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Tematiche della poesia di Saffo e ripresa della sua figura nella poesia tra '800 e '900
di Sabrina Abeni
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PRIMA PARTE: LA POESIA DI SAFFO E IL TIASO NELLA GRECIA ARCAICA
CAP. 1: LA FUNZIONE EDUCATIVA DELLE COMUNITÀ FEMMINILI.
Nella Grecia arcaica le comunità maschili svolsero un ruolo rilevante per l'educazione dei ragazzi in vista dell'attività militare.
In età antica ad esse si affiancavano le organizzazioni femminili la cui importanza, probabilmente, non era di molto inferiore a quella delle comunità maschili.
Le poche testimonianze riguardo a questo tipo di comunità, rispetto a quelle maschili, sono dovute al fatto che la comunicazione letteraria in Grecia era quasi esclusivamente appannaggio degli uomini, ai quali erano preclusi i culti femminili e i luoghi deputati dell'educazione delle giovani donne.1
Le maggiori notizie di queste istituzioni cultuali destinate anche all'educazione femminile provengono da Sparta; tra queste il Partenio del Louvre (fr.3 Calame), carme lirico per un coro di ragazze, on occasione forse della celebrazione di un rito in onore di Artemide Orthia.2
In questa composizione si parla di due fanciulle che non si lasciano più affascinare dalle grazie delle loro compagne, perché prese dall'amore l'una per l'altra.
Le altre fanciulle invano cercano d'attirare la loro attenzione ("...vergine sono e dalla trave ho blaterato invano"), l'amore delle due giovani desta il dolore delle compagne, che riescono a placare solo grazie alla visione della loro bellezza ("ma solo in virtù di Agesicora le giovinette conseguono l'amabile pace.")3
Da questo partenio possiamo comprendere non solo come l'amore omoerotico, tipico delle comunità maschili, fosse normalmente accettato anche in quelle femminili, con una più o meno esplicita valenza paideutica e in associazione con il culto della bellezza.
Da questo testo si comprende inoltre come la contestualizzazione sociale dell'omoerotismo femminile avesse luogo in comunità di tipo religioso, legate cioè alla pratica del culto.
Ogni comunità era infatti legata ad una divinità, a cerimonie comuni, a un linguaggio "convenzionale" e, in alcuni casi rispondeva anche a coerenti propositi etico-politici.4
Tutto ciò costituiva un'educazione iniziatica che preparava le fanciulle sia alla loro funzione pubblica, in quanto attendenti a un culto, sia alla vita matrimoniale, insegnando loro a vestirsi con eleganza, a comportarsi appropriatamente al proprio rango sociale (poiché queste comunità, per quanto ne sappiamo, raccoglievano ragazze di estrazione aristocratica), ad imparare il linguaggio gestuale dell'eros, anche ai fini della loro vita coniugale, e in alcuni casi ad apprezzare e praticare la mousikè, ossia l'unione di testo poetico e musica.
Da una parte quindi il tìaso (useremo questa definizione convenzionale, sebbene si tratti di un termine piuttosto tardo) si presentava come organismo utile alle esigenze della società, dall'altra invece appariva come un microcosmo autosufficiente, che racchiudeva in sé diverse sensazioni, come lo stupore davanti alla visione della bellezza, il dolore del distacco al momento delle nozze, la confessione erotica, le gelosie, le ripicche e le irrisioni.
Il matrimonio era il momento di mediazione tra il tìaso e la società, l'occasione in cui la ragazza lasciava il gruppo in cui era cresciuta e con cui aveva condiviso parte della propria vita.5
Le altre giovani l'accompagnavano fino all'ingressi dell'abitazione dello sposo e, per tutto il tragitto, intonavano canti epitalamici.
Accanto agli epitalami, un altro genere tipico di queste occasioni e il canto di conforto, con lo scopo di consolare le ragazze che debbono separarsi dalla compagna.6
In genere veniva commissionato un poeta per la loro composizione (come Alcmane); nel caso della comunità saffica i canti erano scritti da chi ne viveva direttamente esperienza, lasciando trasparire i veri sentimenti provati all'interno di questi circoli.
Il tìaso di Saffo non era quindi che uno dei tanti della Grecia, così come omoerotismo femminile non era una pratica esclusiva dell'isola di Lesbo.
CAP. 2: SAFFO E IL SUO TIASO.
Saffo nacque ad Ereso, nell'isola di Lesbo, verso il 650 a.C. da Scamandrino e Cleide.
Rimase orfana di padre quand'era bambina e viveva a Mitilene quando andò in sposa a un ricco possidente da cui ebbe una figlia, Cleide.
Fu a capo di una comunità femminile a Mitilene, con chiare funzioni cultuali; e pare godette di una certa notorietà nell'isola.
Gli anni in cui ella visse erano di profondi rivolgimenti politici nell'isola di Lesbo, ma dalle opere della poetessa non traspare un grande interesse per le vicende politiche dell'isola (a differenza di Alceo, suo conterraneo), anche se ella dovette subire un periodo d'esilio in Sicilia.
Le uniche volte in cui vi allude sono quando critica la politica d'austerità promossa da Pittaco, quindi il blocco delle importazioni d'oggetti preziosi dalla Lidia.
Ciò probabilmente accadeva per tutte le donne che, confinate nel tìaso, potevano percepire delle vicende politiche solo il lato esteriore; infatti secondo Della Corte, il concetto di potere, per esse, si traduceva semplicemente con la possibilità di possedere oggetti belli e di valore.7
Non dovrebbero esserci dubbi sul ruolo sacerdotale svolto da Saffo: nel frammento 2, in particolare, Afrodite viene invocata perché partecipi ad un sacrificio nell'ambiente di un santuario all'aperto.
Infatti nelle sue composizioni Saffo appare sempre al centro di un gruppo di fanciulle che vanno e vengono continuamente (il momento in cui una ragazza lascia le altre corrisponde spesso a quello delle nozze); inoltre a Lesbo esistevano altri circoli femminili: dai frammenti possiamo sapere che c'erano donne considerate da Saffo rivali, come Gorgo e Andromeda.
Sebbene in mancanza d'espliciti riferimenti nella frammentaria poesia di Saffo a rapporti sessuali tra le componenti della comunità femminile, molti sono gli elementi allusivi che inducono a individuare nell'omoerotismo uno strumento privilegiato di trasmissione dei valori paideutici nei quali il gruppo s'identificava, come del resto accadeva nei circoli aristocratici maschili, come è documentato dalla letteratura simposiale arcaica (Teognide, Anacreonte, ecc...).
Il tìaso di Saffo inoltre era ritenuto privilegiato dalle sue componenti, in quanto posto sotto la protezione di Afrodite e delle Muse; i rapporti omosessuali al suo interno erano favoriti dalle divinità.
Grazie a questo privilegio esse eccellevano nella grazia del portamento e nella raffinata educazione; la protezione delle divinità seguiva le componenti del gruppo anche dopo la morte, omento in cui sarebbero state premiate con un aldilà di serenità.
Il significato religioso di questa esperienza emerge dal frammento 55:
Tu giacerai morta né alcuna memoria di te mai resterà
in futuro: ché tu non hai parte delle rose della
Pieria, ma anche nella casa di Ades vagherai oscura fra
le ombre dei morti, sospesa in volo lungi da qui.8
Probabilmente quest'ode era indirizzata a una donna incolta ed estranea al tìaso saffico; ella non può godere dello stesso privilegio, perché non ha compiuto nulla di cui si possa avere memoria in futuro, ciò che invece Saffo ha fatto con la sua poesia, frutto del forte legame con le Muse.
La morte in questo modo non è più orribile, ma diventa semplicemente il momento di trapasso a una gloriosa vita ultraterrena.9
CAP. 3: DESTINAZIONE E TEMI DELLA POESIA SAFFICA.
Con Saffo si ha un fenomeno di autocommittenza, in quanto le sue poesia erano destinate in primo luogo alla comunità in cui nascevano, per essere eseguite e cantate durante i riti che vi si svolgevano.
I suoi canti sono caratterizzati da una notevole varietà di temi e di moduli espressivi e da rigore della struttura, poiché ogni tema è adeguato a un pertinente percorso formale.
Inoltre gli accenni di Saffo alla sua gloria fanno pensare che i suoi carmi fossero conosciuti anche al di fuori del tìaso e di Mitilene: essi potevano essere eseguiti in occasione di matrimoni o feste pubbliche.
I principali temi della poesia di Saffo sono i suoi amori e contrasti, i piaceri e i dolori del tìaso, la passione per un'allieva favorita, la gelosia per una rivale.
