Prima di passare all’esplorazione del libro, vorrei citare una definizione di poesia che Maggiani ci offre nell’introduzione e che ci fa riflettere sul ruolo centrale che essa riveste nell’umana esistenza e, si direbbe, anche oltre, portando l’arte di Calliope in un contesto che le è congeniale sebbene non esclusivamente: la metafisica.
La poesia è una rivelazione dell’uomo a Dio […] o all’Assoluto o semplicemente a qualcosa che esiste al di là della materia: una sorta di mistica al contrario, un movimento dal basso verso l’alto […] (p.5)
Debitamente evidenziata questa posizione che assegna alla poesia un ruolo di tramite fra l’uomo e l’Assoluto, senza il quale la specie umana resterebbe sconosciuta agli occhi di Dio, possiamo scendere in una dimensione più terrena, affermando che Poscienza è una silloge poetica sperimentale, avanguardistica, pionieristica il cui arduo intento di base è armonizzare l’«apparente dualismo» tra scienza e poesia, due ampi campi del sapere, che appassionano l’autore ma che risultano difficilmente conciliabili, almeno per l’opinione comune. Ad ogni modo, volgendo lo sguardo verso i secoli passati ci accorgiamo che qualcuno si è già posto un problema analogo, ragionando sul rapporto fra scienza e arte. Ad esempio per Goethe esiste una sorta di unione tra scienza e poesia, che scaturisce dalla consapevolezza del legame intimo fra la creatività dell’essere umano e la vita del cosmo; mentre Nietzsche sostiene che scienza e arte debbono collaborare nel nome di una conoscenza libera e creatrice. Andando indietro nel tempo si arriva ai presocratici, i fisiologi, gli scienziati della loro epoca, molti dei quali scrissero opere in versi, che chiamarono “Sulla natura”, e dove non di rado comparivano divinità o situazioni fantastiche.
La lingua utilizzata è multiforme e non esiterei ad evocare il plurilinguismo per definirla. Del resto la realtà non è univoca ma complessa e sfaccettata, e allora è opportuno usare – a seconda delle situazioni - qualche espressione del dialetto carrarino, o del linguaggio scientifico, del registro colloquiale oppure, se la circostanza lo richiede, qualche inattesa “volgarità” depotenziata da un uso abituale, che tuttavia difficilmente troverebbe spazio nella relazione di una ricerca astrofisica. Mi soffermo per fare un esempio su una battuta, una licenza trasgressiva rispetto al rigore anche formale della scienza. Ma prima di iniziare la citazione delle poscienzìe, va detto che non è sempre possibile riprodurre perfettamente il testo dal punto di vista grafico, poiché i versi sono spesso corredati di simboli o ideogrammi (che dir si voglia). Come sostiene l’autore: i versi in Poscienza cantano, ma producono anche una coreografia.
<%
Beati voi romani {quelli antichi}
:a Pompei mettevate cazzi sulle pareti
{qu(i_i)nvece sono rimaste soltanto le ali
di qualche angelo fatto a cazzo}
[ma che dico?]
<% (p. 47)
L’allusione è verosimilmente riferita a una certa tendenza diffusa tra giovani e meno giovani, in particolare nel mondo Lgbtqia+ (un’altra formula work in progress per venture poscienzìe?), a identificarsi in un angelo malcapitato, incompreso, dannato, a cui spesso è rimasta un’ala soltanto. Sono dunque alla spasmodica ricerca di un altro scalognato consimile che, guarda caso, ha anche lui soltanto un’ala (naturalmente quella complementare), per spiccare insieme un romanticissimo volo.
Dicevo che il plurilinguismo maggianiano risponde a una molteplice varietà di argomenti e di situazioni. Al di là di una vocazione all’umorismo e all’autoironia, si va da riflessioni scientifico-filosofiche a significative digressioni surreali, a momenti di intimità domestica; dalla minuta ape e dal polline fino allo spazio infinito, passando attraverso l’impegno civile e i diritti umani. Non mancano tematiche che, nel bene e nel male, intersecano usualmente la vita degli uomini come l’amicizia, l’amore, il dolore, la morte. E in alcuni punti fioccano emozioni non cercate, come dichiara l’autore nei seguenti versi, i primi dei quali però mentono, almeno parzialmente, per via di quanto ho appena affermato:
vorrei scusarmi
se non trasmetto empatia o emozione
con le mie poscienzìe…
sapete come mi stanno-stretti quelli che leggono poesie per
provare struggimenti e non[invece] scossoni al cervello!!! (pp. 47-48)
D'altronde la realtà che per contrappunto include dimensioni surreali o metafisiche non è univoca ma altamente multiforme, forse caotica, e dunque – come si diceva - per inseguirla e rappresentarla dandole voce, un linguaggio e un lessico sempre uguali a se stessi sono certamente inadeguati. Oggi si parla tanto di metaverso, ma il variegato cosmo della poscienza mi ha riportato alla mente il termine “tuttiverso”, coniato alcuni decenni fa da Gavino Ledda (forse ispirato dalla teoria fisica del multiverso?), che però, almeno finora, non mi pare abbia ricevuto molti riscontri al di fuori delle speculazioni critiche dello scrittore, poeta e ricercatore di Siligo. Questo termine si contrappone al limitato universo tradizionale, per abbracciare tutta la materia del cosmo, pulsante, viva e in movimento.
