Parlare
degli scrittori sardi impone innanzitutto di
porre delle premesse imprescindibili. È
importante iniziare a capire se si vuole dare
uno sguardo panoramico a come si sta movendo
in questo momento la letteratura sarda, o se
si vuole affrontare il tema da un punto di vista
storico. E la poesia non può certo essere
trascurata, perché molti dei grandi poeti
sardi sono poi diventati interessanti narratori,
e le due discipline si sono sempre legate vicendevolmente.
Molto forte, in Sardegna, è poi il campo
della saggistica, dove la locomotiva che trascina
tutto il resto è probabilmente il radicale
attaccamento alle proprie origini, alla storia
dell'isola, alla cultura nuragica, alle tradizioni
e alle credenze popolari. Precisato questo,
va fatta inoltre una distinzione netta, che
è necessario prendere in considerazione,
tra gli scritti in lingua italiana e quelli
in lingua sarda. Tutto ciò, tenuto conto
del fatto che l'editoria in Sardegna rappresenta
quasi un mondo a sé stante, poiché
ancora oggi è davvero difficile riuscire
a superare il mare per distribuire le proprie
opere lungo tutto lo stivale.
Io cercherò di dare un'idea di quella
che è la scrittura sarda in questo momento,
nel senso più lato possibile. Partendo
da una rapida occhiata ai classici sempreverdi
e affrontando esclusivamente i testi in italiano,
questo semplicemente per causa delle mie limitate
conoscenze linguistiche relative al sardo.
Quando si parla di scrittori sardi nell'immaginario
comune il primo nome che salta in mente è
quello di Grazia Deledda. Questo a ragione,
perché la figura della Deledda, premio
Nobel per la Letteratura nel 1926, è
stata fondamentale per lo sviluppo della narrativa
d'ambientazione sarda. Le novelle della scrittrice
nuorese hanno catturato l'interesse del pubblico
come mai nessuno scrittore sardo, prima di lei,
era riuscito. E tuttora classici come Cenere
e Canne al vento restano saldamente ancorati
alle cime delle preferenze dei lettori. È
lei il precursore della scrittura sarda che,
certamente sostenuta da figure come Emilio Lussu
e Antonio Gramsci, si è aperta, negli
anni a seguire, al grande pubblico con i vari
Gavino Ledda, Giuseppe Dessì, Salvatore
Satta, Sergio Atzeni. Proprio verso quest'ultimo
pare essersi catalizzata ultimamente la curiosità
degli studiosi e dei critici letterari. Se in
vita, specialmente nella terra d'origine, l'autore
cagliaritano era stato preso in considerazione
meno del dovuto, in seguito alla sua prematura
morte nel 1995, anche grazie ad una serie di
opere pubblicate postume (delle quali mi piace
menzionare Il quinto passo è l'addio
e Passavamo sulla terra leggeri, entrambi usciti
da Il Maestrale, rispettivamente nel '96 e '97),
gli scritti di Atzeni sono stati rivalutati
e apprezzati adeguatamente. Oggi possiamo affermare
che Sergio Atzeni si staglia fra gli scrittori
italiani più interessanti apparsi nel
panorama nazionale degli ultimi anni. La sua
opera ripercorre tratti di storia e cultura
sarda, vite semplici, intrecci di tradizioni
e invenzioni di fantasia, raccontate in un italiano
sapientemente contaminato di sardismi.
Accanto alla figura di Atzeni, si sviluppa quasi
contemporaneamente quella di Salvatore Mannuzzu.
Decano degli scrittori sardi, recentemente insignito
della Laurea honoris causa in Lettere e Filosofia
all'Università di Sassari, Mannuzzu ha
esordito sotto pseudonimo nel lontano 1962 con
il romanzo Un Dodge a fari spenti (ripubblicato
da Ilisso nel 2003, con correzioni apportate
dall'autore). Ma per leggere il primo libro
che in copertina porta stampato il suo nome
bisogna attendere fino al 1988, due anni dopo
il debutto di Atzeni, con il romanzo Procedura,
vincitore del premio Viareggio. Mannuzzu ha
proseguito autorevolmente la carriera letteraria
portando alla luce altri sei romanzi (l'ultimo
dei quali è Le fate dell'inverno), una
raccolta di racconti e una silloge poetica,
tutti per Einaudi. Ha pubblicato anche un saggio
sul tema della giustizia uscito da Il Mulino
nel '98 e un racconto per ragazzi, Il famoso
Natalino (Laterza, 1999).
Ma tra gli autori sardi contemporanei un posto
di rilievo merita Marcello Fois, che può
vantarsi di essere il più prolifico e
il più venduto scrittore sardo vivente.