Le ragazze da lei amate sono diverse: a noi è giunta notizia di Anattoria, Gongila, Atthis, Mica, Pleistodica e Irene.
Ci sono giunti anche i nomi di due sue rivali, probabilmente a capo di altre comunità femminili: Andromeda (che Saffo deride per la rusticità dei modi) e Gorgo.
Le fanciulle che lasciano il tìaso di Saffo per un altro e che amano donne degli altri gruppi vengono viste come traditrici della comunità e delle divinità che la proteggono.
La specificità della situazione entro la quale la sua poesia nasce la porta a evidenziare le tensioni della sua psiche, in modo che non trova riscontri nel resto della produzione poetica arcaica.
Nella cultura greca il rapporto tra un giovane (eròmenos) e una persona più matura (erastès) costituiva un mezzo educativo istituzionalizzato, almeno negli ambienti aristocratici; quindi la diversità di Saffo non è nel suo rapporto omoerotico con le fanciulle del tìaso, bensì nel fatto che ella viva questa esperienza con un forte scarto tra la funzione istituzionale dell'eros e le sue valenze sentimentali, così da determinare e descrivere spesso una situazione di sofferenza e nevrosi.
Proprio questo scarto nevrotico determina la singolarità della poetessa di Lesbo nel panorama lirico greco arcaico, e costituisce l'elemento più caratterizzante della sua creazione poetica.10
Secondo Page, il giudizio sulla poetica e sui sentimenti di Saffo è stato per lungo tempo distorto dal pregiudizio riguardo al suo contesto sociale e alla sua moralità.
La causa sarebbe da addurre al prestigio di cui godevano le idee di Wilamowitz, secondo il quale Saffo sarebbe stata un esempio di virtù morale e sociale , con un effetto di fraintendimento generale dell'intera produzione poetica di Saffo.
Egli avrebbe considerato la poetessa come un'insegnante che da' lezioni d'elevazione morale, sociale e letteraria, un rispettato membro della società.11
Page, invece, sottolinea la passione dell'amore che ella dimostra verso le ragazze, la profonda commozione che prova davanti alla loro bellezza.
Egli non dubita dell'attrazione omoerotica che Saffo sente nei loro confronti, poiché ella non ci dice nulla riguardo alle loro qualità morali, spirituali o intellettuali, mentre descrive con un'estatica emozione il loro aspetto, la loro grazia e il suo travolgente tormentoso sentimento alla loro vista.12
Page inoltre cerca di dare alla poesia di Saffo una dimensione più privata e ristretta a un numero limitato di persone.
In realtà nella poesia saffica convivevano sia l'aspetto istituzionale (legato quindi al concetto di comunità) sia quello individuale: l'uno era inscindibile dall'altro.
Infatti la sua produzione era soprattutto indirizzata verso un'educazione al sentimento, che faceva parte di una paideia più generale; anche nel momento in cui esprimeva pubblicamente le proprie passioni, ella si presentava come un modello da imitare.
Per cui la concezione piuttosto intimistica di Page sarebbe un po' prematura, se rivolta a quel contesto storico; quelli di Saffo non sarebbero assimilabili agli sfoghi lirici moderni, poiché nella cultura greca arcaica non esisteva ancora una netta separazione tra la sfera individuale e quella sociale: i sentimenti erano ritenuti come parte integrante nell'educazione femminile, poiché legavano la donna all'oikos e alla sfera degli affetti domestici, aiutandola così a svolgere il suo ruolo sociale.
3.a. L'Ode ad Afrodite: la funzione della divinità e la reciprocità del sentimento.
Fr.1
Immortale Afrodite dal trono variopinto figlia di Zeus,
tessitrice d'inganni, io ti supplico: non prostrare con ansie
e con tormenti, o dea augusta, l'animo mio,
ma qui vieni, se mai altra volta, udendo la mia voce di
lontano, le porgesti ascolto, e lasciata la casa del padre
venisti
aggiogando un carro d'oro; e passeggeri leggiadri ti guidavano
veloci al di sopra della terra nera con fitto battito d'ali
giù dal cielo per gli spazi dell'etere.
E subito giunsero, e tu, o beata, sorridendo nel tuo volto
Immortale mi domandasti che cosa di nuovo soffrivo e
perché di nuovo t'invocavo
e che cosa col mio animo folle volevo che più di ogni altra
si realizzasse per me: "Chi di nuovo debbo indurmi
a ricondurre al tuo amore? Chi, o Saffo, ti fa torto?"
Perché se fugge presto inseguirà, se dono non accetta
Anzi donerà, se non ama presto amerà pur contro il suo
volere".
Vieni a me anche ora e liberami dai tormentosi affanni,
e tutto ciò che il mio animo brama che per me si avveri,
avveralo tu, e tu stessa sii la mia alleata.
Questa composizione presenta la struttura di un'ode cultuale.
L'apparizione di Afrodite in questo caso si presenta come mediazione divina in una situazione tipica, come quella della sofferenza per il rifiuto dell'amata.
Le epifanie divine sono frequenti nella cultura greca; esse sono simili ai sogni, entrambi tendono a riflettere gli schemi tradizionali di una civiltà.
Non è da escludere, inoltre, che le apparizioni delle divinità fossero sentite come reali.13
Nella poesia saffica sono frequenti le epifanie e le visioni oniriche, soprattutto di Afrodite.
Il frammento 1 si presenta come una richiesta d'aiuto alla dea.
Vi troviamo una lunga descrizione dell'epifania, in cui Afrodite viene vista scendere dal cielo su un carro guidato da passeri (animali a lei sacri), in risposta alle suppliche della poetessa.
L'amore viene espresso in forma drammatica dalle parole della dea e il suo atteggiamento affettuoso verso Saffo è certamente anticonvenzionale rispetto alle tradizionali descrizioni di epifanie.
I sentimenti descritti non sono però solo espressione di vicende reali della vita nel tìaso, ma s'inquadrano anche in un preciso contesto rituale, per questo motivo viene scelto lo schema della preghiera alla divinità.
Saffo, in questo caso, si rivolge ad Afrodite, poiché un nuovo amore la fa soffrire, e chiede di liberarla dai suoi affanni, come aveva già fatto altre volte, persuadendo al suo amore la ragazza oggetto di desiderio.
Page, nella sua interpretazione dell'ode, sottolinea la triplice ripetizione della parola "di nuovo" nel discorso di Afrodite.
Egli contesta la banalizzazione interpretazione di Wilamowitz, secondo cui l'anafora dell'avverbio "di nuovo" sarebbe dovuta al fatto che Afrodite ripete le domande perché Saffo non è in grado di risponderle.
In realtà, secondo Page, l'insistita reiterazione del "di nuovo" nelle domande della dea sottolinea allusivamente il fatto che quella non è la prima volta che Saffo le chiede aiuto.
Ciò, secondo lo studioso, starebbe a significare un insieme di emozioni, in particolare indignazione e impazienza, espresse dalla dea.
Saffo vorrebbe quindi suggerire un tono di rimprovero e impazienza nelle parole di Afrodite.14
Allo stesso tempo però la dea pare essere anche dolce e confidenziale, come un'amica; il che non si può considerare un dato comune nella letteratura del tempo.
Ma, il rapporto tra il tìaso e Afrodite era sentito da Saffo e dal suo gruppo come un'esperienza privilegiata, che portava a una più intima comunione con la divinità.
L'eleganza, la grazie e la leggiadria sarebbero il segno inconfutabile della presenza e della benevolenza della divinità.
Ed è in questo senso che la triplice ripetizione del "di nuovo" da' maggior concretezza all'evento epifanico, trasformandolo da fatto eccezionale in esperienza quasi quotidiana: è solo in virtù del fatto che l'evento sia già accaduto precedentemente che il desiderio diventa più durevole e certo.
A questo scopo Saffo trasferisce la divinità del mito nella vita quotidiana del tìaso, in modo che non abbia più l'aspetto distaccato e inavvicinabile che hanno gli dei dell'epos arcaico, ma di una divinità comprensiva, amichevole e indulgente.
Inoltre rievocare un'immagine gradita come quella dell'epifania di Afrodite, assume anche una funzione liberatoria.
Infatti Saffo definisce il suo animo turbato come "folle": ella si trova in uno stato di agitazione insistente e ossessiva, indotta dal rifiuto della ragazza amata.
Avviene dunque che l'elemento erotico è subordinato allo stato di ossessiva insistenza della poetessa; in tal modo l'eros si sovrappone alla nevrosi, cioè una situazione di forte dissociazione di fronte ai dati del reale.15
In questo caso la funzione della preghiera è quella di uscire dal cerchio esasperato del proprio io, per rivolgersi ad un interlocutore che si sente come affidabile e che può risolvere il problema.
