"Come può dirvi chiunque, non sono un tipo gradevole: non so nemmeno cosa vuol dire. Ho sempre ammirato i cattivi, i fuorilegge, i figli di puttana. Non mi piacciono gli uomini perfettamente rasati, con la cravatta e un buon lavoro. Mi piacciono gli uomini disperati, con i denti rotti, il cervello a pezzi e una vita che fa schifo. Sono loro che mi interessano. Sono pieni di sorprese. Ho anche un debole per le donnacce, quelle che si ubriacano e bestemmiano, che hanno le calze molli e il trucco sbavato. Mi interessano di più i pervertiti che i santi. Mi rilasso con gli scoppiati perché anche io sono uno scoppiato. Non mi vanno le leggi, la morale, le religioni, le regole. Non mi va di essere plasmato dalla società”.
Prendendo spunto da questa frase contenuta in uno dei racconti che compongono questo libro, possiamo farci un’idea chiara del modo di scrivere di Bukowski. I suoi personaggi sono gli ultimi, davvero la feccia della società: prostitute, ubriaconi, giocatori incalliti. E ancora: assassini, ladri, falliti. Li troviamo infilati in racconti brevi, a volte assurdi, altre volte splendidi (o splendidamente assurdi). Alcuni racconti possono piacere mendo altri, altri paiono scritti da una mente assolutamente annebbiata che - dopo essersi incamminata su un binario logico - pare perdersi per andare a parare in un imprevedibile "altrove". Del resto parliamo di Bukowski, e Bukowsky è sempre sopra le righe, sincero, spudorato. Esattamente come Chinaski, il suo alter ego letterario che compare in molti dei 28 racconti contenuti nell'antologia.
Azzeccatissimo il titolo, che già dice tutto sulla desolazione che attende il lettore. Il sud visto come la parte povera del mondo, dell’uomo, che nemmeno ha come punto di riferimento un nord che offra più possibilità.
Leggere Bukowski è affondare in un abisso dove la realtà è talmente esposta, scarnificata, da ferire. Troviamo ovunque frasi estremamente inappropriate, quasi "scandalose": “Mi piaceva che Vicky fosse felice. Meritava di esserlo. Mi alzai e andai al cesso dove mi feci una bella cacata”. Buttate lì con la compiacenza con cui un bimbo porta in giro per casa il vaso da notte.
Alternate ad altre così semplicemente e drammaticamente vere da lasciare un segno: “Non c'è da meravigliarsi che gli uomini si rivolgano agli dèi. È molto duro affrontare le cose direttamente da soli.”
Per un qualche misterioso (ma non troppo) motivo, i personaggi di Bukowsky si aggirano in luoghi perpetuamente oscuri: camere da letto, motel luridi, letti consumati. Circondati da un costante senso di abbandono e di mancanza di speranza. Il personaggio più ricorrente è quello dello scrittore fallito, quello che non riesce più a scrivere, se non quando è ubriaco marcio e le parole trasudano da sole, sfuggendo dalla sua vita buttata via.
(Si può fare letteratura anche raccontando sè stessi, ma solo a patto di chiamarsi Bukowsky e di non chiedersi, mai, se ne sia valsa la pena. N.d.R.)