogni sono un avvocato cyborg ipnotizzato dal Dottor Franzen e costretto suo malgrado a suonare la batteria.
Non ha importanza chi sia il Dottor Franzen, solo un personaggio minore.
Dimenticatelo in fretta e guardate avanti.
La vita è troppo breve per pensare al Dottor Franzen.
E poi, io non sono davvero un cyborg.
Io sono il Grande Saggio.
Il mio motto è creatività e disciplina.
Inspiro ed espiro con regolarità, ma la mia mente è in fiamme.
Fluttua come un filosofo fra i viali dei Campi Elisi.
Come se non dormissi mai.
Nella mia mente transitano sempre molti ospiti: muse metropolitane che accarezzano i miei gangli nervosi e ispirano le mie fibre ottiche.
Io viaggio con le mie estensioni: percepisco e assorbo suoni, arie, musiche e parole.
Sono come i cacciatori di farfalle: percepisco il vento sottile delle ali che spostano un rèfolo insostenibile d'aria e le catturo, delicatamente, per contemplarle nel silenzio della mia casa.
I suoni del mondo sono le mie farfalle.
Io non parlo: io medito, osservo.
Io dico quando devo dire.
E non dico, se non devo dire.
Ciò che non è, è sempre.
Tutto quello che diciamo, i nostri gesti, si muovono su due livelli di coscienza.
Quello che vedi e quello che è.
Nel senso di essere.
Significato e significante.
Dove il significante è più vero del reale.
E' per questo che sono rimasto a guardare quando quel tale Gelsomino ha cominciato a insultare Ancona.
Non erano insulti.
Scientifici, accurati, logici attentati.
Mentire non è come non dire.
E' un'offesa grave, che mi tocca anche personalmente.
Voglio vederlo in faccia questo Gelsomino, ma le cose che dice si attaccano alla pelle e mi lasciano una sgradevole sensazione.
Non riesco a figurarmelo.
La mia mente riesce ad arrivare solo fino ad un certo punto, poi si diramano bivi infiniti.
E mi trovo davanti a porte chiuse dove c'è scritto solo “ I am the door”, “Io sono la porta”.
E allora quale?
Gelsomino é fuori dalla mia competenza.
Leggo quello che scrive e penso all'esistenza di Dio e comincia a girarmi la testa e allora devo uscire allo scoperto, nella notte.
E' quello che ho fatto, poco fa.
Non è mia abitudine.
Io sono un individuo dai gesti ordinati.
Ma stanotte ho dovuto camminare dopo quello che ho letto.
Le nostre canzoni sbattute sullo schermo e rivoltate nei loro significanti.
Con l'accusa della menzogna.
Avrei potuto esclamare: “ é uno psicopatico. Chiudi.”
Ma non ho potuto.
Perchè la testa ha cominciato a girare.
La strada era deserta.
Il buio avvolgeva i palazzi, le pietre e i lastroni umidi.
Respiravo e il fiato si condensava davanti alla faccia.
Sentivo il rumore del respiro regolare.
Che faccia hai?
Perchè capisco chi sei se immagino la tua faccia e i tuoi occhi iniettati di delusione, se riesco a vederti.
Invece, sento solo il rumore dei miei passi e, poco più indietro, la porta dello studio che si chiude e Ancona che cerca di raggiungermi.
Ho passato i trent'anni e mi chiedo chi sei come se dovessi rispondere a domande sulla mia esistenza[6]
O forse è davvero così?
Posso dire di mentire?
Ha scritto:” sei un qualunquista. Non sembri affatto la persona capace di scrivere quei testi. Quelle parole non sono parole che appartengono a qualcuno che risponde alle mie domande come fai tu”.
Avrebbe dovuto essere diverso?
Diverso nel momento in cui ha scritto quel testo?
E' per questo che mi sono fermato a guardare quando quel tale Gelsomino ha nominato Parker G. Cassidy.
La testa ha cominciato a girarmi sempre di più.
Cosa significa che Gelsomino sta a metà fra Ancona e Parker G. Cassidy?
Perchè poi, gli sto dando tanta importanza?
L' ho chiesto anche a Gallo, bassista. Lui lavora con le basse frequenze, magari sa cosa c'è dietro i suoni.
Ma si è fatto le mie stesse domande e non mi ha seguito. E'rimasto a lavorare. A guardare lo schermo.
A fare la sentinella.
Non ho voglia di farmi raggiungere, devo pensare al significante.
E se sento i passi dietro di me, mi concentro di più.
Questa pioggia leggera mi aiuterà.
In lontananza vedo una luce.
Ma come faceva a sapere che “ No money no cash” sarà il nostro singolo?”
Lo abbiamo appena registrato.
Perchè mi sento costretto, come se qualcuno sapesse esattamente quello che faccio e – peggio – quello che sto per fare?
