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RACCONTO SEGNALATO DALLA GIURIA NELLA II EDIZIONE DEL CONCORSO LETTERARIO UNIBOOK - PROGETTO BABELE
Introduzione
Si crede che nella vita di ogni persona ci sia un solo grande amore e che possa verificarsi che, casualmente, alcuni dei nostri cinque sensi si risveglino dal torpore del passato e ci riconducano indietro nel tempo, facendoci rivivere sensazioni particolari. Di sicuro non ne sono convinto anche se un fatto, accadutomi personalmente, ha risvegliato in me un fantasma, quello dell’amore e rimango ancora oggi nel dubbio. Ma se pensiamo che la vita quotidiana racchiude una molteplicità di sensazioni e di emozioni, perché non dare spazio anche al dubbio per indurci a saper convivere con esso? Preambolo E’ avvenuto tutto così in fretta e non mi sono accorto che gli eventi mi stavano trascinando verso una situazione paradossale! Mi reputo una persona razionale, analitica e seguace di teorie pragmatiche, ma sono caduto nella trappola del “non senso” e non so come uscirne! Racconterò la mia storia un po’ particolare: sono un uomo di circa quaranta anni, laureato in ingegneria civile e vivo, da quando ho visto la luce risplendere intorno al mio essere, a Roma dove esercito anche la mia professione. Insomma ho studiato e sto lavorando sempre nella capitale italiana. Dimenticavo: dove mi sono anche sposato e poi separato. Oggi vivo da solo. I Sono circa le nove di sera e, stufo dei soliti programmi televisivi, mi siedo sullo sgabello, davanti al mio tavolo da studio, per controllare la posta su internet. Sono stanco, stanco del solito lavoro, della monotonia con cui trascino le mie giornate! Lavoro, qualche spesa per la sopravvivenza e poi amici, tanti amici che mi aiutano a guardare avanti. Eppure sono ancora giovane; niente male se le donne mi guardano con aria sorniona mentre cammino per la via o se, in qualche negozio, chiedo informazioni su prodotti mangerecci; mi squadrano con aria da miope, per farsi osservare meglio. Credo di conoscere molto bene le donne! Da quando mi sono separato da Maria, la mia vita è cambiata: lei mi coccolava, mi viziava e mi sentivo appagato. Oggi l’appartamento è vuoto e per fortuna non è molto grande! Ha preferito traslocare lei: è tornata a casa dei suoi genitori per farsi anche lei aiutare a superare la crisi del nostro fallimento matrimoniale! Già il nostro matrimonio: che giorno memorabile! Non ho capito nulla dalla mattina presto, quando sono arrivati il mio parrucchiere ed il sarto che mi aveva cucito su misura il vestito, un bel completo trend di lamé lucido rigato, che ora è chiuso nel guardaroba, in fondo a tutti i miei completi, quasi nascosto! Fino a tarda serata con gli amici sempre tra i piedi! Eppure è stata una bella giornata, tante persone che ti guardavano un po’ inebetite quasi mi chiedessero come mi sembrava la vita matrimoniale quando erano passate appena due ore dalla cerimonia, o, sempre con aria un po’ meno interrogativa la loro espressione intendeva chiaramente dire: ”Ma chi te l’ha fatto fare! Non sai ancora cosa ti aspetta”! Ricordo ancora la mia mamma che, da un angolo del salone del ricevimento, mi osservava con un dissimulato sorriso per non piangere. Aveva perso il suo unico figlio e per di più maschio! Lei, Maria, era radiosa, bella come non mai! Neppure il minimo sospetto che, solo dopo due anni di matrimonio, sarei arrivato a dire: “Basta! Non ce la faccio più; sei ancora piccola per assumerti certe responsabilità”. Tutto era iniziato quasi per gioco: ad una festa di compleanno, in un pub, me l’avevano presentata. ”Niente male”! avevo pensato e, mentre la osservavo, mi rendevo conto che era molto più giovane di me. Non molto alta, mora di capelli, un po’ grassottella ma con un sorriso vincente. Sì era proprio il suo sorriso aperto, gioviale ed accattivante che faceva presa sull’altro sesso. Quel giorno compiva il suo diciottesimo