Libri sull’olocausto ce ne sono molti, potrebbero e dovrebbero essere molti di più. Perché, come scrive il protagonista di questa vicenda: “Sam Pivnik non è importante, è solo uno tra milioni. Ma la storia di Sam Pivnik, spero gli sopravviva”.
2015, 70 anni sono passati da quegli orribili fatti e presto, purtroppo, tutti coloro che, loro malgrado, ne sono stati protagonisti, scompariranno.
È nostro dovere continuare a ricordare: mostrando alle generazioni future, fino a quale punto di non ritorno l’essere umano sia stato in grado di arrivare.
Mi è davvero difficile pensare ai nazisti come a degli esseri umani… le atrocità da loro compiute non hanno nome, non hanno giustificazione, non hanno motivo di esistere. Eppure, non ci si può nascondere dietro l’assenza di un vocabolario adatto per definirli, per smettere di mostrare al mondo intero le loro colpe. Stenderle sotto un sole feroce, così che nessuno possa prendere una piccola ombra, scambiandola per una scusa per pensare solo di asserire che tutto questo non sia accaduto.
Sam ci racconta della sua famiglia, originaria di Bedzin, Polonia. Della sua vita, di com’era e di come divenne dopo che, dal ghetto nel quale gli ebrei erano stati radunati, furono deportati ad Auschwitz-Birkenau.
Si sono salvati solo lui e il fratello, gli altri membri della famiglia, come altri milioni di innocenti, divennero fumo.
Parla della fuga, prima a piedi, quindi sulla Cap Arcona, bombardata dal fuoco amico.
La storia, se vorrete, potrete leggerla e compiere con lui un viaggio a ritroso del tempo, lontano per noi, ma che per lui è ciò che “rivivo ogni giorno e ogni notte della mia vita”.
Quello che ho trovato in questo libro, oltre alle atrocità conosciute e sconosciute, sono quanto già avevo scovato nel romanzo di Primo Levi “Se questo è un uomo”; cioè la mancanza di solidarietà tra i prigionieri. Di come la tortura, la fame di sopravvivenza possa schierare gli uomini contro gli uomini.
Un altro fatto importante è il perché nessuno abbia parlato subito di quanto era accaduto. Perché, allora, dopo la liberazione, non c’era nessuno che volesse sentire e condividere le atrocità di quanto avevano subito i sopravvissuti. In qualche misura vennero stuprati ancora, non oso dire dall’ indifferenza; ma da quel girare la testa per non dover comprendere e porsi molte domande.
Dopo anni, finalmente, ci si è resi conto che le storie di ogni uomo e donna sopravvissuti sono una testimonianza unica, perché, come disse Edmund Burke: “Quelli che non conoscono la storia sono condannati a ripeterla”.
Questo, come ogni libro sull’olocausto, è un testo unico: pieno di sofferenza, atrocità, dolore fisico e morale che colpisce anche chi lo sta leggendo.