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La mossa del cavallo
di Andrea Camilleri
Pubblicato su PB15
Anno
2000-
Rizzoli
Prezzo €
7-
252pp.
ISBN
2147483647
Una recensione di
Maria Grazia Armone
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"Il cavallo è l'unico pezzo del gioco che può scavalcare gli altri. Si muove in un modo davvero speciale, disegnando una "L": prima di due caselle in orizzontale o in verticale, come una torre, e poi di una casella a destra o sinistra: Un particolare da non dimenticare: un cavallo che muove da una casella nera arriva sempre in una casella bianca. Al contrario, un cavallo che muove da una casella bianca arriva sempre in una casella nera. Il cavallo può scavalcare qualunque pezzo".
Karpov, Il manuale degli scacchi
La storia si svolge in Sicilia tra il settembre e l'ottobre del 1877.
All'epoca era in vigore la "tassa sul macinato". (Garibaldi ne aveva promesso l'abolizione). La tassa sul macinato era invisa a tutta la popolazione poiché il tributo pagato dai proprietari dei mulini aveva un rincaro sui prezzi dei cereali e del grano macinati.
In questo contesto arriva a Vigata Bovara, rag. Giovanni, figlio di genitori vigatesi, nato a Vigata e ancora infante trapiantato a Genova con tutta la famiglia per agioni di lavoro del padre.
Quando Bovara ritorna in Sicilia ricopre la carica di Ispettore dei molini,una lotta all'evasione per coloro i quali non rispettano le norme regie.
I suoi due predecessori sono morti in circostanze poco chiare, e le indagini superficiali condotte hanno fatto passare l'omicidio di queste persone come incidenti.
E' sorprendente come in talune circostanze la storia si ripeta...
Ricordate due uomini onesti, integerrimi, non paragonabili ai predecessori di Bovara (parlo dei giudici Giovanni Falcone e Paolo Borsellino) che sapevano di essere destinati a morire, stranieri in patria, destinati ad una vita da reclusi, quando i latitanti andavano in giro tranquillamente ?
Ricordate quell'uomo dolcissimo, quasi un papà, che perde i suoi figli in quegli attentati, l'uomo che aveva costituito il pool antimafia? (Antonino Caponnetto, per non dimenticare!)
Ebbene un uomo coraggioso come il giudice Caselli va ad assumere un incarico altamente rischioso, dopo che i suoi predecessori sono stati trucidati in terribili attentati.
Un uomo che per rispetto alla legge si offre di proseguire un incarico, in una terra che non è la sua, con la consapevolezza degli enormi rischi e delle ostilità a cui sarebbe andato incontro; terreno in cui il nemico non ha regole e la posta in gioco è estremamente alta.
Il nostro Bovara arriva a Vigata pronto a fare il suo dovere come ha sempre fatto, armato solo della sua intelligenza e senso di rispetto alla legge.
E' uomo onesto, probo, scrupoloso, di bell'aspetto e discreto giocatore di scacchi.
Il suo arrivo desta sospetto e poi scompiglio perché sin dall'inizio non vuole accettare regole che siano al fuori della legalità.
Deciso a portare a fondo il proprio incarico annuncia al delegato di polizia, corrotto, che non vuole alcuna scorta, che non vuole la scorta né tanto meno comunicare prima dove intende eseguire le ispezioni perché l'elemento sorpresa è fondamentale nei suoi accessi ispettivi.
Viene subito considerato "stronzo" perché non sottostà alle regole di un gioco portato avanti per anni. Ancora cosa più stupefacente rispetta l'orario di lavoro, rifiuta gli approcci di don Cocò Afflitto, boss che ha le mani in pasta in tutto.
Proprietario di giornali, mulini, miniere, armatore. (Che strano, ricorda qualcuno?)
Bovara affitta un piccolo alloggio presso Trisina Cicero, giovane vedova bellissima, benestante, ha avuto parecchi amanti fra i potenti di Vigata e adesso frequenta la chiesa di Padre Artemio Carnazza.
Naturalmente non per improvvisa vocazione religiosa ma perché ha trovato un altro pollo da spennare.
Una bella gara di avidità tra lei ed il prete, Trisina non si concede se non riceve qualcosa in cambio, è un po' come una gazza, Padre Carnazza che cerca di assediarla in tutti i modi pagando in regali pregiati quel poco che lei gli concede, accrescendogli la passione erotica che lo divora.
Padre Artemio Carnazza, rappresenta quello che il popolo, nell'immaginario collettivo pensa di alcuni tipi di preti : avido, ipocrita, egoista, presta denaro a usura e si fa pagare gli interessi anche in natura dalle mogli dei suoi debitori, bugiardo senza nessuno alito di spiritualità, a forza di corruzione ha lentamente depredato dell'eredità suo cugino Memè Moro. Adesso si stanno contendendo col cugino l'ultimo pezzo di eredità.
In questo contesto il rag. Bovara si appresta ad agire, convoca i sotto ispettori, scopre e decodifica una mappa che contiene l'ubicazione esatta dei mulini dichiarati e di quelli abusivi, è conscio del fatto che non può fidarsi dei propri collaboratori, perché questi sono stati scelti dal boss, e dal di lui braccio destro, avv. Fasulo, e si appresta a cercare da solo uno dei mulini abusivi segnati sulla mappa in codice.
L'ispettore scopre che esiste le sue ipotesi sono fondate e si appresta a fare la sua prima indagine.
Scopre un sentiero dove, di notte c'è un gran via vai di muli, carretti ecc. che si dirigono al mulino abisuivo.