L'ansia così si risolve nell'atto stesso di pregare e grazie alla promessa della dea.
Inoltre il fatto che situazioni analoghe si siano già presentate tra la poetessa ed alcune componenti della sua comunità è rassicurante, perché da' la speranza che anche in questo caso l'intervento della dea possa ristabilire, come in precedenza, un "giusto" equilibrio.
Secondo Page, Afrodite appare un po' divertita dalla preoccupazione di Saffo; ciò sarebbe un segnale di una certa capacità d'autocritica e d'autoironia della poetessa, che vedrebbe nella dea una parte di sé più razionale16, che sorriderebbe nel vedersi soffrire per amore.17
Quindi egli afferma che Saffo, in realtà, non prenderebbe molto seriamente le sue pene d'amore e le sue conquiste.
Certamente in quel momento il dolore della poetessa è autentico, ma probabilmente ella comprende allo stesso momento la vanità e l'instabilità della sua passione.
Parlando invece della non corresponsione dell'amore da parte della ragazza amata, ciò che viene visto come una forma di adikìa, vale a dire d'ingiustizia non solo nei confronti di Saffo, ma anche verso l'intera comunità e la divinità stessa.
Quindi colei che non ricambia l'amore fa torto sia a Saffo sia ad Afrodite, e il suo atteggiamento comporta un distacco dal gruppo.
Per questo motivo Afrodite decide che ella dovrà amare, senza tener conto del suo volere.
3.b. L'Ode ad Anattoria. L'ideale superiore della bellezza e dell'amore.
Fr.16
Alcuni dicono che sulla terra nera la cosa più bella sia un
esercito di cavalieri, altri di fanti, altri di navi, io invece
ciò di cui uno è innamorato;
ed è assolutamente facile farlo intendere a chiunque: perché
colei che di gran lunga superava in bellezza ogni essere
umano, Elena, abbandonato il suo sposo impareggiabile
traversò il mare fino a Troia né si ricordò della figlia e
degli amati genitori: lei... disviò
(Cipride), che inflessibile (ha la sua mente)...facilmente
...(così) ella ora mi ha fatto ricordare di
Anattoria lontana,
di cui vorrei contemplare il seducente passo e il luminoso
scintillio del volto ben più caro che i carri della Lidia e i fanti
che combattono in armi.
(Gli uomini) non possono mai essere (del tutto felici), ma possono
pregare di aver parte...
In quest'ode Saffo espone la sua gerarchia di valori, condivisa dal mondo femminile arcaico: in questo caso espone che cosa sia per lei la cosa più bella.
Saffo oppone la sua visione femminile a quella maschile e dominante, elenca tutto ciò che per la concezione tradizionale e guerresca poteva esserci di più straordinario, come un esercito, dei carri e delle battaglie.
Saffo espone così una sua concezione personale che però ritiene, alla luce del buon senso, come comprensibile per chiunque, o almeno per le persone del suo stesso sesso.
Per illustrare meglio la propria concezione e anche per rimandare il momento in cui pronuncerà il nome dell'amata (creando un effetto di suspense), Saffo introduce il mito d'Elena.
Ella rappresenta l'incarnazione del bello e dell'amore (i due valori cardini secondo Saffo): la sua passione per Paride viene presentata come un'esperienza unica e irripetibile, che vivrà nel ricordo come qualcosa di duraturo.
Elena però non aveva scelta, poiché il suo amore non viene presentato come sentimento interiore o libera inclinazione, bensì come una forza ineluttabile, esterna, imposta da un dio.
Se questo sentimento fa dimenticare ad Elena tutto ciò che aveva di più caro, lo stesso amore coniugale e l'affetto di madre, d'altra parte fa ricordare a Saffo l'immagine della persona amata, configurandosi quindi come memoria di un passato che rivive nel presente.18
L'amore diventa inoltre passione per ciò che è luminoso e sua ricerca, la continua speranza di visualizzare l'immagine che appaga; quindi non è importante possedere ciò che si ama, quanto fruire della visione della sua bellezza.
La rievocazione della figura di Anattoria ha anche una funzione liberatoria per Saffo, consolandola della sua mancanza, ma soprattutto Anattoria viene presentata come un esempio di paideia perfettamente compiuta: dopo essere stata educata al sentimento e alla femminilità, ella ha lasciato il tìaso probabilmente per affrontare il suo ruolo di moglie e madre.
3.c. I frammenti 31, 47, 130: l'amore come malattia.
Fr.31
Mi sembra pari agli dei quell'uomo che siede di fronte
a te vicino ascolta te che dolcemente parli
e ridi di un riso che suscita desiderio. Questa visione veramente
mi ha turbato il cuore nel petto: appena ti guardo
un breve istante, nulla mi è possibile dire,
ma la lingua mi spezza e subito un fuoco sottile mi
corre sotto la pelle e con gli occhi nulla vedo e rombano
le orecchie
e su me sudore si spande e un fremito mi afferra tutta
e sono più verde dell'erba e poco lontana da morte
sembro a me stessa.
Ma tutto si può sopportare, poiché...
Il frammento 31 probabilmente si riferisce a una situazione preepitalamica.
Paragonare l'uomo con la divinità, per metterne in luce l'eccezionalità, era tipico del linguaggio omerico, così come dei canti epitalamici.
Per Wilamowitz e Snell si tratta senza dubbio di un canto di nozze, ma Page si è opposto a questa interpretazione.19
Wilamowitz ha inteso questo carme come un semplice canto nuziale, rifiutando l'idea che Saffo esprimesse pubblicamente una tale passionalità in un amore, a suo parere, contro natura.20
Page invece sostiene che l'amore "lesbico" sia un dato fondamentale di questo frammento, che quindi non sarebbe di genere epitalamico.
Egli sostiene che la ragazza e l'uomo avrebbero potuto parlare tra di loro anche non in un contesto nuziale, poiché non esisterebbe una prova che a Lesbo due persone di sesso diverso non potessero avere contatti.
L'uso, inoltre, in questo conteso, del tipico paragone dello sposo alla divinità verrebbe trasferito da Page a un piano più soggettivo, poiché egli "sembra" a Saffo in questo modo, ma non è detto che lo sia veramente.
Egli interpreta quindi questo carme come una composizione destinata dalla poetessa ad un'amica; il soggetto sarebbe l'emozione che ella prova, quando vede la giovane in compagnia di un uomo.
Una terza via esegetica sarebbe invece quella di pensare che il sentimento omoerotico espresso non escluda un canto epitalamico.
Potrebbe perciò essere considerato come un carme che esprime lo struggente dolore dell'addio per una ragazza che, andando in sposa, sta per lasciare Saffo e il gruppo, oltre che la gelosia di fronte al suo incontro col promesso sposo.
Snell ha sottolineato come lo sposo e la sposa ripetano, con le loro nozze, il gamos divino tra Zeus ed Hera; perciò la descrizione dello sposo rientrerebbe nel tipico motivo dei canti epitalamici.
Ma, anche Snell ha trovato sorprendente come Saffo esprima apertamente il suo amore davanti ai coniugi; Page, in maniera più esplicita, ha espresso quest'incongruenza, ritenendo improbabile che la poetessa potesse dichiarare una tale passione, senza preoccuparsi della reazione dei presenti.21
Come si è già rivelato tuttavia, non c'era niente di anomalo, nella cultura greca, nell'esprimere pubblicamente emozioni anche così violente.
Comunque il modo in cui Saffo esprime i propri sentimenti ha sicuramente una sua originalità.
L'amore da lei espresso si confonde con la nevrosi, un'agitazione che tende a manifestarsi in modo patologico.
Saffo stessa sente e descrive la sua situazione di turbamento come fosse un malore, è consapevole della violenza delle sue reazioni.
Nella descrizione del suo stato d'animo che Saffo fa nel fr.31 possiamo trovare elementi riscontrabili nei testi della medicina ippocratica; infatti tali testi spiegano alcune malattie come l'effetto di un pensiero ossessivo, e attribuiscono situazioni di agitazione psico-fisica ad esplosioni emotive forti e incontrollate.
Questo parallelismo con testi di tipo "medico" emerge anche dal modo in cui nel frammento è disposta la descrizione dei sintomi, come in un elenco clinico, senza uno stile ornato.22
Saffo sente la sua solitudine non solo causata da un'occasione esterna, ma anche dalla sua dissociazione, che ella stessa avverte e descrive come malattia.