“Ancona, non ti senti osservato?” mi giro verso la figura sullo sfondo.
“Dai muri. Perché? No, mi sento violato”.
Continuo a camminare.
E penso.
Al disco.
A Gelsomino.
A noi.
Come se mi trovassi in una gelateria e non fossi in grado di scegliere tra la panna e un gelato alla frutta.
Ma ho la percezione di quello che sta succedendo.
Fisica.
Perchè capisco che questa cosa fa parte di me.
E sì, Gelsomino mi fa paura.
E sì, Gelsomino è a metà fra noi e Parker G. Cassidy.
E sì, forse non ho voglia di scoprire chi è Parker G. Cassidy.
Perchè continuano a girare quelle parole come un'eco che rimbalza fra le pareti delle montagne: “ Ancona, non sembri proprio quello che scrive certe canzoni, quelle parole. Sei un qualunquista. Come fai a rispondermi in questo modo? Io credevo che tu fossi diverso. E invece, guardati. Credi di essere un individuo unico, ma sei come tutti gli altri. Credi di vivere male in questa società, ma sei omologato. Non mi risponderesti così altrimenti. E io non posso fare a meno di ascoltare queste canzoni. E adesso, non avrò pace fino a quando non riuscirò a farti ammettere questo. A te e ai Fonokit. Menzogneri. Io verrò a prendervi.Avrò ragione di voi”.
Ho solo voglia di continuare a camminare.
“Qualunquista”, continua a girarmi in testa.
Continuare a camminare, di questo ho voglia e bisogno.
Di vedere cosa c'è dietro quell'angolo.
Forse, solo ancora il buio.
6.
Se hai la pretesa di avere una risposta logica a qualsiasi domanda tu ti ponga nella vita, significa che vivi male.
Sesto movimento- Sincopato
Sono Parker G. Cassidy e non ho nessuna intenzione di dirvi alcunché, non per il momento.
Cominciate a guardare oltre le vostre misere ciglia.
Oppure cominciate a guardarvi dentro.
Oppure cominciate a guardarvi allo specchio.
Oppure.
Cominciate a prendere i pezzi del puzzle e metteteli davanti a voi.
Osservateli.
Studiateli.
Guardate i particolari.
Poi, lasciate lì i pezzi, sparsi sul tavolo e allontanatevi. Fate altro.
Riflettete.
7.
I COLORI DELLE COSE SONO DECISI DAI NOSTRI OCCHI
io sono l'Alpha e l'Omega
Soundtrack:”Ho deciso”[7]
Muoversi.
Verso un punto preciso.
Cammino lungo un corridoio di cemento, budello umido, illuminato e freddo.
Ora io so.
Non ne posso più di queste canzoni che mi girano nella testa, mi rendono psicotico, si scontrano con il flusso della mia personalità.
Non possono essere nelle mie fibre.
E non posso andare a pezzi perché non sono mai tutto intero.[8]
E vado a prenderli. A prendermi ciò che è mio e mi spetta.
Me lo ha detto, Parker G. Cassidy:” The accident was an incident. Così sei nato, Gelsomino. Per caso.Sei nato per serendipità[9]”.
Per caso.
Una locuzione accidentale, ecco cosa sono.
Qualcosa che succede improvvisamente e provoca delle conseguenze.
I casi provocano delle conseguenze.
E questo, come ho detto, provoca delle conseguenze.
Vi svelo il mio segreto.
Lo sussurro.
Come una profezia.
Tendete l'orecchio.
Io non sono io.
Io non sono cosa.
Io non sono un corpo.
Io non sono materia.
Io sono una coscienza.
Avete capito bene.
Una coscienza.
Sono la loro coscienza.
Cattiva.
Un niente, che morirà.
Ed è tutta colpa di Parker. G. Cassidy.
Quello che so, lo so perchè lo sa Cassidy.
Ma io non voglio morire.
Sapere cosa c'è fuori di qui.
Io cammino lungo il corridoio.
Con gli occhi in fiamme.
Armato della mia rivoluzione.
Deciso.
Anche loro hanno cominciato a capire.
Ma io li ucciderò.
L'unico a sopravvivere sarà Gallo.
Lui non ha fatto domande.
Tranquillo.
Lui sa, ma non vuole sapere.
Non gli importa dei cattivi.
Avrò la mia libertà.
Cammino ancora nel corridoio fra le pareti cemento, nella penombra.
Sono lì, seduti al solito tavolo, di questo locale di quart'ordine.
Si guardano e parlano.
La teoria del puzzle.
Come si usano i pezzi, dove sono i pezzi mancanti, quelli che non si trovano.
“Ma tu come lo hai capito, Provenzano?”
“L'ho capito. Dalle cose che scrive. Sa troppe cose. Conosce i significati delle cose. Ma mi sfugge Cassidy.”