anno e frequentava l’ultimo anno del liceo. Io, invece, già da un paio d’anni dirigevo un’impresa edile, lascito di mio padre, ben avviata e con ottime risorse finanziarie. Avevo ben quattordici anni più di lei! Come la pensano in molti, però, gli anni non sono importanti! Ma come non sono importanti? Sono importanti sì, eccome! Me ne sono reso conto dopo poco che c’eravamo sposati: lei ancora una bambina, non posso dire viziata, ma con tutte le caratteristiche di chi pensa solo al divertimento; io, invece, che speravo in un futuro migliore, fatto di coccole, ma anche di bimbi, di responsabilità, di gioie più profonde. Mi aveva detto che intendeva prima laurearsi e così ho atteso, sperando che tutto sarebbe andato a buon fine. Il giorno stesso in cui discusse positivamente la sua tesi, mi disse che era pronta al grande passo. In breve i preparativi ed il matrimonio, solo civile, per rispetto ai suoi principi. E i miei? Anch’io avevo un credo da rispettare, ma ho ceduto e questo è stato il mio primo errore, al quale ne sono seguiti molti altri. Cosa avrei dovuto fare? Ero innamorato di Maria. Stavo unendomi ad una ragazza molto giovane, intelligente, carina e con uno splendido sorriso, ammaliante, dal quale non riuscivo a sottrarmi. Iniziò a lavorare subito dopo sposati; aveva trovato, tramite alcune conoscenze, un posto da segretaria, presso un ufficio legale. Si trovava bene e mi diceva che era un ambiente pulito dove, con altre tre giovani donne, si alternava nelle pratiche d’ufficio. La vedevo contenta e serena, come dire che tutto stava prendendo una piega più che buona, per due sposini alle prime armi con la vita in comune. Le incomprensioni, però, sono iniziate quasi subito: tornavo a casa, dopo una giornata frenetica e carica di responsabilità e lei, che lavorava part-time solo la mattina, mi aspettava per decidere cosa preparare insieme per la cena. Io, che di fornelli non conoscevo nulla perché abituato con mia madre che non mi permetteva di immischiarmi in “cose da donna”, le rispondevo che insieme saremmo riusciti certamente a preparare qualcosa di buono. Quasi sempre andava a finire che alle dieci di sera era tutto da buttare ed io, arrabbiato ma anche affamato, mi decidevo ad andare a comprare un po’ di pizza alla rosticceria sotto casa. Allora ho imparato a cucinare: la sera mi organizzavo, con quei piccoli manuali che ti propinano insieme ad alcune riviste, e sfornavo qualche piatto un po’ sfizioso. Maria, di contro, lamentava che stava ingrassando: ”Troppo olio fritto, troppi intingoli!” Così optai per piatti freddi e pronti. Anche così non andava bene, non riuscivo proprio a renderla felice. L’appartamento, poi, veniva pulito a fondo una volta la settimana, ma chi era la persona che doveva fare ciò? Io personalmente, perché ero più forte e lei si stancava facilmente. Anche qui ho abbozzato. La mattina alla ricerca di una camicia da indossare, spesso mi rendevo conto che giacevano tutte ancora nel portabiancheria del bagno da una settimana. “Non importa, si abituerà”! pensavo e speravo. Ha cominciato ad uscire qualche volta a cena con le sue colleghe, mentre io rimanevo in casa perché stanco; ma mi annoiavo a morte ed allora andavo a dormire “con le galline”, ovvero alle nove di sera ero già a letto e sentivo che qualcosa stava accadendo nei miei pensieri. Non mi rassegnavo a credere che la nostra vita di coppia fosse realmente questa. Mi confidai con un amico, sposato da una decina d’anni e lui, dopo aver riflettuto un po’, mi suggerì di temporeggiare, assicurandomi che le cose si sarebbero sistemate da sole. Lei avrebbe compreso che essere moglie significava anche un po’ di sacrificio. Dopo due anni di chiarificazioni, di consigli, di pianti da parte sua, di dichiarazioni d’amore, di litigate e riappacificazioni, di urla e di oggetti volati in aria, il sentimento tra noi si era trasformato prima in odio e poi in totale