I suoi romanzi gialli, a partire da Ferro recente,
edito da Granata Press nel 1992 e ristampato
da Einaudi nel 1999, hanno sempre ottenuto un
notevole riscontro di vendite e un particolare
interesse della critica. Con opere come Nulla
(Il Maestrale, 1997), Sempre caro (Frassinelli,
1998), Meglio morti (Einaudi, 2000), Picta (Frassinelli,
2003), Dura madre (Einaudi, 2003), Sheol (Hobby&Work,
2001; poi Einaudi, 2004) vince numerosi premi
come il Calvino, il Dessì e lo Scerbanenco,
svetta ai primi posti delle classifiche di vendita
e si afferma come uno degli scrittori che ha
nutrito la nuova age d'or della narrativa gialla
italiana.
Da Fois in poi, i nomi degli scrittori sardi
che hanno esplorato i bancali delle librerie
italiane si fanno più sporadici e sono
legati, perlopiù, ad eventi come la vincita
di prestigiosi premi nazionali o a collaborazioni
di case editrici isolane (in particolar modo
mi riferisco al Maestrale) con editori nazionali.
Dovrò pertanto spostare il mio campo
d'interesse dall'attività editoriale
nazionale a quella regionale.
Attualmente l'autore isolano più venduto
in terra madre è Giorgio Todde. Il suo
ultimo romanzo L'occhiata letale (Frassinelli-Il
Maestrale, 2004), un giallo ambientato in una
piccola realtà sarda dell'Ottocento,
è al vertice della classifica dei libri
più venduti in Sardegna e si sta pian
piano diffondendo anche fra i lettori della
penisola.
Sempre sul piano della narrativa di genere,
ottimi autori di romanzi gialli possono considerarsi
Salvatore Niffoi, con quattro lavori pubblicati
tutti da Il Maestrale, che fa della capacità
di mischiare l'italiano col dialetto la sua
arte e riempie i libri di espedienti narrativi
spesso di difficile lettura ma certamente di
straordinaria originalità, e Luciano
Marrocu, maestro sardo del giallo storico, pubblicato
sempre dal solito editore nuorese, Il Maestrale.
Tra i giallisti si sta facendo strada anche
un giovane cagliaritano, vincitore dell'edizione
2000 del premio Calvino, con I diavoli di Nuraiò
(che Il Maestrale ha fatto stampare lo stesso
anno): Flavio Soriga. Traghettato dal successo
del primo romanzo, Soriga ha fatto presto a
varcare il tratto d'acqua che separa la Sardegna
dal continente, e nel 2002 ha fatto uscire per
i tipi di Garzanti il suo secondo lavoro Neropioggia,
ancora ambientato nel paesino immaginario di
Nuraiò.
E dal premio Calvino arriva anche il romanzo
d'esordio di Gianni Marilotti, La quattordicesima
commensale. In un librone di oltre quattrocento
pagine, che ha portato a casa l'edizione 2003
del prestigioso concorso, l'autore fa tuffare
una studentessa barbaricina nella realtà
torinese degli anni Settanta.
Di natura più drammatica, ma anche grottesca
e attuale, è l'ultimo libro di Giulio
Angioni, Assandira. Uscito nel 2004 da Sellerio,
butta l'occhio su una società basata
su tradizioni locali e regole canoniche e rigide,
che viene assaltata dal turismo più spietato
e snob, sollevando un polverone che porterà
a un tragico epilogo.
Un trattamento particolare nel panorama letterario
sardo meritano anche Nicola Lecca e Francesco
Abate. Il primo, che da qualche anno vive a
Londra, dove è membro degli Executive
Officiers per la Royal Festival Hall, ha ottenuto
prestigiosi riconoscimenti per i suoi primi
due romanzi. Nell'ultimo lavoro, Ho visto tutto
(Marsilio, 2003), il protagonista viaggia alla
ricerca del male, quel male di cui il mondo
è pieno. Il secondo, giornalista e d.j.,
con i suoi due romanzi pubblicati da Il Maestrale,
ci catapulta nella vita quotidiana, dove anche
in storie che ci sembrano semplici e conosciute
non possiamo dare mai nulla per scontato.
Ancora dai premi letterari arriva un'altra autrice
cagliaritana, Giulia Clarkson. Giornalista e
insegnante, la Clarkson ha esordito con il romanzo
Le stagioni di Flora (Mediterranea, 2001), che
ha vinto la III edizione del concorso "Le
Collane di Med". Col suo secondo lavoro,
La città d'acqua (Il Maestrale, 2003),
fa l'en plain e trionfa nella sezione giovani
del premio Grazia Deledda 2002.
Vincitore di numerosi premi e menzioni in ambito
regionale, tra cui il premio Romangia per un
romanzo scritto nel suo dialetto locale, è
Gian Carlo Tusceri. Abile nel romanzare storie
reali, e porto come esempio Le porte chiuse
(Paolo Sorba, 2003) e Pascal, mon amie (Taphros,
2004), lentamente Tusceri si sta facendo strada
nell'ambiente editoriale sardo, procurandosi
sempre più lettori.
