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Storie della razza antica – Il rasoio di Occam
di Vittorio Baccelli
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"Entia non sunt multiplicanda praeter necessitatem" sive " pluralitas non est ponendo sine necessitate"
"Non si devono moltiplicare gli enti oltre la necessità" oppure " la pluralità va ipotizzata solo quando è necessaria".

È questo il rasoio di Occam così chiamato perché il primo a farne un uso sistematico fu il filosofo inglese Guglielmo di Occam vissuto tra il 1285 e il 1347.
Si tratta d'un principio metodologico che sta alla base del pensiero moderno: tra due teorie entrambe capaci di spiegare un gruppo di dati occorre scegliere quella più semplice e dotata di un minor numero di ipotesi, tagliando via col rasoio quella più lunga e involuta. Non tanto perché sia più vera dell'altra, quanto perché quella più breve e compatta permette di risparmiare tempo e fatica inutili.

Qualcosa non era proprio andato per il verso giusto, o lui stava impazzendo oppure s'erano verificati fatti impossibili. Tito in piena confusione si sdraiò sulla sua poltrona preferita di color verde pisello, accavallò le gambe, tirò vari respiri profondi e modulati finchè non capì che i muscoli irrigiditi cominciavano a rilassarsi. Continuò così con la respirazione finchè non sentì sciogliersi quel nodo allo stomaco che da ore lo infastidiva, solo allora prese un quotidiano dal tavolinetto lì vicino e cominciò a sfogliarne le pagine. Non riusciva però a concentrarsi sulle parole scritte e se si sforzava a leggere, subito dopo dimenticava il senso della frase che era appena scorsa sotto i suoi occhi. Si guardò attentamente attorno come se vedesse per la prima volta la sua familiare stanza. Il salotto era vuoto, tre tavolinetti in radica, un'altra poltrona identica a quella sulla quale lui sedeva, un divano con sopra il gatto tigrato di casa che stava dormendo acciambellato, un piccolo mobiletto con cinque cassetti uno sopra l'altro, un porta televisore con sopra la tivù, il videoregistratore e il decoder per il satellite, sulla sinistra a ridosso della parete un armadio ottocentesco stracolmo di videocassette, accanto una lampada a stelo e dietro di lui un mobile bar sempre meno usato. Per terra un tappeto rosa antico con disegni floreali, sopra un tavolinetto in cristallo, quadri alle pareti: alcune nature morte, due ritratti a olio dei bisnonni.
L'ispezione minuziosa della sala s'interruppe e i pensieri che senza tregua l'assillavano da ore eruppero nuovamente nella sua mente. Era certo d'averla vista morire, l'aveva uccisa con le sue mani, aveva poi osservato a lungo il corpo senza vita. Aveva tolto dall'appartamento di lei tutto quello che poteva esser compromettente per lui, aveva indossato un paio di guanti da cucina e aveva ripulito tutta la casa con la massima attenzione stando bene attento a non aver lasciato alcuna impronta digitale. Aveva poi messo in un sacco nero della spazzatura ciò che aveva raccolto e tutto quello che poteva contenere residui dai quali ricavare il suo DNA: i lenzuoli, le federe dei cuscini, alcuni capi d'abbigliamento intimo, un fazzoletto, ecc. Aveva chiuso la porta d'ingresso cancellando ogni impronta anche su di essa, infine era sceso. Era salito in macchina e facendo attenzione che nessuno lo vedesse aveva portato con se il sacco della spazzatura, s'era poi fermato a un cassonetto distante dalla casa e aveva gettato il sacco.