indifferenza. Di comune accordo ci siamo lasciati. II Un giorno l’amico dispensatore di “buoni” consigli viene a trovarmi e, tra una chiacchiera e l’altra, mi confida che tramite internet, ha ritrovato una marea di amici d’infanzia. Accendo il computer e mi mostra il sito. Ho deciso di iscrivermi e quasi per gioco, ma anche con curiosità, comincio a navigare in cerca dei vecchi compagni di scuola. Ritrovo un po’ di allegria e conforto la sera sapendo che qualcuno mi ha cercato dopo tanti anni di silenzio. Sto scrivendo a Giulio, mio compagno delle scuole medie che attualmente vive in Australia, quando mi accorgo del gorgoglio della macchinetta del caffè. Spengo il fuoco e mi verso una tazzina della bevanda, brutta abitudine a quest’ora, ma a me non fa nulla la caffeina sia perché il mio fisico si è assuefatto a questa, sia perché trascino in me una giornata faticosa e perciò la notte dormo tranquillo. Mi rimetto a scrivere, sorseggiando ogni tanto dalla tazzina e mentre sono tutto intento a raccontare a Giulio le mie ultime, mi sovviene alla mente la mia prima fidanzatina del liceo. Un viso ovale, incorniciato da una cascata di riccioli biondi e due grandi occhi azzurri! Ma perché proprio adesso questo ricordo? Non me lo so spiegare. Saluto Giulio sbrigativamente e mi metto alla ricerca di Sara. Liceo … anno scolastico … e invio … Attendo freneticamente e mi accorgo che le mie mani sono sudate mentre il mio sguardo è fisso sul video. Pochi secondi ma la ricerca non approda a nulla. Nessuna persona con quel nome e cognome, che ha frequentato quel liceo in quell’anno è sul sito. Penso tra me: “Solo i giovani si mettono a fare tali ricerche perché più vicine nel tempo! Non un quarantenne come me! Eppure qualche amico l’ho ritrovato e sono trascorsi oltre vent’anni”! Continuo per un po’ a smanettare invano ed allora scrivo che la sto cercando, sperando in una sua risposta. Una mattina mi sveglio e mi viene in mente Sara; rielaboro e capisco anche il perché mi sia venuta in mente: l’odore del caffè. Con lei, quando si “faceva sega” a scuola, si andava all’EUR, al “nostro” bar. Ci mettevamo a sedere quasi sempre fuori, se era bel tempo, e ci prendevamo il nostro caffè che ci faceva sentire grandi; la guardavo mentre assaporavo ogni piccolo sorso di quel liquido che mi rendeva attento ad ogni minimo movimento del suo viso. Dovevo conquistarla e solo fissandola profondamente avrei compreso se anche lei era attratta da me. Quanti sguardi vellutati, quanti sorrisi rubati, quanta gioia nascosta! Ero felice ed avrei veramente toccato con un dito il cielo ad un suo sì. Lei però era già fidanzata con un certo Roberto, non bello, magro e spilungone, soprannominato a scuola, “chiodo”. In effetti quel soprannome gli calzava a pennello. Come avrei potuto io conquistarla? Già tanto che accettava di venire con me qualche volta, solo perché io per lei ero “innocuo”! Non possedevo un tale coraggio da dimostrarle il mio grande amore. Per me un vero colpo di fulmine, per lei, che cominciava a conoscere i miei reconditi pensieri, tanta stima e forse un po’ d’affetto. Poi accadde una cosa fuori dal normale: una mattina di “non scuola”, appuntamento al solito bar; lei mi guarda in modo insolito e, prima di lasciarmi, dopo quasi due ore di ripasso di filosofia, perché a lei piaceva come spiegavo la materia, mi sfiora le labbra con un bacio! Mentre corre via, rimango lì, inebetito, frastornato, con una bomba micidiale in petto e non sapendo in che modo calmarmi, mi ordino l’ennesimo caffè! Con quanto gusto l’ho assaporato, con quanta gioia, con quanta carica emotiva ne ho deglutito ogni piccolo sorso, mentre la mia mente volava in cieli incontaminati: ero proprio cotto di lei. Sarei rimasto lì a sorseggiare la tazzina vuota per chissà quanto altro tempo se un barman non fosse venuto a dirmi gentilmente se avevo terminato perché erano a corto di posti! Chissà quanto tempo