La novità s'individua quindi nella straordinaria capacità d'approfondimento dell'auto-percezione, e nel grande sviluppo dei mezzi espressivi.
Come forse nessun altro prima di lei, Saffo è capace d'inglobare il dato esterno nella sua soggettività.
Infatti Snell rintraccia nel carme due aspetti differenti: il canto è stato composto per una determinata occasione, in un contesto sociale, in quanto l'uomo greco arcaico era molto legato alla comunità in cui viveva; ma chi parla è un singolo individuo, che esprime i propri sentimenti e le proprie sensazioni personali a un pubblico.23
Quindi, se da un lato la poesia di Saffo rispetta gli schemi convenzionali e le tradizionali immagini poetiche, dall'altro la sua è una produzione strettamente individuale, in cui vengono espressi sentimenti originali.
Ella ci dimostra, in questo modo, come la consuetudine letteraria non sia un ostacolo, anzi favorisce le espressioni di nuovi contenuti.
La convenzione si troverebbe nel tipico motivo del lamento delle compagne che dicono addio alla sposa, ma Saffo usa questo schema per poter esprimere il suo tormentoso sentimento.
Altri due frammenti significativi per poter comprendere meglio la concezione dell'eros in Saffo sono il 47 e il 130.
Fr.47
...Eros ha squassato il mio cuore, come raffica che
irrompe sulle querce montane...
Fr.130
Di nuovo mi assilla Eros che scioglie le membra, dolceamara
invincibile creatura; ma tu, o Atthis, ti sei stancata
di pensare a me, e voli verso Andromeda.
L'eros viene paragonato a un forte vento che agita violentemente oppure, inserendosi nel solco della tradizione epica rappresentata da Omero ed Esiodo, è visto come colui che "scioglie le membra".
In questo modo, Saffo vuole esprimere la sua impotenza di fronte alla passione.
A sua volta però introduce un nuovo ossimoro, definendo l'amore come una creatura "dolceamara"; in questo modo ella, pur riprendendo una tradizionale concezione dell'eros come forza distruttiva, introduce una componente nevrotico-patologica che in altri autori arcaici non si riscontra.
3.d. Il frammento 94: la memoria del passato che rivive nel presente.
Fr.94
...sinceramente vorrei essere morta. Lei mi lasciava
piangendo
a lungo, e così mi disse: "Ah! Che pene spaventose
soffriamo, o Saffo. Davvero contro il mio volere ti lascio."
Ed io così le rispondevo: "Va e sii felice e di me serba
memoria: tu sai quanto ti volevamo bene;
ma se non ricordi, allora io voglio farti ricordare
...tutti i momenti...e belli che abbiamo vissuto
insieme:
(ché) accanto a me tu ponesti (sul tuo capo molte
corone) di viole e di rose e di crochi (?)
e intorno al collo delicato molte collane conserte fatte di
fiori (incantevoli)
e con unguento floreale... e regale ti profumasti
e su morbidi giacigli... delicat-... placavi il
desiderio...
e non c'era (festa?) né sacrificio né da cui non
fossimo assenti,
non bosco, non danza... fragore (dei crotali).
Nei suoi carmi Saffo mostra sempre una grande attenzione per il presente e il quotidiano, che la porta ad un'accentuata sensibilità verso il tempo vissuto.
A questo proposito, secondo Di Benedetto le invenzioni espressive più importanti che insieme caratterizzano la sua poesia sono:
a) il richiamo al tempo della giovinezza, attraverso l'esperienza diretta delle giovani allieve;
b) il recupero, attraverso l'immaginazione, di un passato più prossimo, confrontato col presente;
c) il senso del fluire e della provvisorietà del presente.24
Saffo stabilisce quindi un rapporto tra la sua giovinezza passata e quella attuale delle ragazze.
Ciò accadrà anche in futuro, quando quelle fanciulle, non più giovani, ricorderanno il tempo attuale, e in questo modo prolungheranno il presente e la giovinezza.
Nel frammento 94 viene descritto l'addio a un'allieva che sta per abbandonare il tìaso (probabilmente per sposarsi).
Saffo cerca di consolarla ricordandole i momenti felici passati insieme.
Si ha perciò una rievocazione del passato attraverso la memoria, che si presenta, nel discorso di Saffo, paradigmatico per tutte le fanciulle del tìaso che un giorno dovranno allontanarsi dalle altre per andare in spose.
Il discorso dovrebbe avere una funzione consolatoria sia per la ragazza, sia per la poetessa, ma alla fine resta pur sempre la sofferenza del presente.
Page vede però nell'atteggiamento di Saffo verso la giovane un certo "self-control", in ragione della sua capacità di dare consigli nel momento del distacco.
L'unica veramente disperata in quella situazione sarebbe perciò la fanciulla.
La tristezza raggiunge la poetessa solamente in un secondo momento, l'affermazione "sinceramente vorrei essere morta" viene pronunciata solo nell'istante in cui Saffo ricorda la scena della partenza.
Ma, per Page, la descrizione dell'addio sarebbe soprattutto un pretesto convenzionale per descrivere i piaceri e le gioie del tìaso.25
Proprio all'interno di questa descrizione, troviamo delle parole che dovrebbero confermare l'esistenza di rapporti omosessuali nel tìaso: "e su morbidi giacigli... placavi il desiderio".
Probabilmente ciò che sta alla base di questo frammento è il desiderio di prolungare il ricordo e di trattenerlo con l'immaginazione, pur continuando ad essere consapevole della precarietà del presente.
CAP. 4: L'ORIGINALITÀ DI SAFFO.
Saffo si distingue dagli altri poeti del periodo arcaico per la sua relativa autonomia dai valori tradizionali e la predilezione per la tematica erotica e introspettiva.
Ella sembra modificare la tradizionale concezione fisica e oggettiva dell'amore, in favore di una sua visione più soggettiva e vissuta.
Ma, in lei il tormento amoroso non rompe l'equilibrio della sua lirica, non ne pregiudica l'armonia.
L'originalità di Saffo consiste inoltre nel sostituire all'equilibrio statico della poesia arcaica, il quotidiano, il dinamico e l'alternanza della gioia e del dolore.
Proprio il mutamento degli stati d'animo porta a una vena d'inquietudine nella sua poesia.
Tale tendenza introspettiva non si ferma però, al livello individuale, ma, secondo uno schema tipico della poesia arcaica, è trasferibile, come un'esperienza condivisa, sul piano sociale del gruppo: si potrebbe dire che l'introspezione di Saffo miri a contagiare il suo pubblico.
SECONDA PARTE: LA FIGURA DI SAFFO NELLA POESIA TRA OTTOCENTO E NOVECENTO
CAP. 5: SAFFO ASSOCIATA ALLA SENSIBILITÀ ROMANTICA.
La lirica e la personalità di Saffo hanno particolarmente affascinato i poeti romantici e decadenti, che di lei hanno preferito cogliere il lato più introspettivo, inquieto e sofferente.
Ciò che ha portato il Romanticismo a privilegiare la poetessa di Lesbo tra tutti gli altri lirici greci, è stato probabilmente il fatto che ella più di ogni altro aveva saputo trattare il sentimento amoroso con una profonda partecipazione interiore.
Inoltre, alla luce della sensibilità romantica, ella veniva considerata una figura trasgressiva, rivoluzionaria, prototipo antico delle idee dei poeti anticonformisti.
Chiaramente l'immagine della poetessa viene distorta, adattata ai turbamenti dell'epoca moderna, spesso usata come alter-ego del poeta.
L'uso che ne viene fatto è di tipo simbolico, che poco ha in comune con la reale figura di Saffo, ma riflette spesso il pensiero e le immagini della poetica dell'autore moderno.
Gli autori che ho scelto per illustrare la popolarità che ella ebbe nell'immaginario poetico romantico e decadente, sono Giacomo Leopardi (1798-1837), Charles Baudelaire (1821-1867), Gabriele D'Annunzio (1863-1938) e Algernon Charles Swinburne (1837-1909).
5.a. Giacomo Leopardi e L'ultimo canto di Saffo: l'esasperazione della disperazione d'amore.
Placida notte, e verecondo raggio
Della cadente luna; e tu che spunti
Fra la tacita selva in su la rupe,
Nunzio del giorno; oh dilettose e care
Mentre ignote mi fur l'erinni e il fato,
Sembianze agli occhi miei; già non arride
Spettacol molle ai disperati affetti.
Noi l'insueto allor gaudio ravviva
Quando per l'etra liquido si volve
E per li campi trepidanti il flutto
Polveroso de' Noti, e quando il carro,
Grave carro di Giove a noi sul capo,
Tonando, il tenebroso aere divide.