Come accennato, nelle pagine di Poscienza si trovano anche profonde e delicate riflessioni sulla morte e sui morti. Ne cito soltanto due brani:
:tutto il fare-e-il-disfare è per i vivi
perché forse laggiù per i morti non c’è nulla
per cui valga la pena ricordare
(di essere stati vivi)]} à (p. 77)
Ho paura delle ombre che la Luna
e l’alba muovono nella stanza
{e dei vivi che piangono i morti
come se la loro vita foss(e_e)terna
e non stessero invece camminando
per raggiungerli} (p. 81)
In alcuni versi dedicati alla sua città natale, Carrara, credo di aver ipotizzato quale sia l’elemento cosmico che fa quadrare l’armonia della poscienza con tutto il resto: la fantasia. Ma presumo si tratti di un’immaginazione fertile e acuta, virtualmente in grado di intercettare il cuore della realtà. E quale idioma più autentico del dialetto «lingua padre» (come diceva il compianto Achille Serrao), può liberare il segreto con naturalezza e sbatterlo in faccia al lettore?
Si dice che ci siano balene
Che sguazzano nelle vasche marmoree
{:al par che temp fa un ninin i aves na boda ch’i ciamav badena
e ch’i la tróva propi drent a ‘na fontana}[1]
cammelli a passeggio
nelle ultime pennellate del sole
e macachi seduti nei ristoranti
ma nessuno si accorge di nulla
{:alén tut cosa ch’a s’ diz’n ma nisciùn al sa
s’alen vera o no | a i vó d’la fantasia}[2] (p. 86)
I segni grafici, come rivela lo stesso Maggiani nella nota conclusiva “Al lettore”, hanno una funzione evocativa, guidando il suo pubblico verso i sentieri del testo scientifico. Quanto alle formule e alle espressioni matematiche, le quali appaiono sinistre e indecifrabili anche per chi, come nel mio caso, ha frequentato il liceo scientifico prima di addentrarsi in studi umanistici, non credo che la loro decodifica sia essenziale per la comprensione del testo poetico. Se così fosse, le poscienzìe che comprendono le suddette espressioni risulterebbero fruibili solamente a un’esigua schiera, risultante dall’intersezione C) di due insiemi: A) cultori della fisica intesa in senso lato e fisici; B) cultori della poesia e poeti.
Relativamente alla forma poetica scelta dall’autore, mi permetto un suggerimento o, meglio, un interrogativo, senza temere una possibile cantonata, visto che lo stesso Galilei sosteneva che la scienza (ma ritengo possa adattarsi anche alla poscienza) procede per tentativi ed errori. Mi chiedo se non sarebbe costruttivo rafforzare quel quid di matematico che fin dalle origini è patrimonio della poesia: mi riferisco a quell’ordine musicale di sillabe, accenti e rime, noto sotto il nome di metrica o prosodia. Forse si potrebbe riflettere se dare più spazio a questo elemento della tradizione, magari oltrepassando schemi chiusi che ci rimandano alla cosmologia aristotelico-tolemaica, cioè a un universo circoscritto dal cielo delle stelle fisse, per andare verso strutture metriche aperte, più in linea quindi con la concezione bruniana dell’universo infinito o con teorie fisiche più recenti nelle quali, per ovvie ragioni, preferisco non addentrarmi.
Veniamo ora al significato e all’etimologia del titolo, ovvero della parola “poscienza” e dei termini che da essa derivano (poscienzìa, poscienziato, poscienzate…). L’arcano è disvelato al termine del libro, nella “Postfazione|Nota” (pp. 120-121). Ebbene “poscienza” è il frutto di un gioco matematico-enigmistico, che vede le lettere delle parole “poesia” e “scienza” protagoniste del parto. Non rivelo il procedimento ma vorrei sottolineare che si tratta dell’ennesimo tributo alla scienza che, a partire almeno da Galileo – volendo sorvolare su illustri protagonisti della storia della filosofia come Pitagora e Platone – fonda le sue leggi sulla matematica, la quale secondo lo stesso Galilei, è l’alfabeto che bisogna conoscere e utilizzare per comprendere il libro dell’universo, scritto proprio in caratteri matematici.
Per quanto mi riguarda, l’arduo e coinvolgente esperimento, posto in essere da Roberto Maggiani, risulta degnamente riuscito. Ma non posso dimostrarlo scientificamente come pretenderebbe il metodo galileiano. Parlerei piuttosto di un’intuizione, di una consapevolezza, frutto della mia esperienza di vita e di cultura. Ma forse (non sta a me dirlo) la poscienza non sempre prevede le dimostrazioni sperimentali che divengono regola inderogabile con la rivoluzione scientifica. Forse non sono previsti esperimenti replicabili e il metodo potrebbe avvicinarsi alla pratica gnoseologica adottata dai rinascimentali filosofi della natura, tra i quali svetta per l’intelletto e per la biografia Giordano Bruno. Quei filosofi naturalisti collocati fra magia e scienza, i quali si esprimevano anche in poesia e prosa letteraria e che a differenza di Bacone e di Cartesio, teorici dello sfruttamento indiscriminato dell’ambiente, amavano e rispettavano la natura nella sua sacralità in una prospettiva di pampsichismo e panteismo.
[1] Pare che tempo fa un bambino avesse una rana che chiamava balena e che l’ha trovata proprio dentro a una fontana.
[2] Sono tutte cose che si dicono ma nessuno lo sa se sono vere o no | ci vuole della fantasia.