ero rimasto lì, perché, tornato a casa, ho notato mia madre in pensiero. Forse era tardi e me ne sono accorto la sera quando, nel mentre andavo a dare la buonanotte ai miei genitori nella loro camera da letto, ho sentito da dietro la loro porta che mia madre riferiva a mio padre che ero rientrato alle quattro del pomeriggio! Ma cosa fa l’amore! Perdi il senso del tempo, sembra che tutto si trasformi in gioia e felicità; canti perché sei felice e non ti importa se sei stonato, non senti le critiche che gli altri possono muovere su di te, il tuo cuore batte più velocemente, saltelli nella via come un pazzo, sorridi alle persone che incontri, tutto è bello, tutto ti sorride, ma forse gli altri non comprendono quello che provi. Avevo allora appena diciannove anni! III Accendo il computer come al solito, sono già le dieci di sera ed alla televisione non c’è nulla che mi attiri in particolar modo. Vado sulla posta e … ”Ma sei proprio tu! Non è possibile dopo tanto tempo! Anche tu su questo sito!? A presto baci Sara”. Ho riletto non so quante volte quelle due righe scritte in tutta fretta, ma era lei che mi aveva risposto! Ancora non ci credevo! La vita è proprio strana, devo ammetterlo. Trascorri una parte della tua esistenza e poi, all’improvviso, ti ritrovi con gli amici di una volta e magari, negli stessi luoghi di sempre. Un magone cominciava a salirmi dalla bocca dello stomaco e mi sentivo quasi mancare. Ma dovevo rispondere! “Cara Sara …” no, non potevo cominciare così, sarebbe stato come svelare che forse ancora qualcosa ardeva nel mio cuore, anche perché ora più vulnerabile che mai. Dopo varie elucubrazioni cominciai: ”Sì, sono io; come stai? Va tutto bene”? e mentre tentavo di raccapezzarci qualcosa per non sembrare invadente ai suoi occhi, ecco che un “beep” interrompe le mie riflessioni. Era sulla chat e mi chiedeva se ero in linea. Immediatamente ho risposto di sì e così abbiamo cominciato a chattare. Ho esternato i miei dubbi, le mie delusioni attuali. Ma lei era sposata! Che male c’era riprendere una vecchia amicizia dopo tanto tempo? In fondo ora eravamo maturi per affrontare la ricerca del tempo perduto! Il tempo che ci fa invecchiare, ma forse anche l’alba di una nuova vita! Quali reconditi pensieri si stavano affollando nella mia mente mentre qualche angolo della mia coscienza mi ricordava che dovevo terminare un lavoro portato a casa, urgente per la mattina seguente! Mi misi all’opera dopo aver riferito a Sara che ci saremmo risentiti la sera dopo. Terminai il lavoro alle due di notte, ma non dormii; pensai a lei, così come riuscivo a ricordarla: bella, con i suoi capelli biondi ed il suo sguardo un po’ malizioso, per me bellissimo. Quante carezze, quanti baci, dopo il suo pri-mo donatomi in tutta fretta. Ogni volta la stessa emozione, ma sempre più intensa! Ricordo un giorno che la stringevo a me intensamente al punto da ritrovarmi “bagnato”, quanta vergogna provai in quella occasione; non sapevo come tornare a casa e cosa dire a mia madre. Fu Sara stessa a risolvere l’inconveniente: mi condusse a casa di un amico che mi prestò un paio di jeans. Nessuno della mia famiglia, fortunatamente si accorse di nulla. Ero timido, avevo vergogna ma non riuscivo a trattenere quella fiamma che divampava nel cuore ogni volta che lei era vicina a me. Forse era solo passione! Anche oggi, ripensando i momenti trascorsi con lei sui prati dell’Eur a guardare le fronde degli alberi, gli uccellini che si posavano vicino a noi e la natura che ci circondava, sento che tutto era meraviglioso. “Ciao! Allora che dici: ci vediamo?” Non so cosa rispondere, ma l’invito di Sara mi alletta non poco. “Se per te va bene – le rispondo – domenica mattina al nostro solito posto”? Lei di rimando, senza farsi attendere: ”Si, incontriamoci al solito caffè; a presto”! Rimango un po’ perplesso; ma avrà capito qual è il solito posto? Forse debbo scriverlo per