Era passata una settimana da quella sera e sulla stampa ancora non aveva visto niente. Lui aveva ucciso la sua amante che era tra l'altro la migliore amica di sua moglie. Era stata lei a coinvolgerlo in giochi erotici sempre più spinti al limite del sadomaso, così come era stata lei ad adescarlo senza lasciargli alcun scampo. Ma a lui la cosa era piaciuta, almeno all'inizio, ma lei si era fatta sempre più insistente e aveva escogitato di tutto perché sua moglie s'accorgesse dell'inghippo, telefonandogli continuamente, mandandogli regali a casa, addirittura fissandogli appuntamenti tramite sua moglie. Erano così iniziate le litigate, i primi scontri anche fisici, si divertiva a ricattarlo chiedendogli sempre più soldi per non dire alla moglie la verità, e lui era costretto a staccare continuamente assegni sempre più alti. Lo cercava al lavoro, gli mandava e-mail al computer di casa, SMS al cellulare, era divenuta un vero incubo e ogni volta che la minacciava di chiudere definitivamente lei si metteva a cercare sua moglie per raccontarle tutto, così Tito doveva fare velocemente marcia indietro. Il tira e molla durava ormai da un anno e lui era esasperato, distrutto, col conto in banca in rosso e così aveva deciso d'ucciderla, non vedeva altra soluzione per uscire dall'incubo mentre sua moglie sembrava proprio non sospettasse nulla, telefonava amichevolmente all'amica e spesso uscivano assieme. Comunque era trascorsa una settimana e non era possibile che nessuno se ne fosse accorto anche se lei abitava da sola. In questo periodo sua moglie non aveva mai accennato all'amica, anche questo era un po' strano: come mai nessuno se n'era ancora accorto?
Tito più volte fu tentato di recarsi nell'appartamento dell'ex amante, ma si rendeva sempre conto che questa sarebbe stata proprio una stronzata, un paio di volte con la macchina giunse fin sotto l'abitazione di lei, l'assassino torna sempre sul luogo del delitto, pensò tra sé e tirò avanti senza fermarsi.
Ma questa mattina era successo l'impossibile: il telefono aveva squillato, era andato a rispondere e aveva sentito la voce della morta dire "Ciao Tito, mi passi tua moglie?" Era rimasto immobile, paralizzato mentre un tuffo al cuore gli aveva tolto il respiro. Sua moglie gli era venuta accanto e aveva detto "È Mara vero? Me la passi?"
Tito era rimasto con la bocca aperta, immobile con la mascella penzoloni, il telefono in mano sempre accostato all'orecchio, lei glielo aveva tolto e aveva cominciato a chiacchierare con l'amica, s'erano date poi appuntamento in città per fare shopping, come se non fosse successo nulla, ma qualcosa era successo si diceva Tito o sto perdendo colpi e mi sto immaginando tutto, sono giovane ancora e già i neuroni mi sciacquano nella testa. La moglie s' era vestita ed era uscita per andare in centro a far shopping con una che era morta stecchita una settimana fa. Tito aveva chiamato allora Mara al cellulare e lei aveva risposto "Pronto?": la sua voce, era inconfondibilmente la sua voce, aveva riattaccato, s'era preso alcune pastiglie di tranquillante e aveva tentato di riflettere su ciò che gli era accaduto, o meglio su ciò che credeva gli fosse accaduto. Lui l'aveva uccisa, questo era indubbio, ma ora era viva e si comportava come se niente fosse successo: allora s'era immaginato tutto, non c'era altra spiegazione. Perché l'aveva uccisa? Al momento non ricordava neppure il movente tanto era agitato, oppure erano troppi i tranquillanti che aveva preso. Aveva una relazione con lei, una relazione di quelle fin troppo forti e violente, ma era vero o s'era sognato pure questo? Lei era amica della moglie, un'amica fin troppo intima qualcuno sosteneva e, loro tre si conoscevano fin dall'università, cioè lui conosceva bene quella che era divenuta sua moglie e sua moglie era molto intima con l'amica, un gioco così da sempre fino a che non si portò a letto anche l'altra, anzi fu l'altra che a casa sua lo stese su un tappeto e gli strappò i vestiti di dosso, andò così vero? Dunque andava con entrambe e sua moglie non sospettava nulla, la cosa