Alla luce di tutte queste prove lampanti della
qualità delle opere che vengono fuori
dai premi letterari, crescono i concorsi in
una regione che forse, negli anni passati, ha
sottovalutato troppo, e troppo spesso, le proprie
potenzialità culturali. E così,
da qualche anno a questa parte, vediamo nascere
concorsi di poesia, di racconti, di romanzi
editi e inediti, e le case editrici più
scaltre sono pronte ad accalappiarsi gli autori
più meritevoli. È ciò che
è successo a Rossana Carcassi, che un
paio di settimane fa ha partecipato e vinto,
col romanzo inedito L'orafo, il premio Junturas
di Orani (NU), e si è aggiudicata la
pubblicazione del testo per conto del Maestrale.
Da segnalare, nello stesso concorso, l'arrivo
tra i finalisti anche di Mario Mereu, che già
nel 2000 uscì con un suo racconto nell'antologia
di giovani scrittori Parole di carta, edita
da Marsilio.
Notevole il successo di vendita per altri tre
scrittori che meritano di essere ricordati in
questa sede. Gli esordienti Maria Grazia Dessanti,
con Il mistero della Vulcan (Editorial Project,
2004) e Augusto Secchi, con I colori dell'assenza
(Frilli, 2004), e l'ennesima conferma della
scrittrice, poetessa e storica Grazia Maria
Poddighe, con il romanzo storico L'ultimo inverno
di Adelasia (Carlo Delfino, 2003).
Come
ho anticipato nelle prime righe, la poesia sarda
è spesso legata inscindibilmente alla
narrativa. Abbiamo visto quanto autori come
Salvatore Mannuzzu o Grazia Maria Poddighe,
che hanno saputo ancorare il loro nome a quello
della narrativa, abbiano tuttavia dato ottime
prove anche in versi. Lo stesso accade, seppur
ci viene da ricordarli prima come poeti che
come scrittori, per autori come Alberto Masala
(forse il più importante poeta sardo,
in questo momento), Giuseppe Tirotto, Franco
Fresi. Ma per affrontare in maniera più
completa e critica la poesia sarda contemporanea,
rimando a un'antologia curata da Raimondo Manelli,
che si offre come vetrina per i poeti sardi
del Novecento in lingua italiana: Frontespizi
(Aipsa, 2001).
Per concludere, intendo salutare, da buon sardo,
con un accenno al reparto storico della saggistica
isolana. Maestro indiscutibile di tutti gli
studiosi delle origini e della civiltà
sarde, è senza dubbio Giovanni Lilliu.
Classe 1914, fondatore e direttore della Scuola
di specializzazione di Studi Sardi dell'Università
di Cagliari, ordinario di Antichità Sarde
e preside della Facoltà di Lettere e
Filosofia presso il medesimo ateneo, nonché
accademico dei Lincei e archeologo di fama internazionale,
Lilliu ha dato alla luce un volume unico, una
bibbia per gli studiosi della civiltà
nuragica, che nell'anno in corso Il Maestrale
ha ristampato in una nuova edizione di 960 pagine:
La civiltà dei sardi.
Si pone in un'angolatura differente, ma sempre
legata alla cultura nuragica, l'opera di Mauro
Aresu, studioso, archeologo e "sensitivo".
Con Uomoterra (Ago e Filo, 1995), giunto oggi
alla terza edizione, con una rilegata a tiratura
limitata, Mauro Aresu riesce a produrre quasi
un caso letterario. Egli analizza la presenza,
le costruzioni, le abitudini, gli stimoli dei
sardi d'età nuragica, attraverso il loro
rapporto con la terra, affermando che "la
vita sociale dei nuragici contemplava il rispetto
delle emanazioni magnetiche del sottosuolo".
E con i due volumi successivi, Itinerando nella
Gallura Antica vol. I e vol. II (Ago e Filo,
del 1998 il primo e del 2000 il secondo), scritti
con Francesco Nardini, riporta una guida dettagliata
dei siti archeologici più importanti
del Nord Sardegna, creando una sorta di itinerario
archeologico-naturalistico.
Ben diversa è la natura, l'impostazione
e i temi trattati nel saggio che da due anni
a questa parte, cioè dal giorno della
sua uscita, è saldamente tra i primi
posti delle vendite dei libri sardi, e ha suscitato
la curiosità veramente di tutti, dai
più semplici lettori ai più grandi
storici. Sto parlando de Le colonne d'Ercole
(Nur Neon, 2002), il volume in cui l'autore
sembra farci credere ciò che alle orecchie
di tutti sembra solo una divertente e fantasiosa
trovata commerciale, quella di identificare
la Sardegna con Atlantide (o meglio, con l'isola
di Atlante, come egli stesso la definisce),
ma che attraverso una serie di accurate ricerche,
citazioni e mappe antiche, apre una vera e propria
inchiesta sulla protostoria sarda, e segna probabilmente
l'esordio più importante in assoluto
di questi ultimi anni, quello di Sergio Frau.
© Marco Nardini
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