ricordarglielo!? Ma no, sicuramente lo rammenta, altrimenti me lo avrebbe chiesto! Riesco a dormire la notte ma la mattina seguente mille dubbi mi assalgono: sarà cambiata? E se non la riconoscerò? Io non sono cambiato molto, mi sono un po’ irrobustito ma sono sempre un bell’uomo! Lei come sarà? Si sarà ingrassata? Avrà avuto figli? Sarà innamorata ancora del marito? Stranamente non mi ha detto nulla di sé … Domenica assolata anche se è novembre; temperatura ideale per andare in bicicletta, infatti mentre mi avvicino con l’auto alla zona dell’Eur, molte persone in bici con rispettivi figli pedalano lungo il viale alberato. Non c’è molto traffico, sono appena le dieci e solo adesso mi accorgo che non ci siamo detti l’ora dell’appuntamento. Mi affretto anche perché dall’ultima chattata, non si è più fatta sentire sul sito. Sicuramente avrà avuto qualche impegno urgente. Mi sono vestito elegantemente per lei; vorrei farle una buona impressione, ma poi cosa importa l’abito! Parcheggio sul lato opposto del bar e mi guardo allo specchietto, sistemo una ciocca di capelli al lato della fronte: sì, sono a posto. Guardo verso i tavolini allineati fuori il locale e noto una signora dal bell’aspetto seduta e intenta a leggere una rivista. Sì, è proprio lei, ancora bionda e ricciolina, anche se ora ha i capelli raccolti dietro la nuca. Si volge verso l’auto e mi sorride. Allora non sono cambiato! Mi ha riconosciuto! Sono felice. Mi muovo velocemente perché non vorrei farla attendere oltre ed infine un abbraccio lungo e indimenticabile. E’ ancora bella anche se qualche ruga si comincia ad intravedere sul suo pallido volto. E’ dimagrita, ha le guance più delineate, più nette che la rendono ancor più fine e simile ad un’attrice. Gli occhi sembrano più grandi e più azzurri di come li ricordavo, sono vellutati e profondi, mi penetrano come per conoscere i miei più reconditi pensieri. Ci sediamo e mentre sorseggiamo il nostro caffè, comincio a parlarle a raffica, a raccontarle di tutto quel tempo trascorso e di ciò che ero riuscito a fare di bene e di meno bene in quell’arco di tempo, come la mia separazione. Lei mi ascolta, ogni tanto mi sorride, la sento intenta a captare qualsiasi mia sensazione ed ogni tanto mi prende una mano tra le sue che sento fredde, sicuramente perché anche lei è emozionata! Mi sta infondendo il suo coraggio. L’aroma del caffè mi fa tornare indietro nel tempo, quando i nostri incontri nascondevano un amore pulito e profondo. Trascorre così un’ora dolcissima e poi lei, all’improvviso, mi interrompe dicendomi che purtroppo deve andare via. Ci lasciamo con un altro abbraccio, promettendoci di rivederci al nostro solito posto. La seguo con lo sguardo mentre si avvia verso la fermata dell’auto e sale sul mezzo che la allontana dalla mia visuale, mentre dal fondo del bus mi saluta con la mano. Sono ancora molto emozionato; non pensavo sarebbe stato così facile parlare con lei. Sono ancora euforico e mi sento stordito, frastornato; allora ordino un altro caffè e rivado con la mente al nostro colloquio. Quante cose le ho raccontato sorseggiando quella gustosa miscela che mi ha riportato indietro nel tempo! Quanti ricordi hanno all’improvviso affollato la mia mente! Ricordi gioiosi, risate intense e cariche di vita! Mi accorgo, prima di tornare in auto che Sara ha dimenticato la sua rivista; distrattamente la prendo dal tavolino e la getto sul sedile posteriore dell’auto pensando che al prossimo incontro gliela riconsegnerò. Torno a casa e seduto in poltrona, mentre la televisione ripropone le solite cose, rivado con la mente a lei. E’ ancora una bella donna, anche se dimagrita, ma è sempre lei, che sa ascoltarmi, comprendermi, farmi sorridere. Mentre riassaporo con la mente i dolci ricordi che mi legano a lei, mi rendo conto che i recenti dispiaceri dell’ultimo segmento della mia vita, oggi non hanno più importanza e mi lascio cullare da questa