è durata due anni poi lei ha dato al matto come richieste sessuali, come intraprendenza, come bisogni finanziari, un incubo era divenuta la cosa e sessualmente pretendeva sempre di più, quasi l'impossibile e poi sembrava facesse di tutto perché li scoprissero anche in casa quando sua moglie era presente. Ma più ripensava a queste cose e le confrontava con ciò che era successo ultimamente come le telefonate di Mara, la sua voce e il fatto che adesso era a far acquisti con sua moglie, più si rendeva conto che non c'era che una spiegazione: lui s'era inventato tutto, aveva immaginato ogni cosa, ma perché? Avrebbe fatto bene a consultare quanto prima un analista o uno psichiatra. Decise che doveva raccontare tutte le sue fantasie a sua moglie e a Mara, pensò così di telefonare ad entrambe, erano assieme ora, no? e dire di venire a casa adesso, subito che aveva cose importanti da dire a loro due. Prese così il telefono e fece il numero di sua moglie. Gli rispose subito e cominciò a raccontargli di ciò che avevano visto in quel negozio e nell'altro, avevano poi comperato alcune cose e gliele descrisse minuziosamente, avevano da fare molto ancora ma, tranquillo, sarebbero tornate a casa assieme e così lui avrebbe potuto raccontare quelle cose importanti che ci teneva loro due sapessero. Solo a tarda sera le due donne rientrarono parlottando ininterrottamente tra loro con risolini soffocati mentre lui era in salotto davanti alla televisione, spenta però. Si alzò, andò in cucina ove le due donne stavano preparando una cena per tre e raccontò loro tutta la storia, confessando pure d'averla uccisa, espresse anche i suoi forti dubbi sulla propria sanità mentale. Loro risero divertite, lo presero in giro, l'accusarono d'esser passato dagli spinelli a chissà quale altra schifezza come fanno i ragazzini. Le canne, ora si chiamano canne, balbettò mentre le due donne continuavano a ridere. Sua moglie gli chiese se avesse intenzione di strangolare pure lei. Era completamente sconvolto, mentre le altre due ridevano d'un riso che si faceva sempre più inquietante, non sapeva più cosa fare né cosa dire, già vedeva le porte della casa di cura psichiatrica che s'aprivano per inghiottirlo e non farlo mai più uscire. Un buon strizzacervelli gli consigliarono entrambe mentre la cena veniva servita e fu costretto a sedersi. Sulla tavola erano state posate delle bottiglie di vino pregiato che facevano parte degli acquisti del pomeriggio. Tutti erano seduti e le due donne avevano ripreso il chiacchiericcio solito di loro due, lui si sentiva tagliato fuori e beveva il vino, toccò appena il resto. Dopo il primo e il secondo giunse un profiterol accompagnato da alcuni liquori e da spumante, Tito seguitò a non toccare cibo ma in compenso assaggiava tutte le bevande. Si addormentò accanto al suo piatto di profiterol non toccato, complici gli alcolici, ma anche i tranquillanti presi nella giornata e forse anche qualcos'altro non meglio identificato presente nei liquori; la testa scivolò sul tavolo.
Le donne ora sì che risero come matte e si mostrarono vicendevolmente i canini che divennero sempre più evidenti. "Pensava d'avermi ucciso! Che buffo!" "E tu stronza che gliel'hai fatto credere" "Certo che gliene abbiamo combinate...." "È scemo, ma è simpatico, ora è sul confuso ma si riprenderà, si riprenderà" "Poi gli racconteremo tutto?" "O gli faremo dimenticare tutto?" "Io direi che forse è meglio fargli dimenticare, comunque vedremo".
I loro canini erano adesso completamente sfoderati e a turno li affondarono nel collo dell'uomo bevendo un po' del suo sangue. Solo un po' non volevano certo danneggiarlo, lui era utile, era simpatico e in fin dei conti le aveva sempre servite bene, tutte e due. Più tardi lo spogliarono, gli misero un pigiama e lo sistemarono sul divano in salotto. Le due donne nude s'infilarono nel grande letto matrimoniale e iniziarono a baciarsi mentre il gatto tigrato s'acciambellò di nuovo sul divano ronfando felice accanto al suo padrone.

© Vittorio Baccelli





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