Noi per le balze e le profonde valli
Natar giova tra' nembi, e noi la vasta
Fuga de' greggi sbigottiti, o d'alto
Fiume alla dubbia sponda
Il suono e la vittrice ira dell'onda.
Bello il tuo manto, o divo cielo, e bella
Sei tu, rorida terra. Ahi di cotesta
Infinita beltà parte nessuna
Alla misera Saffo i numi e l'empia
Sorte non fenno. A' tuoi superbi regni
Vile, o natura, e grave ospite addetta,
E dispregiata amante, alle vezzose
Tue forme il core e le pupille invano
Supplichevole intendo. A me non ride
L'aprico margo, e dall'eterea porta
Il mattutino albor; me non il canto
De' colorati augelli, e non de' faggi
Il murmure saluta: e dove all'ombra
Degl'inchinati salici dispiega
Candido rivo il puro seno, al mio
Lubrico piè le flessuose linfe
Disdegnando sottragge,
E preme in fuga l'odorate spiagge.
Qual fallo mai, qual sì nefando eccesso
Macchiommi anzi il natale, onde sì torvo
Il ciel mi fosse e di fortuna il volto?
In che peccai bambina, allor che ignara
Di misfatto è la vita, onde poi scemo
Di giovanezza, e disfiorato, al fuso
Dell'indomita Parca si volvesse
Il ferrigno mio stame? Incaute voci
Spande il tuo labbro: i destinati eventi
Move arcano consiglio. Arcano è tutto,
Fuor che il nostro dolor. Negletta prole
Nascemmo al pianto, e la ragione in grembo
De' celesti si posa. Oh cure, oh speme
De' più verd'anni! Alle sembianze il Padre,
Alle amene sembianze eterno regno
Diè nelle genti; e per virili imprese,
Per dotta lira o canto,
Virtù non luce in disadorno ammanto.
Morremo. Il velo indegno a terra sparto
Rifuggirà l'ignudo animo a Dite,
E il crudo fallo emenderà del cieco
Dispensator de' casi. E tu cui lungo
Amore indarno, e lunga fede, e vano
D'implacato desio furor mi strinse,
Vivi felice, se felice in terra
Visse nato mortal. Me non asperse
Del soave licor del doglio avaro
Giove, poi che perir gl'inganni e il sogno
Della mia fanciullezza. Ogni più lieto
Giorno di nostra età primo s'invola.
Sottentra il morbo, e la vecchiezza, e l'ombra
Della gelida morte. Ecco di tante
Sperate palme e dilettosi errori,
Il Tartaro m'avanza; e il prode ingegno
Han la tenaria Diva,
E l'atra notte, e la silente riva. 26
Questa poesia, scritta nel 1822, fa parte della raccolta di Canzoni (1818-1823) e riprende la leggenda biografica secondo la quale Saffo sarebbe morta suicida per amore del giovane Faone.
Essa, insieme al Bruto minore (1821), rappresenta un momento fondamentale nello sviluppo del pensiero leopardiano, cioè il superamento del precedente pessimismo storico.
Infatti Leopardi aveva ritenuto che esistesse un'antitesi tra pensiero e ragione, tra antichi e moderni.
Gli antichi, grazie alle loro illusioni, avevano potuto compiere azioni eroiche e grandiose, erano stati più forti fisicamente e quindi anche moralmente, avevano avuto una vita più attiva che impediva loro d'accorgersi del vuoto dell'esistenza.
Col progresso della civiltà e della ragione le illusioni si erano spente, rendendo i moderni incapaci di azioni eroiche e favorendo invece la viltà, la meschinità, l'egoismo e la corruzione.
Scegliendo però di far parlare in prima persona due personaggi dell'antichità morti suicidi (Bruto e Saffo), egli arriva alla conclusione che l'umanità sia infelice non per regioni storiche, ma come condizione assoluta.
Non s'incolpa ancora la Natura, ma gli dei e il fato, visti come forze malvagie che perseguitano gli uomini.
Ad esse tenta d'opporsi il singolo eroe, che si ribella, difendendo la propria libertà con un gesto estremo, dandosi cioè la morte.
Leopardi riprende quindi la figura della poetessa amante della bellezza e della giovinezza, sofferente per amore, ma tralascia la convinzione saffica per la quale, anche quando la bellezza e la giovinezza se ne vanno, resta pur sempre come consolazione la capacità d'apprezzarle.
Invece il poeta ci mostra una donna completamente affranta e rassegnata a un dolore che non è solo il suo, ma quello inevitabile di tutta l'umanità; il discorso infatti passa dall'"io" iniziale al "noi".
Ella si fa portavoce del poeta: ha perso le illusioni primitive e diviene cosciente del vero.
Saffo diventa così l'emblema di una concezione universale del dolore, il suo tormento d'amore si estende alla sofferenza del genere umano.
Attraverso l'uso di metafore ardite (come "l'ombra della gelida morte") il negativo assume una forma più concreta e tangibile, mentre il linguaggio aulico ("negletta prole", "indomita Parca", "tenaria Diva") serve a dargli una
forma solennemente definitiva, così come l'uso di sentenze secche e lapidarie ("Arcano è il tutto/ fuor che il nostro dolor"/).
In alcuni versi però il poeta si abbandona al vagheggiamento di visioni idilliche ("Placida notte e verecondo raggio/ della cadente luna").
La vecchiaia viene però affrontata in questi versi come condanna; non c'è spazio per una visione privilegiata dell'aldilà, che in realtà ella esprimeva: la morte è semplicemente il nulla.
Leopardi quindi, come altri poeti dell'Ottocento, porta all'esasperazione la vena d'inquietudine e di turbamento della produzione saffica.
Non esiste più la completa fiducia nella divinità che Saffo aveva, questo perché i tempi sono cambiati e l'inquietudine dell'uomo non riesce più a trovare uno sbocco, un approdo; gli dei stessi ora condannano la poetessa in quanto essere umano, il suo talento di cui andava così fiera ormai non ha alcuna importanza, se a supportarlo non c'è più la bellezza.
Ciò che ne esce è una figura stravolta rispetto all'originale, in modo da essere più vicina alla sensibilità moderna e alle sue difficoltà.
Quella di Leopardi è una delle interpretazioni che vengono date di questo personaggio, un'altra frequente è quella di cogliere l'aspetto più propriamente erotico di Saffo, vista quindi come poetessa dell'amore e della sessualità senza freni, fino ad arrivare, in alcuni casi, alla vera e propria perversione.
5.b. Charles Baudelaire e Lesbo: l'attrazione per l'altrove.
Mère des jeux latins et des voluptés grecques,
Lesbos, où les baisers, languissants ou joyeux,
Chauds comme les soleils, frais comme les pastèques,
Font l'ornement des nuits et des jours glorieux,
Mère des jeux latins et des voluptés grecques,
Lesbos, où les baisers sont comme les cascades
Qui se jettent sans peur dans les gouffres sans fonds
Et courent, sanglotant et gloussant par saccades,
Orageux et secrets, fourmillants et profonds ;
Lesbos, où les baisers sont comme les cascades!
Lesbos, où les Phrynés l'une l'autre s'attirent,
Où jamais un soupir ne resta sans écho,
A l'égal de Paphos les étoiles t'admirent,
Et Vénus à bon droit peut jalouser Sapho!
Lesbos où les Phrynés l'une l'autre s'attirent,
Lesbos, terre des nuits chaudes et langoureuses,
Qui font qu'à leurs miroirs, stérile volupté!
Les filles aux yeux creux, de leur corps amoureuses,
Caressent les fruits mûrs de leur nubilité ;
Lesbos, terre des nuits chaudes et langoureuses,
Laisse du vieux Platon se froncer l'œil austère ;
Tu tires ton pardon de l'excès des baisers,
Reine du doux empire, aimable et noble terre,
Et des raffinements toujours inépuisés.
Laisse du vieux Platon se froncer l'œil austère.
Tu tires ton pardon de l'éternel martyre,
Infligé sans relâche aux cœurs ambitieux,
Qu'attire loin de nous le radieux sourire
Entrevu vaguement au bord des autres cieux!
Tu tires ton pardon de l'éternel martyre!
Qui des Dieux osera, Lesbos, être ton juge
Et condamner ton front pâli dans les travaux,
Si ses balances d'or n'ont pesé le déluge
De larmes qu'à la mer ont versé tes ruisseaux?
Qui des Dieux osera, Lesbos, être ton juge?
Que nous veulent les lois du juste et de l'injuste ?
Vierges au cœur sublime, honneur de l'Archipel,
Votre religion comme une autre est auguste,
Et l'amour se rira de l'Enfer et du Ciel!