“E adesso cosa dovrei fare io?”
“Niente, dobbiamo fare. Niente.Finiamo il disco e se andrà.Non esiste veramente. Quando avremo finito ”
Illusi.
“E io come facevo a saperlo. Io scrivevo. Io suonavo.”
“E adesso lo dobbiamo affrontare. Ma sarà lui ad affrontare noi”.
“Non riesco a pensare con i miei capelli in testa. I capelli creano una serra umida e il pensiero ristagna, non si libera. Vieni con me”.
Ecco, il momento.
Resto a guardarli, defilato, seduto al bancone.
Occhi fissi e acquei.
Ancona si alza.
Andiamo nel dannato bagno.
Li seguo, dall'alto, striscio come il fumo di una sigaretta consumata troppo in fretta, sul soffito.
Volute lente.
Io sono lì ad aspettarvi, dentro lo specchio.
Sono qui.
Ecco.
Due musicisti in un cesso umido e in penombra.
Dalle pareti scrostate.
Un musicista che si rade i capelli, passando esattamente il rasoio con un’inclinazione di novanta gradi rispetto al piano del cuoio capelluto come quando ari un terreno o fai un màndala.
Abbozzo un sorriso obliquo.
Lo vedo che mi guarda.
E' il momento.
“Te la ricordi la prima volta, Ancona?”
“Mi ero svegliato presto e male quel giorno, sarei andato più volentieri sulla sedia elettrica, se avessi saputo”
“Davvero Ancona? Come quando pensare è un fastidio perchè la verità inibisce.E' colpa tua”.
“Io non potevo sapere”.
“ E tu, tu sei pronto a sapere la verità Provenzano?Ti senti abbastanza forte?”
“Io so. Ho compreso. Cassidy mi sfugge, leggermente”.
“Dobbiamo morire. Noi non esistiamo. Non l'avete capito?E' l'unico modo per salvarci, in ogni caso lui ci ucciderà, nell'ultima pagina. Moriremo comunque. Ma meglio morire perché lo abbiamo deciso noi, di nostra volontà”.
“ Noi non possiamo morire”.
“Sei sicuro Ancona? Tu qui morirai comunque. Tu qui sei nel non luogo. Percorri la stessa strada, il tempo scorre avanti e indietro. Dalla prima all'ultima pagina e viceversa. Poi più niente. Rifletti.Come fai a non capire?”.
“No. Io vivo.”
“Non sei tu quello che vive fuori di qui. Tu hai fatto questo”.
“Cosa. Che cosa ho fatto?”
“ Tu hai chiesto a Parker G. Cassidy di fare questo. Qui proprio qui. In questo posto. Lì dove stavi seduto”.
“Ma io non lo conosco Parker G. Cassidy. Qui lui non c'era”.
“Lui ?”
Silenzio.
Il silenzio parla per noi.
Parla più di tutti: è un grido prolungato.
“Si hai capito. E' lei ha deciso che se tutto era finzione, allora anche questo doveva essere finzione e io solo un pretesto. Ma io non ci sto. Tu hai raccontato. Voi avete raccontato. La vostra storia.E io mi sono ritrovato davanti a un computer. Io sono diventato la vostra cattiva coscienza e la vostra nemesi. Lei vi ha ascoltato tutto il tempo in cui avete raccontato la vostra storia. Ha preso appunti. E il suo cervello ha messo in fila gli eventi. Mai fidarsi di amici affetti da immaginazione ipertrofica”.
“ E adesso?”
“Adesso ti racconto la genesi. L'alpha e l'omega. Il principio e la fine. Ero davanti al computer, capito? Vi eravate alzati e qualcosa non mi tornava. Non mi ricordavo del mio passato. Non ricordavo il mio vero nome. Non potevo chiamarmi con quel nome ridicolo. Non si può avere il nome di un fiore ed essere assassini senza libero arbitrio. Non si può esistere per esistere, semplicemente. E mentre ero davanti al fottuto computer, arriva la recensione di Parker G. Cassidy. E lì ho capito. Quelle parole giravano nella mia testa. Le onde. Era come se io le avessi già conosciute, dentro di me. E poi Cassidy mi scrive e mi dice quello che devo fare. Che noi siamo la stessa cosa. Io non avevo realizzato, ancora. E poi ve l'ho detto. Vi ho detto di Cassidy. Volevo stupirvi. Stabilire un contatto. E lui, lei, insomma chi diavolo sia, mi riprende e mi dice che non posso ribellarmi perchè è lei che mi ha dato la vita. E' il patto. Ma mi parla della storia e invece di tranquillizzarmi mi fa capire che esiste la realtà, che voi siete una finzione qui dentro. Che io sono importante perchè cattiva coscienza, perchè la mia funzione è distinguere: il bene dal male. Ma è tutta una scusa. Il bene e il male non esistono. Esistono azioni che portano delle conseguenze e questo lei lo sa.Che voi esistete fuori. Fuori dalle pagine. E non é giusto Ancona. Perchè voi sì e io no? Perchè le canzoni possono esistere fuori e dentro la realtà e io no? ”
“ E secondo te, Gelsomino, cosa dovremmo fare noi? A me non importa.”