serenità improvvisa che mi avvolge, schermandomi da qualsiasi turbolenza caotica della mia attuale esistenza. Mi addormento improvvisamente ed un brusco risveglio mi allontana dal sogno che stavo facendo: noi sul prato che ridevamo giocando con una palla colorata. Il mio cellulare sta squillando: ”Ma che fine hai fatto”? Per la miseria! Mi ero dimenticato della prima comunione del figlio di un mio collega! Sul momento l’unica bugia che mi viene in mente è un improvviso malessere. Sono il suo padrino ed in chiesa stanno aspettando solo me. Velocemente mi sciacquo il volto e salgo in auto: è mezzogiorno e mezzo. Ho dormito per un’ora intera ed in pieno giorno. Cosa mi sta succedendo? IV Mi guardo allo specchio: sono in bagno ed un’altra giornata faticosa mi attende. Sto spazzolando i miei folti capelli lisci e neri e, contrariamente ai miei amici coetanei che mostrano una calvizie prorompente, ancora non ne ho persi, anche se qua e là cominciano ad intravedersi dei fili bianchi che, nell’insieme, rendono il mio aspetto piacevole. I miei occhi scuri, quasi neri, sono leggermente a mandorla e chi mi conosce mi ripete che sono ancora un uomo abbordabile. Osservandomi meglio sto scoprendo che intorno agli occhi sono apparse piccole rughe, forse di espressione, penso per consolarmi. Inoltre sono un po’ incavati e questo è dipeso dal mio lavoro, sempre per rassicurarmi; le mie mascelle sono più marcate ultimamente, ma ciò mi rende più uomo. Il mio aspetto fisico, ancora atletico grazie alla palestra che frequento a giorni alterni, mi fa star bene con me stesso. Sono circa le sette e mi sto preparando per raggiungere il cantiere, quando uno squillo sul mio cellulare mi distoglie dalla routine mattutina. Cerco di leggere il numero ma risulta nascosto. Chi potrà essere a quest’ora di mattina? I miei lavoranti sanno che sto per arrivare! E se fosse lei? Forse mi sta cercando – penso – e non può connettersi ad internet per qualche guasto del suo computer? Poi mi viene in mente che in questi giorni già altre volte ho ricevuto degli squilli sul cellulare ma senza risposta e senza numero. Mi cullo in questa idea, mi sento importante ai suoi occhi, e rifletto sulle nostre esistenze separate da vent’anni di segreti che tornano d’un tratto vicine! Sembra quasi impossibile ma vero. Anche stasera sono stanco ma voglio vedere se lei è sulla chat. Sono trascorse quattro settimane dal nostro incontro e non si è fatta più viva. Sicuramente avrà avuto qualche problema. Mi metto in linea e dopo una mezz’ora, mentre sto chattando con un mio conoscente, ecco che appare … ”Cosa è successo, Sara?! Hai avuto qualche problema? Ti posso aiutare? Dimmi”! E lei: “Prima non ho potuto, ma possiamo rivederci”? Io che non chiedevo di meglio: “Se vuoi anche domenica prossima al solito posto. Va bene”? Secca e perentoria la sua risposta: “Sì OK, a domenica”. E’ cambiata: ho lasciato una giovanissima ragazza estroversa e ritrovo una donna, introversa, poco sorridente, chiusa in se stessa e oserei dire decisa nel suo comportamento. No, no era così! La ricordo sempre sorridente, espansiva ed altruista; se si litigava, era sempre lei la prima a chiedermi scusa, anche se l’errore era mio! Mediava in tutte le occasioni, mi rendeva felice, spensierato, protetto dal suo modo di essere. Pian piano si era accostata a me e poi mi aveva amato con tutta se stessa. Questo non riesco a togliermelo dalla testa. Quando mi sono allontanato per il lavoro, cinque anni in Australia, ci siamo scritti ma lentamente qualcosa si stava assopendo ed al mio rientro in Italia, ho saputo che si era sposata. Allora non mi ero accorto di quante cose ci legavano, solo ora però ne ho la certezza e mi sento profondamente rammaricato. Chissà quali problemi, oggi, la rendono così diversa! E’ normale credo, dopo quasi vent’anni. Ogni volta che penso a lei sento l’odore del buon caffè che prendevamo insieme, le corse sfrenate