Avevo già avuto modo di leggere e di apprezzare alcune poesie di Giuseppe Martella sul web e così ho ricevuto davvero con molto piacere la sua raccolta Porto Franco che raccoglie anche alcuni dei testi già pubblicati in riviste cartacee e on-line. Ben curata, fine e assai sobria risulta l’edizione tipografica a cura di Arcipelago Itaca. Mi immergo nella lettura della silloge e già dalla lirica di apertura, sento il carattere dialogio-corale “se tutti noi/ fossimo presi per incantamento” (p.7) che richiede predisposizione all’ascolto e alla condivisione.
“Gran Canaria” apre la prima sezione, il beato angolo di mondo, dall’autore definito “pagano paradiso” in cui la coscienza si espande e si “cheta” in una condizione estatica di rapimento e appagamento che è sollievo per il corpo e per la mente. Queste prime poesie sono caratterizzate dai colori e dalla luce che trionfano su tutto “tutti i colori dell’iride raccolti/ mischiati in questo turbine/ di tempo” e da una natura potente, carica di vitalità, di fronte alla quale l’uomo non può che realizzare la sua finitezza. In tutta questa meravigliosa surreale turbolenza, si delinea e vive la precarietà umana e delle cose, così come del tempo, nel ciclo eterno della vita e della morte. E arrivano le domande “che fare”? Scartare o conservare? “Prendere la meraviglia della cosa/ -scartare il resto- scartare come un fagotto, o come/ un ostacolo che ti si para innanzi/ all’improvviso” (p.23) oppure condividere e accogliere “ogni macchia lasciata sulla strada/ intrisa di semenze/ ogni cosa derisa, attende/ di essere ripresa, condivisa/ come un’ostia dissacrata” (p.21). Sono versi ispirati, carichi di energia, in cui si sente quest’oscillazione continua e accorata tra abbandono e resistenza, amplificata dall’uso del polisindeto, dalle frequenti ripetizioni, dei richiami anaforici, dalle assonanze e consonanze ripetute. Il tutto in un tensione “panica” che sale e diviene a tratti fusione totale con il naturale, grazie anche ad un abile uso della climax.
La seconda sezione “L’ora bruna del presentimento” riprende il tema della solitudine, della fragilità umana e dell’incertezza della vita, dove sopraggiunge “l’ora bruna del presentimento-/ come nube leggera dagli orli illuminati/ arancio, rosso” (p.29). C’è un esasperato ascoltarsi, interrogarsi, sentirsi talvolta senza pelle, sbattuto come un capodoglio spiaggiato, un cesellarsi, farsi a pezzi, a bocconi, digerirsi (metaforicamente accettarsi). Eppure, quel qualcosa che rode dentro, non smette di fare il suo lavorio, come onda che si infrange e non dà tregua allo scoglio. Allora ci si aggrappa con forza ai ricordi, alla figura di una donna ora presente, ora assente, ora nido, ora sfuggente; e per compagnia, persino ad una radio che riempie di voci una stanza. In questa sezione dove tutto sembra fluttuare tra certezze e incertezze, il linguaggio acquisisce maggiore consistenza, la parola si fa corpo, pensiero lucido e razionale, con tratti di intuizione filosofica, dove non mancano guizzi ironici ed espressioni colloquiali a smussare quell’ombra lunga che tutto/tutti coinvolge e nessuno risparmia, dentro la grande e primordiale domanda: “chi sono io?”
Andare e non andare: non capire
venire al dunque, poi perseverare
fuggire all’ultima ora
-ora è lo stesso
e mi capita spesso quest’ora incerta
dove non so chi sono,
e non so a chi chiedo se mai chiedo
per forza o per amore. Se
tu ci fossi, e se io non fossi io,
chiederei perdono a te -perdono a Dio
(p.35)
La forza della sua poesia, fortemete ispirata, è avvolgente e coinvolgente, come lo è la natura più incontaminata e selvaggia delle Isole Canarie immerse nel cuore dell’Oceano. Queste ultime liriche della sezione hanno un andamento tutto verticale, ruotano intorno ad una parola, un nucleo esistenziale che chiede salvezza “uno spiracolo/ una breccia o fenditura fra la roccia/ e il mare indocile di spuma (p.51). E in questo “porto franco”, come angolo di pace, di rifugio e di riparo, si compie la parabola ciclica della poesia di Giuseppe Martella, della risalita e della caduta, in un fluttuare costante tra finito ed infinito, tra elevazione e turbamento.