Si rende conto che un'irruzione potrebbe costargli la vita e pertanto va a denunciare il fatto sia ai Carabinieri che alla Polizia.
Nessuno prende sul serio la sua denuncia, però si fanno in quattro ad avvertire l'avvocato Fasulo, braccio destro di Afflitto, e fanno sparire il mulino, la strada viene arata e così bovara diventa un pazzo che soffre di allucinazioni e che vorrebbe infangare il nome di un onesto cittadino, così si scrive sul giornale locale, anche la Chiesa ad alti vertici interviene perché non si può perseguitare un uomo onesto come Nicola Afflitto che dà lavoro a tante famiglie. Viene denigrato in tutte le maniere preso per malato di mente, per uno che soffre di allucinazioni ed inoltre il forestiero nutre dei forti pregiudizi nei confronti della popolazione locale e dei capisaldi più importanti.
Nonostante ciò c'è un procuratore del Re che è disposto a prestargli un minimo di credito ma viene subito trasferito per ordini superiori.
La situazione è in mano ai padroni di sempre e addirittura la fortuna sembra girare a favore di questi quando Bovara assiste ad una sparatoria.
Convinto che i colpi siano rivolti a lui, anch'egli spara un colpo in aria per far sapere che è armato ed arriva in tempo a vedere agonizzante Padre Artemio Carnazza che farfuglia qualche parola, in dialetto, prima di morire.
Le parole sono dette in siciliano e Bovara stenta a capire.
Tuttavia, sebbene stravolto copre il corpo del prete, col mantello che indossava e si reca in Polizia a denunciare avvenuto omicidio e le circostanze che lo hanno reso testimone.
Giocando sul fatto che non consce il dialetto uno zelante funzionario, con aria di superiorità si appresta a spiegargli che non può infangare il nome di onesti cittadini e che le parole pronunciate in punto di morte dal prete non sono accuse nei confronti del cugino Moro …… ma cuscinu …. moro ecc
Stanno a significare muoio, o moro nel senso di scuro di carnagione ecc, che cuscinu vuol dire che aveva bisogno di un cuscino e non di un'accusa rivolta al cugino assassino.
Dopo questa bella lezione di semantica sul dialetto siciliano Bovara viene trattenuto più a lungo del dovuto e, il delegato di polizia corre ad informare l'avv. Fasulo.
Quale occasione migliore per togliersi dai piedi un rompiscatole come Bovara?
Il corpo del prete viene portato a casa di Bovara, a Trisina Cicero viene intimato di partire, vengono presi e regali che ha ricevuto da Padre Carnazza e portati a casa di Bovara, in maniera da far risultare che non solo questi ha mentito ma addirittura di essere l'autore dello scellerato omicidio perché aveva una tresca amorosa con la Cicero ed era geloso del prete.
Ecco servito per sempre Bovara.
L'ispettore dei molini attraversa un momento di totale disperazione, senza mai perdere la lucidità che attraversato i suoi ragionamenti.
Bovara, ormai spacciato si appresta a giocare la mossa del cavallo.
Interrogato dal giudice gli espone i fatti in siciliano e lascia interdetti tutti.
Perché si sempre espresso in italiano, ma lui si ostina a ripetere che ha appreso la lezione impartitagli a che parlando in dialetto non può creare equivoci.
Così scagiona Memé Moro dicendo che aveva capito male, in effetti il prete voleva dire muoio, e quando disse spaiato… volva dire in realtà Spampanato, fretello del delegato di polizia, non è vero che prima di morire mi ha mandato a fare in culo, in dialetto avrebbe detto "ulu"… ma mi ha voluto riferire che l'altro assassino era Fasulo.
Quanto al rinvenimento del cadavere nell'alloggio di Bovara egli spiega che all'interno del mantello dovrebbe esserci una macchia di sangue e che a questo punto non avrebbe avuto nessun senso che lui portasse a casa il cadavere e poi ripiegasse accuratamente il mantello col quale aveva coprto il corpo.
Il giudice viene colpito dall'estrema lucidità dell'analisi fatta da Bovara e teme per l'incolumità fisica di questi.
Perciò lo fa condurre con estrema urgenza in un carcere di sicurezza, ed insieme al delegato, il cui fratello è stato accusato di omicidio, si reca a fare un ulteriore sopralluogo a casa di Bovara.
Una cosa è certa la trappola per acchiappare il ragioniere è scattata ma dentro ci sono finiti coloro i quali volevano disfarsi di lui.
Bovara in carcere incontra il capo carceriere che gli offre tutta la sua disponibilità, il figlio dell'usciere Caminiti, il quale si mette a sua disposizione e gli ripete quanto gli ha riferito il padre "Vossia è un galantuomo".
La faccenda si conclude con la scarcerazione di Bovara, l'uccisione di Moro, che in una lettera scritta dopo la sua morte discolpa Bovara.
Gli altri topi vengono lasciati annegare compreso il grande Fasulo.
La nuova versione data da Bovara non corrisponde a come si sono svolti effettivamente i fatti ma anche i giudici devono fare tanto di cappello alla sua intelligenza e sperano di trarre tesoro la quel capolavoro per poter incriminare anche loro persone che hanno sempre usato gli altri come burattini.
Bovara, uomo comune. Onesto cittadino ce l'ha fatta e glie l'ha fatta in barba ai potenti ai pescecani e delinquenti.
Dedicato agli eroi anonimi che ogni giorno vivono la propria battaglia quotidiana.
Una recensione di Maria Grazia Armone
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