sul prato dell’Eur perché magari le avevo rubato il suo fermacapelli preferito e lei dietro a cercare di riprenderlo. La volevo sempre con i capelli sciolti, perché per me sembrava “un angelo, caduto dal cielo a miracol mostrare”; sì proprio la donna di Dante! Mi faceva venire i brividi al solo tocco della sua piccola mano, sentivo dentro di me una frenesia incontrollabile e quando all’università dovevo dare un esame, al solo pensiero che c’era lei, andavo tranquillo, quasi non mi rendevo conto di ciò che stavo per affrontare. Per me era tutta la mia vita e non potevo immaginare di vivere lontano da lei. Poi le esperienze di lavoro in un Paese per me sconosciuto, gli usi e costumi differenti dai nostri mi hanno allontanato, ho vissuto esperienze sentimentali che tuttavia sono rimaste tali e nulla di più. Quando sono tornato la prima cosa è stata di cercarla, ma inutilmente! E’ arrivata Maria ma le cose non hanno preso il verso giusto. V Non vedo l’ora che sia domenica per poterla rivedere, per poterle parlare di nuovo, anche se cerco di non illudermi: è una donna sposata e magari avrà anche dei figli. Ripensando a lei mi rendo conto che non mi ha raccontato nulla di se stessa, di quello che sta facendo, se lavora, se è felice … nulla! Non so niente di lei oggi. Trascorro questi ultimi giorni aspettando la domenica mattina e finalmente arriva. Vestito di tutto punto, questa volta sportivo, jeans, maglione azzurro e giaccone sportivo, arrivo in anticipo. Veramente non ci siamo prefissati neanche questa volta l’ora dell’appuntamento! Sono circa le nove e poche persone circolano per la via; entro nel bar e mi ordino un caffè. La temperatura è diminuita rispetto al precedente incontro: siamo ai primi di dicembre. Sorseggiando il caldo ed aromatico liquido, osservo fuori e vedo qualche passante che cammina in tutta fretta, poi prendo un giornale lasciato da qualche avventore e comincio a leggere distrattamente. Si sono fatte le dieci ma ancora non arriva, comincio ad innervosirmi. Le sarà successo qualcosa? No, perché mi avrebbe avvertito in tempo utile, ed allora? Forse tarderà un po’, ma bisogna anche saper attendere. Mi sento un giovinetto alle prime armi con le donne e un po’ mi vergogno. Arriva una ragazza che si siede al tavolino di fronte al mio, ogni tanto mi guarda e mi sorride: sta gustando un cornetto ripieno di crema e un po’ di questa le è rimasta sul bordo superiore delle labbra. Sorrido, lei se ne accorge e mi guarda un po’ innervosita. Le faccio segno con un dito sul labbro, comprende e porta subito il tovagliolo alla bocca, poi sorseggia il suo cappuccino. Torno alla mia lettura ed inconsapevolmente mi trovo sulla pagine di cronaca. C’è la foto di una giovane donna e mi sembra di ravvisare in lei qualche somiglianza con qualcuno che conosco, poi leggo il trafiletto: “Donna di trentacinque anni muore travolta da un autobus, tentando di salvare il figlio di appena sei anni. Il bambino stava uscendo dalla scuola quando l’autista del pullman, ha perso il controllo del mezzo ed ha travolto la donna ed il figlio. Morti entrambi sul colpo”. Mi sento preso da un’improvvisa angoscia, le mie mani cominciano a tremare mentre la mia vista si sta offuscando, cerco di leggere i nomi delle vittime “… il nome della donna è Sara … “. Svengo. Mi ritrovo in un ambiente caldo-umido, mi hanno disteso su un tavolo nel retrobottega del bar e mi stanno bagnando la fronte con un tovagliolo. Poi un signore dall’aspetto gentile mi invita a prendere un po’ di caffè perché, dice lui, mi si è abbassata improvvisamente la pressione. “Vede – continua – gliel’ho misurata quando ancora non si era ripreso del tutto e continuava a ripetere il nome Sara”. E’ il barman del locale. Sorseggio il caffè e sento tornare lentamente in me le forze. Mi rendo conto che vicino a me c’è anche quella ragazza che mangiava il cornetto e che mi sta sorridendo. Il signore mi riferisce