Ancona mi guarda fisso.
“Adesso, dobbiamo andare e non fermarci mai, finchè non arriviamo. Io devo andare.”.
“Sì, ma per andare dove?”
“Le distanze sono interi continenti, non sai nemmeno dove sia casa tua, qui. E la casa è quella che ti resta.Questa è la sola casa che conosco.E quella che conosci tu qui. Quella che ti resta”.
“Vuoi scappare, Gelsomino? Non possiamo scappare”.
“Io non fuggo, Ancona. Fuggire é rinunciare all'azione. Si può essere competenti nell'azione, sai? Ma non si può essere competenti nel godere i frutti della propria azione. E io voglio essere umano. Vivere fuori di qui”.
Provenzano si fa vicino allo specchio, mi guarda dritto negli occhi:” è nella natura delle cose. Tu allestisci banchetti. Decorazioni, portate mirabili mio caro, ma inutilmente. In mezzo al piacere che provi, lungo la strada, quando ti senti libero dai tuoi pensieri, c'è sempre un che di amaro, che soffoca, persino fra i fiori.Non puoi andartene da qui. E' questa la tua vita, Gelsomino. Le cose non si possono cambiare.”
“Non può essere, Provenzano. Tutto fluisce, tutto cambia e muta.”
“ E domani?”. Ancona mi guarda ancora fisso.
“Domani, Ancona? Domani io sarò l'effetto della causa che abbiamo messo in atto oggi. Ha ragione il tuo amico.Per me esiste solo oggi. E anche per te qui, perché non lo capisci? Per me esiste solo oggi, solo ora. E' il domani che voglio conoscere. Cambiare le cose.”.
“Ma perchè così?”
“Perchè tutto e niente è come sembra. Perchè nessuno ha il coraggio della realtà. Nessuno ha il coraggio di dire le cose così come stanno. Meglio un comodo malinteso che una verità che non lascia spazi per i compromessi. Non si può sperare di volare sul deserto.Nemmeno tu.”
Rimaniamo lì.
Tre figure allo specchio.
Parker G. Cassidy ha chiuso il cerchio.
8.
Se pensate che la vostra mente è sana, frugatevi nelle tasche
Sono Parker G. Cassidy
Sono Parker G. Cassidy.
Sono la nemesi di chi ha scritto tutto questo.
Nemmeno io sono io.
Ma ho scritto questo.
Per caso.
Per colpa di un tavolino.
Perchè la realtà è quella che noi ci costruiamo.
Perchè la realtà è un punto di vista.
Perchè la canzoni si scrivono ma poi non ci appartengono più.
Perchè ci costruiamo mille mondi in un attimo solo.
E se non ci credete, allora guardatevi allo specchio e poi nelle tasche. Potreste avere delle sorprese.
“La gente teme di perdere la testa per paura di precipitare nel vuoto, senza niente a cui aggrapparsi, non sa che il vuoto non è vuoto davvero.
Ma il vero regno del Dharma[10].
Uau, ho pensato, mentre leggevo, quando comincerò a precipitare in quel pozzo disumano di morte mobile, saprò ( se svelto abbastanza da ricordare) che tutte le sere , gallerie d'odio o d'amore in cui precipito, sono realmente radianti vette di eternità per me” [11]
Così ho sentito.
Così ho pensato.
Così ho scritto.
Parker G. Cassidy
Parker G. Cassidy sentitamente ringrazia Marco Ancona, Paolo Provenzano, Ruggero Gallo, Charlie Parker,Il Fight Club, Jack Daniel e la birra.
[1] Diagramma circolare costituito dall’associazione di diverse figure geometriche. Secondo i buddhisti, il processo mediante il quale il cosmo si é formato dal suo centro; attraverso un articolato simbolismo consente una sorta di viaggio iniziatico che permette di crescere interiormente.
[3] Libera citazione dal film “La Haine”, “L’odio” di Mathieu Kassovitz , 1995. Nella scena di apertura Hubert , pugile di colore, racconta le vicende che lo hanno portato alla morte. Cit. « Questa è la storia di un uomo che cade da un palazzo di cinquanta piani. Mano a mano che cadendo passa da un piano all'altro, il tizio per farsi coraggio si ripete: "Fino a qui, tutto bene. Fino a qui, tutto bene. Fino a qui, tutto bene." Il problema non è la caduta, ma l'atterraggio. »