Que nous veulent les lois du juste et de l'injuste?
Car Lesbos entre tous m'a choisi sur la terre
Pour chanter le secret de ses vierges en fleurs,
Et je fus dès l'enfance admis au noir mystère
Des rires effrénés mêlés aux sombres pleurs;
Car Lesbos entre tous m'a choisi sur la terre.
Et depuis lors je veille au sommet de Leucate,
Comme une sentinelle à l'œil perçant et sûr,
Qui guette nuit et jour brick, tartane ou frégate,
Dont les formes au loin frissonnent dans l'azur ;
Et depuis lors je veille au sommet de Leucate,
Pour savoir si la mer est indulgente et bonne,
Et parmi les sanglots dont le roc retentit
Un soir ramènera vers Lesbos, qui pardonne,
Le cadavre adoré de Sapho, qui partit
Pour savoir si la mer est indulgente et bonne !
De la mâle Sapho, l'amante et le poète,
Plus belle que Vénus par ses mornes pâleurs!
-L'œil d'azur est vaincu par l'œil noir que tachète
Le cercle ténébreux tracé par les douleurs
De la mâle Sapho, l'amante et le poète!
- Plus belle que Vénus se dressant sur le monde
Et versant les trésors de sa sérénité
Et le rayonnement de sa jeunesse blonde
Sur le vieil Océan de sa fille enchanté ;
Plus belle que Vénus se dressant sur le monde !
- De Sapho qui mourut le jour de son blasphème,
Quand, insultant le rite et le culte inventé,
Elle fit son beau corps la pâture suprême
D'un brutal dont l'orgueil punit l'impiété
De celle qui mourut le jour de son blasphème .
Et c'est depuis ce temps que Lesbos se lamente,
Et, malgré les honneurs que lui rend l'univers,
S'enivre chaque nuit du cri de la tourmente
Que poussent vers les cieux ses rivages déserts.
Et c'est depuis ce temps que Lesbos se lamente !
Madre dei giuochi latini e delle voluttà greche, Lesbo, dove i baci languidi o gioiosi, caldi
come i soli, freschi come i cocomeri, adornano le notti e i giorni splendidi-
Madre dei giuochi latini e delle voluttà greche-,
Lesbo, dove i baci sono come le cascate che si gettano arditamente nei gorghi senza
fondo e corrono singhiozzando e chiocciolando a scatti, impetuosi e segreti, brulicanti
e profondi;- Lesbo, dove i baci sono come le cascate!
Lesbo, dove le Frini si attirano e un sospiro non è mai senza eco, le stelle t'ammirano
come Palo, e Venere può ben essere gelosa di Saffo!- Lesbo, dove le Frini si attirano!
Lesbo, terra dalle notti languide e calde, che inducono le fanciulle dagli occhi incavati,
innamorate dei propri corpi, a carezzare i frutti amari della loro verginità davanti
ai propri specchi- o sterile ebbrezza!- Lesbo, terra dalle notti languide e calde!
Lascia che l'occhio austero del vecchio Platone si corrughi;
ottieni il tuo perdono con la stessa abbondanza dei baci, o tu, Regina del dolce impero
e delle inesauribili raffinatezze, amabile e nobile terra.- Lascia che l'occhio austero
del vecchio Platone si corrughi.
Tu ottieni il perdono dall'eterno martirio, inflitto senza tregua ai cuori ambiziosi,
che allontana da noi il radioso sorriso vagamente intraveduto al limite di altri cieli.
- Tu ottieni il perdono dall'eterno martirio!27
Questa poesia fu una di quelle condannate nel processo del 1857, intentato contro I fiori del male di Baudelaire.
Essa era stata precedentemente pubblicata nel 1850, nella raccolta Les Poètes de l'Amour di Julien Lenner, senza però subire nessuna denuncia (come fece presente Baudelaire durante il processo).
Pare che il saffismo fosse di moda nelle opere letterarie del tempo, come in Mademoiselle de Maupin di Gautier, o in Sapho, dramma scritto da Philoxème Boyer e rappresentato all'Odèon quattro mesi dopo la pubblicazione di questa poesia.
Scrivendo de I fiori del male. l'autore aveva affermato: "in questo libro ho messo tutto il mio pensiero, tutto il mio cuore, tutta la mia religiosità (travestita), tutto il mio odio".28
Egli si proponeva così di "estrarre la bellezza dal Male", di proporre una poesia che fosse negazione dei valori e degli ideali tradizionali.
Nella sua opera l'uomo è sempre in conflitto tra Cielo e Inferno, egli sente da una parte il bisogno di purezza, spiritualità ed elevazione a Dio, ma dall'altra è anche attratto dal male, dal vizio e dalla degradazione.
L'amor lesbico è un tema trattato da Baudelaire non solo in Lesbo, ma anche nelle Femmes damnes e ha fornito perfino il titolo a una raccolta di poesie, Les Lesbiennes.
Uno degli aspetti della poesia di Baudelaire che emerge da questo componimento è l'esotismo, visto come attrazione sensuale per l'altrove sia geografico sia storico.
Lesbo viene raffigurata dal poeta come il luogo in cui era possibile quella spontaneità sensuale scomparsa nella società a lui contemporanea, descritta come "mère des jeux latins et des voluptés grecques".
La patria di Saffo diventa così l'esatto opposto della civiltà moderna, oppressiva e aberrante, si presenta come un mondo lontano dalle angosce urbane.
Emerge vivida una sensualità esasperata, che in alcune opere portava alla perversione, mentre in questo caso conduce alla purificazione dell'animo, nobilitando lo stesso "amor lesbico".
L'eros adolescenziale viene descritto nella sua innocenza e spiritualità.
Autrice di tutto ciò viene vista Saffo, definita uguale se non superiore ad Afrodite nel valore che ha dato all'elemento erotico.
La colpa e la ragione del "martirio" di Saffo, di cui si parla negli ultimi versi, sarebbero di aver amato un uomo (vale a dire Faone); ma ella riesce a ottenere il "perdono", perché ha sempre amato senza timore.
5.c. Gabriele D'Annunzio e Sappho: la poetessa di Lesbo come emblema del vitalismo dannunziano.
Da lunge di mill'iridi irragiata
la nivea cima de l'Olimpo appar:
con disio lento a l'isola beata
manda i suoi baci spumeggiante il mar.
Per le floride rive l'onda rotta
sussurra un canti pieno di sospir:
come strane fanciulle, vanno in frotta
auree le nubi pe'l divin zaffir.
Olezza a l'aure de gl'Iddii d'Omero
la molle ambrosia e'l nettare serene,
e s'ode intorno un fremito leggero
d'invisibili amplessi e d'ansii sen.
Già pe' taciti prati 'l rivo scende
fra' pioppi bianchi in murmure gentil;
ogni onda trema ne'sassi e s'accende
di raggianti tripudii a'sol d'april.
Sublime ride in contro a 'l sol morente
Saffo, qual Diva, ne 'l roseo fulgor:
tra le foglie de'mirti dolcemente
l'aura favonia le bisbiglia: -Amor!-
Lunga su 'l sen la chioma di viola
spira un dolce mister di voluttà;
sotto le pieghe de la bianca stola
floride balzan le caste beltà.
Ed ecco da l'incognite distanza
Corre su' venti un cantico divin,
e via per le marine lontananze
palpita ancora e si dilegua alfin.
E Saffo ascolta con disìo quel coro,
e freme, e tocca la lira fedel, guardando a'templi rifulgenti d'oro,
ai pioppi bianchi, ed a 'l seren ciel...29
Questa poesia, scritta da D'Annunzio a soli sedici anni, fu pubblicata nella raccolta Primo Vere nel 1880.
L'influenza della poesia di Baudelaire Lesbo è avvertibile nella descrizione estatica dell'isola e degli amori sbocciati tra le fanciulle.
Questi versi inoltre, così come quelli del poeta francese, ci mostrano una visione idillica dell'antica Grecia; preponderante è infatti il gusto sensuale nella descrizione del paesaggio, che incarna la voluttà della poesia.
La descrizione dell'ambiente diventa in questo modo funzionale al panismo dannunziano, cioè a una fusione ebbra tra l'io e la natura.
Il mare, le nuvole, il fiume e gli alberi sembrano incarnare la leggerezza e l'impalpabilità dell'eros, ogni loro movimento suggerisce sospiri e amplessi.
Saffo, la cui chioma viene definita "di viola" riprendendo così un verso di Alceo, viene mostrata simile a una dea (il riferimento iniziale all'Olimpo ha questa funzione), bellissima (contrariamente a quanto riferisce la tradizione), e raffigurata nell'atto di cantare i suoi versi in mezzo a questa natura idealizzata e al coro delle sue fanciulle.
