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La notte dei due silenzi
di Ruggero Cappuccio
Pubblicato su SITO
Anno
2007-
Sellerio
Prezzo €
10,00-
221pp.
ISBN
9788838922343
Una recensione di
Simona Carvelli
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La notte dei due silenzi: il notturno, dei poeti e degli amanti, insieme al silenzio, quello rumoroso della memoria, pure della poesia e dell’amore. Così il romanzo di Ruggero Cappuccio che nel titolo pare intenzionato a visitare gli spazi degli idillii letterario e umano. E l’intenzionalità apparente non delude, vista l’attenzione prestata al particolare descrittivo, che recupera e riscrive un lirismo letterario ormai estraneo alla moderna prosa (laddove occhieggia alla narrativa di fine Ottocento). Pure le eufonie della vita umana sono dettagliate nella scelta formale del testo, che vede l’alternanza della narrazione epistolare, del diario e del racconto nel racconto, dove il punto di vista muta di continuo, a simulare espressivamente l’altalena sentimentale descritta nel romanzo. La vicenda è incentrata su un bizzarro gioco d’amore che il protagonista, Alessandro Altomare (giovane dal fascino misteriosamente silenzioso) vive tra sé e i fantasmi del ricordo di una sposa sottrattagli dal vaiolo. Il racconto si snoda in perturbanti immagini di giardini, umanizzati nella sensualità dall’innamoramento («Una sottile gemellarità tra due tondità dorate e due seni, tra un lastricato e una schiena, tra due rosoni e due occhi, tra una porta e una bocca, tra la scalea di un chiostro e una chiostra di denti, tra un abbandono di passiflora e una massa di capelli […]»), nelle dissertazioni di un filosofo francese («Vi sono uomini che dopo essere sopravvissuti tracciano un romanzo del crollo e fanno della rovina che si è abbattuta su di essi il romanzo di una distruzione»), nell’immaginario dialogo con il Re delle Due Sicilie («Il Viceré dice che un giorno del 1598, Shakespeare, Guglielmo Shakespeare, è venuto a Napoli. […]. Che nella notte di un carnevale festeggiato in maschera nel Reale Palazzo, egli, Viceré, ha ceduto per vezzo di cortesia il proprio trono al poeta […]»). La comparsa poi di una donna sconosciuta, orienta il romanzo in direzione del giallo, alla ricerca di una verità che tuttavia l’autore non intende svelare neppure in fine di racconto. Il palcoscenico sul quale è giocata la partita di tutta la narrazione è formidabile, e Ruggero Cappuccio riesce a dar voce ai molti dettagli narrativi attraverso un arduo compito registico: quello di mettere insieme voci e odori e immagini in una medesima prospettiva del sentire. Un romanzo sensoriale, si direbbe, forse non scostandosi troppo da quelle che sono le prerogative autoriali e che non possono non confrontarsi con l’esperienza teatrale di Cappuccio, dove l’erudizione e una certa propensione verso il pensiero wagneriano dell’opera d’arte totale sono la sostanza precipua del lavoro artistico. Al romanzo, accanto a una esposizione serrata, resta lo sviluppo di un intreccio narrativo che si mostra quasi come il pretesto formale per dar bella mostra di una scrittura intricata e melodica che, tuttavia, non perde mai di vista la ragione del racconto: la memoria (individuale e storica) mostrata in uno dei suoi aspetti più ardenti e consumati, il silenzio.
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