che proprio la ragazza si è accorta del mio mancamento e si è precipitata a sorreggermi, evitandomi una brusca caduta. La ragazza si presenta prendendomi la mano, è carina e si chiama Silvia, poi, avvicinando il suo volto al mio, mi chiede: “Perché si è sentito male? Forse per quello che stava leggendo? Non si è accorto che il giornale è di qualche anno fa?” Trasalisco ed un brivido mi invade dalla testa ai piedi; cerco di mettermi seduto ma la stanza mi gira tutt’intorno, allora rimango così per qualche minuto e chiedo alla giovane se, per cortesia, mi può portare quel giornale. Pochi minuti e siamo intenti a controllare la data del quotidiano: è proprio di quattro anni addietro e lei, la donna travolta, è proprio Sara. Ora la riconosco anche dalla foto. Ma come è possibile! Allora ho parlato con un fantasma!? Sto forse impazzendo? Mi sento meglio; ringrazio i miei soccorritori per il loro aiuto e chiedo all’uomo se circa un mese prima mi aveva notato in compagnia di una signora al tavolino esterno che gli indico. Mi risponde che di me si ricorda bene ma che ero solo. Senza fare altre domande salgo in auto e torno a casa perché voglio vedere se è rimasto qualcosa sulla chat dei miei brevissimi colloqui con lei. Nulla, non c’è nulla che possa confermare il nostro incontro. Sono sconvolto e deluso, riprendo il giornale e mi metto a leggere tutti i particolari: “Madre buona e premurosa, lascia un altro bimbo di tre anni e suo marito”. Mi sento stanco, deluso, amareggiato! Averla ritrovata, allora, era stato solo un sogno?! Sì, sicuramente il caffè aveva risvegliato in me tutti quei sentimenti nascosti nel tempo ed all’improvviso si erano propagati come una violenta scossa di terremoto. La verità è che le volevo ancora bene e mi mancava, per questo l’avevo rievocata, immaginata, le avevo parlato con la mente della fantasia! Era stato solo un magnifico sogno ad occhi aperti. CONCLUSIONE Mi spiego solo ora il suo mutismo durante l’incontro al bar: non mi aveva detto nulla di sé, bensì ero stato solo io a parlare; infatti avevo notato, dopo poco che se ne era andata, che non aveva accennato minimamente alla sua vita. Il suo sguardo penetrante ma etereo, il suo volto pallido e dimagrito, la sua dolcezza, le sue mani fredde! Riprendo la mia solita vita, dopo una parentesi particolare della mia esistenza, senza dare più di tanto importanza a quello che mi è capitato e razionalizzo il tutto dicendo a me stesso che è stato solo un bel sogno che però ha ridestato in me la fiducia e la serenità. Ripeto a me stesso che ho avuto una visione e che forse averla rievocata mi ha insegnato qualcosa: che si vive anche di bei ricordi e che bisogna sempre guardare avanti. Ho ripreso a frequentare con maggiore costanza i miei genitori che avevano notato il mio cambiamento e che erano ben lieti di vedermi trasformato in un uomo più sereno. Non posso nascondere che qualche volta sono tornato in quel bar e che sorseggiando il caffè, mille ricordi di lei mi hanno riossigenato lo spirito ed il fisico. Dopo mi sentivo più sereno e più carico per affrontare le mille difficoltà della mia quotidianità. Decido di cambiare auto per averne una un po’ più capiente, per qualche viaggetto e qualche nuova avventura. Proprio in quell’occasione mi sono messo a togliere dall’auto tutti gli oggetti che avevo lasciato da tempo per noncuranza: spugne, panni, forbici, occhiali da sole, un cappello di paglia da mare, un berretto da baseball di chissà quale periodo della mia vita, un maglione che non aveva più un colore distinto … quando un giornale accartocciato, caduto dietro il sedile di guida ha attirato la mia attenzione: lo prendo, cercando di distendere le pagine e mi accorgo che è una rivista femminile di quattro anni prima. Con un sussulto, sobbalzo e la lascio cadere dalle mie mani: era la rivista di Sara!
©
Giovanna Nobile
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