Un'altra poesia in cui D'Annunzio fa riferimento a Saffo è Pamphila, raccolta nel Poema paradisiaco, pubblicato nel 1893.
In questi versi egli vede nella donna amata colei che racchiude in sé tutta l'esperienza sensuale del mondo, descritta come reincarnazione di Elena e Saffo.
...
Bacerò le sue mani, le sue mani
Esperte...
... tra le cui musiche dita
Forse in antico risonò pe' vènti
Lesbìaci una lira sul natale
Egèo dove i rosai di Mitilene
Aulivan cari a le segrete amiche
Di Saffo da la chioma di viola;30
Nuovamente ricorre l'epiteto alcaico "chioma di viola"; Mitilene è ancora mostrato come luogo mitico e vagheggiato, la cui bellezza può risorgere solo nelle mani dell'amata, così come la sensualità di Saffo rivive in Pamphila.
I temi utilizzati in questi versi sono tipici del Decadentismo francese, la cui sottile ambiguità portava a un languore voluttuoso e al vagheggiamento di un passato ormai perduto.
5.d. Charles Swinburne e Anactoria: Saffo come figura che esprime l'algolagnia del poeta.
Swinburne nasce a Londra nel 1837 da un'antica e nobile famiglia del Northumberland, ma passa i primi anni nell'isola di Wight.
Si appassionò presto alla causa d'indipendenza italiana, com'è dimostrata dalla sua Ode to Mazzini.
Diverse furono le sue fonti d'ispirazione: l'influsso del cruento Rinascimento dei drammaturghi elisabettiani, il Medioevo dei preraffaelliti (Morris, Rossetti), l'orgiastica antichità di T. Gautier, la tormentosa modernità di Baudelaire, la fatalità delle tragedie greche, l'implacabilità del Vecchio Testamento, la sensualità truce e l'estremo materialismo del De Sade.
Inoltre sulla sensibilità del poeta contribuirono molto i sistemi disciplinari di Eton (come la flagellazione) e il contatto con l'ambiente artistico preraffaellita all'università di Oxford.31
Nel 1886 vengono pubblicati per la prima volta i suoi Poems and Ballads, suscitando un grande scandalo, ma riscuotendo, allo stesso tempo, un notevole successo.
Questa raccolta di poesie è completamente dominata dalla figura della donna fatale, l'idolo sanguinario e crudele del poeta, incarnato da figure femminili come Venere (Laus Veneris), Faustina (Faustine), Erodiade, Cleopatra ed altre lussuriose regine orientali (Masque of Queen Bersabe) e soprattutto Dolores, definita come Nostra Signore dello Spasimo dei Sensi (Dolores), invocata in una preghiera, attraverso una profanazione sadica.
In particolare il sadomasochismo trova espressione in Anactoria, in cui immagina che Saffo rivolga ardite parole alla sua amata.
............................
I would my love could kill thee; I am satiated
With seeing the live, and fain would have thee dead.
............................
I would find grievous ways to have thee slain,
Intense device, and superflux of pain;
Vex thee with amorous agonies, and shake
Life at thy lips, and leave it there to ache;
Strain out thy soul with pangs too soft to kill,
Intolerable interludes, and infinite ill;
Relapse and reluctation of the breath,
Dumb tunes and shuddering semitones of death.
............................
That I could drink thy veins as wine, and eat
Thy breasts like honey! that from face to feet
Thy body were abolished and consumed,
And in my flesh thy very flesh entombed!
............................
.....O that I
Durst crush thee out of life with love, and die,
Die of thy pain and my delight, and be
Mixed with thy blood and molten into thee!
Would I not plague thee dying overmuch?
Would I not hurt thee perfectly? not touch
Thy pores of sense with torture, and make bright
Thine eyes with bloodlike tears and grievous light?
Strike pang from pang as note is struck from note,
Catch the sob's middle music in thy throat,
Take thy limbs living, and new-mould with these
A lyre of many faultless agonies?
............................
Vorrei che ti uccidesse l'amor mio:
Io sono sazia di vederti vivere
E morta ti vorrei....
Vorrei trovare dolorosi modi
Di ucciderti, ignorati e tormentosi,
Con agonia d'amore, sulle labbra
Squassare la tua vita, per lasciarla
A soffrire colà, torcerti l'anima
Con strazi troppo lenti per uccidere,
Fra tregue intollerande ed aspre doglie,
Come un respiro che si tronchi a mezzo
Di tra urlare e un gemere di morte.
............................
Ah, s'io potessi bermi le tue vene
Come vino e nutrirmi del tuo seno
Come di miele, e che dal capo ai piedi
Fosse il tuo corpo tutto consumato,
E la tua carne sepolta!
............................
Ah, s'io potessi toglierti la vita
Solo a forza d'amore, e poi morire
Del tuo tormento e della gioia mia,
Immersa nel tuo sangue e in te confusa!
Io vorrei tormentarti oltre misura!
Farti male vorrei, perfettamente,
Ricolmando i tuoi sensi di tortura,
Facendo scintillare gli occhi tuoi
Con lagrime sanguigne ed aspra luce!
Trarre vorrei tormento da tormento
Come nota da nota e vorrei cogliere
La musica celata dal singhiozzo
Nella tua gola, le tue membra vive
Prendendo, e poi con esse uno strumento
Nuovo facendo, che non falla, lira
Esperta di molteplici agonie!32
L'eterno femminino crudele in questo caso è rappresentato da Saffo; probabilmente Swinburne aveva tratto ispirazione da Les Lesbiennes di Baudelaire.
In questa poesia emergono gli elementi cannibalistici del sadismo, che pare voler inglobare in sé l'universo.
Si scopre, quindi, il legame del poeta col movimento preraffaellita e la ripresa del concetto di arte per l'arte, attraverso l'insistenza sugli elementi tecnici e sensuali di un'opera.
Vi troviamo i temi prediletti da Swinburne, come l'estasi dei sensi, la febbre dell'amore e della perdizione e l'intensità della passione.
La poesia stessa, in questo modo, nasce dalla volontà di annientare ed essere annientati dalla persona desiderata, ogni strazio provocato o subito porta alla creazione di versi sublimi.
La passione di Saffo in questa poesia rispecchia quindi quella di Swinburne, poiché è eternamente insoddisfatta, cerca invano l'appagamento attraverso il dolore inflitto e ricevuto, la fusione più completa con l'altro.
I versi di Anactoria lasceranno un segno nell'opera del D'Annunzio, in particolare nel Trionfo della morte.33
Il poeta pescarese nel Convivio definì Swinburne un poeta in cui "sembra rivivere con violenza inaudita la sensualità delittuosa che empie di urli selvaggi e di morti disperati i primitivi drammi".34
Infatti nella sua visione dell'antichità non solo esistono i tormenti moderni, ma l'inquietudine e l'ansia erotica esplodono come una forza inarrestabile e incontrollabile.
Saffo diventa in questo modo l'alter-ego del poeta, di cui riflette la sessualità turbata.
La predilezione di Swinburne per la figura della poetessa di Lesbo è dimostrata dalla sua comparsa in altre opere come Sapphics (1866) e il romanzo incompiuto Lesbia Brandon (1864-1891).
La scelta di accostarsi a Saffo probabilmente è dovuta, secondo Lafourcade, al senso d'isolamento provocato da una "differenza radicale d'emozione sessuale dal resto degli uomini".35
In Sapphics è presente una lunga e accurata descrizione dell'apparizione di Afrodite; ella in questo caso è condotta verso Mitilene da delle colombe (animali sacri alla dea).
All the night sleep came not upon my eyelids,
Shed not dew, nor shook nor unclosed a feather,
Yet with lips shut close and with eyes of iron
Stood and beheld me.
Then to me so lying awake a vision
Came without sleep over the seas and touched me,
Softly touched mine eyelids and lips; and I too,
Full of the vision,
Saw the white implacable Aphrodite,
Saw the hair unbound and the feet unsandalled
Shine as fire of sunset on western waters;
Saw the reluctant
Feet, the straining plumes of the doves that drew her,
Looking always, looking with necks reverted,
Back to Lesbos, back to the hills whereunder
Shone Mitylene;
Anche Afrodite appare nelle vesti dell'idolo swinburniano, con i capelli e gli abiti scomposti, scalza, con l'animo turbato e malinconico.
Inoltre la visione dell'arrivo del corteo divino non è idillica, bensì terribile, spettrale, accompagnata da un fulmine e da un impetuoso vento.
Heard the flying feet of the Loves behind her
Make a sudden thunder upon the waters,
As the thunder flung from the strong unclosing
Wings of a great wind.
So the goddess fled from her place, with awful
Sound of feet and thunder of wings around her;
While behind a clamour of singing women
Severed the twilight.
Ah the singing, ah the delight, the passion!
All the Loves wept, listening; sick with anguish,
Stood the crowned nine Muses about Apollo;
Fear was upon them,
While the tenth sang wonderful things they knew not.
Ah the tenth, the Lesbian! the nine were silent,
None endured the sound of her song for weeping;
Laurel by laurel,
Faded all their crowns; but about her forehead,
Round her woven tresses and ashen temples
White as dead snow, paler than grass in summer,
Ravaged with kisses,
Il corteo non è ridente, bensì si odono singhiozzi e la paura li sovrasta, mentre le corone di lauro sono ormai appassite ("faded all their crowns"), a causa del potere dei canti della poetessa di Lesbo.
L'"implacabile" Afrodite quasi singhiozza per la commozione (perdendo così le caratteristiche della serenità e dell'imperturbabilità divine), chiama disperatamente Saffo come un'amante abbandonata.
Shone a light of fire as a crown for ever.
Yea, almost the implacable Aphrodite
Paused, and almost wept; such a song was that song.
Yea, by her name too
Called her, saying, "Turn to me, O my Sappho;"
Yet she turned her face from the Loves, she saw not
Tears for laughter darken immortal eyelids,
Heard not about her
Saffo suscita emozioni violente nei presenti con la sua poesia, talmente potenti da stravolgere perfino l'imperturbabilità divina.
Fearful fitful wings of the doves departing,
Saw not how the bosom of Aphrodite
Shook with weeping, saw not her shaken raiment,
Saw not her hands wrung;
Saw the Lesbians kissing across their smitten
Lutes with lips more sweet than the sound of lute-strings,
Mouth to mouth and hand upon hand, her chosen,
Fairer than all men;
Only saw the beautiful lips and fingers,
Full of songs and kisses and little whispers,
Full of music; only beheld among them
Soar, as a bird soars
Newly fledged, her visible song, a marvel,
Made of perfect sound and exceeding passion,
Sweetly shapen, terrible, full of thunders,
Clothed with the wind's wings.
Then rejoiced she, laughing with love, and scattered
Roses, awful roses of holy blossom;
Then the Loves thronged sadly with hidden faces
Round Aphrodite,
Then the Muses, stricken at heart, were silent;
Yea, the gods waxed pale; such a song was that song.
All reluctant, all with a fresh repulsion,
Fled from before her.
Le donne di Lesbo sono descritte come avvolte in uno stato di perpetua voluttà; la loro passione è contemporaneamente estatica e dolorosa.
Quest'atmosfera d'abbandono sessuale rallegra la dea, mentre ammutolisce il suo seguito, comprese le Muse.
Ma, presto il corteo si ritira; rimane così una terra spoglia "piena di donne sterili", di cui rimangono i fantasmi, in preda ai lamenti e al tormento dei ricordi, che seguitano a intonare canti che "muovono il cuore del cielo scosso", e che spezzano quello "della terra con la commozione".
All withdrew long since, and the land was barren,
Full of fruitless women and music only.
Now perchance, when winds are assuaged at sunset,
Lulled at the dewfall,
By the grey sea-side, unassuaged, unheard of,
Unbeloved, unseen in the ebb of twilight,
Ghosts of outcast women return lamenting,
Purged not in Lethe,
Clothed about with flame and with tears, and singing
Songs that move the heart of the shaken heaven,
Songs that break the heart of the earth with pity,
Hearing, to hear them.
Sarebbe opportuno, infine, accennare all'unico romanzo scritto da Swinburne, pubblicato postumo e incompiuto, di cui alcune parti sono di dubbia autenticità, aggiunte forse dal curatore dell'edizione e fervido ammiratore del poeta, Randolph Hughes.
In esso s'intrecciano sadomasochismo, incesto ed ermafroditismo; la protagonista(Lesbia) vuole incarnare una Saffo moderna e, allo stesso tempo, ha in sé qualcosa del carattere del suo autore.
Praz definisce Lesbia Brandon come "la più notevole opera narrativa sul tema della flagellazione"37; comunque si tratta di un'opera che, come poche con lo stesso merito letterario, e stata capace di presentare in modo spontaneo le diverse idiosincrasie sessuali.
Ancora una volta fonte d'ispirazione è la figura di Saffo, trasfigurata dal poeta nella donna fatale per eccellenza, sterile e caratterizzata da un eros a tratti vampiristico!!
NOTE
1 Merkelbach, 1977, pp. 123-124
2 L'identificazione delle divinità celebrata è oggetto di discussione tra gli studiosi, anche a causa delle lacune nel testo: per l'identificazione con Artemide Orthia ved. Page 1951 in Calame 1977 (per una diversa ipotesi ved. Gentili, pp. 105-106, che pensa invece ad Afrodite
3 Gentili, 1984, pp.103-104
4 Gentili, 1984, pp.101-108
5 Gentili, 1984, pp108 ss.
6 Merkelbach, 1977, pp. 126
7 Della Corte, 1950, p.14
8 La traduzione utilizzata per le poesie di Saffo è quella di F. Ferrari del 2001
9 Gentili, 1984, pp 118-122
10 Di Benedetto, 2001, pp.11-17
11 Page, 1955, pp.110-111
12 Page, 1955, pp. 143-144
13 Gentili, 1984, pp. 110-112
14 Page, 1955, pp. 12-14
15 Di Benedetto, 2001, pp. 20-22
16 Probabilmente con questa interpretazione Page pecca di un anacronistico psicologismo moderno
17 Page, 1955, pp. 15-16
18 Gentili, 1984, pp. 123-124
19 Page, 1955, pp. 26-33
20 Merkelbach, 1977, pp. 127-128
21 Merkelbach, 1977, pp. 128-129
22 Di Benedetto, 2001, pp. 26-29
23 Merkelbach, 1977, pp. 129-130
24 Di Benedetto, 2001, p. 50
25 Page, 1955, pp. 81-83
26 G.Baldi, S. Giusto, M. Razetti, G. Zaccaria, Dal testo alla storia dalla storia al testo vol.3 - tomo primo, Torino, 1993
27 C.Baudelaire, I fiori del male, traduzione di Morozzo Della Rocca, 1957, p. 143
28 Da una lettera del 1866
29 G. D'Annunzio, Versi d'amore e di gloria, Mondadori, Milano, 1959, pp.48-49
30 D'Annunzio in La carne, la morte e il diavolo nella letteratura romantica, 1999, pp-226-227
31 Praz, 1968, pp- 178-192
32 Swinburne, trad. di Siciliani, 1999, pp. 202-203
33 Praz, 1999, pp. 226-228, p. 239
34 Praz, 1999, p. 203
35 Praz, 1999, p. 201
36 Swinburne, 1950, pp. 86-88
37 Praz, 1973, p.182
BIBLIOGRAFIA
Prima parte:
TESTO
Saffo, Poesie, a cura di V. Di Benedetto, traduzione di F. Ferrari, Milano, 2001
SAGGI E MANUALI
F. Della Corte, Saffo. Storia e leggenda, Torino, 1950
F. Ferrari, L'alfabeto delle Muse, Bologna, 1995
F. Ferrari, La porta dei canti, Bologna, 2000
B. Gentili, Poesia e pubblico nella Grecia antica, Bari, 1984
R. Merkelbach, Il circolo di Saffo, in C. Calame, Rito e poesia corale in Grecia, Bari, 1977
D.L. Page, Sappho and Alcaeus, Oxford, 1955
G.A. Privitera, Storia e forme della letteratura greca vol.1, Milano, 1997
Seconda parte:
TESTI.
C.Baudelaire, I fiori del male, Torino, 1957
G. D'Annunzio, Versi d'amore e di gloria, Milano, 1959
C. Swinburne, Poems and Prose, Londra, 1950
SAGGI E MANUALI
G.Baldi, S. Giusto, M. Razetti, G. Zaccaria, Dal testo alla storia dalla storia al testo vol.3 - tomo primo, Torino, 1993
M. Praz, La carne, la morte e il diavolo nella letteratura romantica, Milano, 1999
M. Praz, La letteratura inglese dai romantici al Novecento, Firenze, 1968
M. Praz, Il patto col serpente. Paralipomeni di "La carne, la morte e il diavolo nella letteratura romantica", Milano, 1973
A cura di Sabrina Abeni
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