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Anzitutto un ringraziamento per aver trovato l’errore: era letteratura e non lettura. E anche un grazie per la bibliografia aggiornata al 2006. Poi due precisazioni al volo e una ripetizione con spiegazione del titolo. Infine chiarirò meglio il discorso sulla fantascienza eroica sì, fantascienza eroica no. In ultimo mi permetto di fare veramente la cassandra: così , per sfizio. O semplicemente perché non sono un “vero professionista della fantascienza” quanto, piuttosto, un lettore abbastanza onnivoro.
Precisazioni:
Non mi ha dato di volta la testa quando ho scritto questo articolo (come allude nell’unica caduta di stile il signor Calabrese);
Non ho alcuna parentela con il signor Gianni Montanari (buon per lui, immagino).
Ripetizione e spiegazione del titolo:
Isaac Asimov e Stefano Benni, il padre della fantascienza eroica e il suo dissacratore.
Non volevo entrare nel merito della situazione attuale della fantascienza made in Italy, piuttosto incentravo il discorso su due autori particolari prendendo come riferimento un periodo che arrivava all’inizio degli anni ’80.
Adesso parlerò di questo termine “fantascienza eroica” il cui uso ha scombussolato il signor Calabrese, evidentemente uno dei tremila eletti il cui portafogli mantiene in vita Urania, Editrice Nord e via dicendo. Il mio articolo è nato per mettere in paragone tra Asimov e Benni, due autori totalmente diversi in tutto. E prendeva in considerazione l’unico punto di contatto tra i due, ovvero la fantascienza tutta, non solo italiana. Anche questo un paragone assurdo visti i personaggi, fattibile solo a partire da quella che io ho definito “fantascienza eroica” senza voler fare riferimento a etichette pre-esistenti. Visto però che la cosa ha creato problemi chiarisco.
Prima di tutto, cosa intendo io per “eroico”. Il romanzo ottocentesco è il racconto di una qualche vicenda incentrata su un protagonista eroico nel senso vittoriano del termine: esemplare è Robinson Crusoe., un romanzo in cui un uomo, sbattuto su un’isola deserta, riesce a dominare la natura e a vincerla (riassumo, per concisione). Era una letteratura di chiara matrice positivista, per cui il progresso era inarrestabile e il genere umano avrebbe, in un futuro lontano ma sempre più vicino, ricreato l’universo a sua immagine e somiglianza. Un genere in cui il protagonista non conosceva una vera introspezione psicologica o una qualche analisi sociologica: lui era un Eroe, simbolo del mondo moderno e quindi un maschio bianco, lanciato alla conquista del mondo conosciuto. Per questo era una letteratura eroica. Altra definizione possibile è “romanzo borghese” in quando l’eroe sarebbe l’incarnazione dei valori prettamente vittoriani, cioè positivisti, come dice Ian Watt in “Le origini del romanzo borghese”..
Perché dico “fantascienza eroica”. Secondo me la fantascienza americana degli anni ’50 si sviluppa con le stesse caratteristiche del romanzo ottocentesco, partendo da quella stessa fede quasi cieca nel progresso. Con in più la tecnologia che dà concretezza alla cosa, la rende più al passo coi tempi regalandole una sorta di pseudo-scientificità. La trilogia della fondazione è in questo senso esemplare così come gli scritti sul robot. In questi ultimi, aggiungerei, c’è l’apoteosi della fiducia nella tecnologia direttamente inversa alla sfiducia nei riguardi dell’uomo: tutto il male che avviene è sempre causato da un eroe umano, voluto o meno che sia. Insomma in “Io robot” l’eroe non è più un uomo, ma è la sua creatura perfetta, il robot. Questo per definire la “fantascienza eroica”.
Se accettiamo questa definizione di “fantascienza eroica” e rileggiamo “Terra” di Benni vediamo perfettamente come il nostro riesca a metterla alla berlina in maniera eccellente, rendendo insulsa ogni velleità di riproporre un genere esaurito da decenni.
Faccio autocritica nel senso che sarebbe stato più esatto usare il termine di “fantascienza positivista”, anche se temo che qualche altro professionista avrebbe avuto da ridire anche in questo caso: dopotutto la critica è una cosa seria… anche se serve a poco.
Adesso faccio un attimo la cassandra, anche se poi non è che voglia prevedere il futuro: secondo me la fantascienza italiana in quanto “fantascienza eroica”, “fantascienza positivista”, “fantascienza borghese” o come la volete chiamare, non ha mai avuto grandi autori o comunque delle spalle robuste e difficilmente la cosa cambierà in futuro. Certamente è esistita e esiste sotto forma di nicchia, sicuramente c’è la solita eccezione che conferma la regola, (penso a Roberto Vacca che nel suo romanzo “La morte di megalopoli” del 1974 prevede anche internet), ma si tratta sempre di qualcosa di marginale rispetto al mercato italiano. Esiste un motivo plausibile? Io credo che gli autori italiani non abbiano mai aspirato a scrivere romanzi di fantascienza eroico-positivista-borghese-ecc.: per cultura, per mancanza di questo “positivismo” di base che, oltretutto, è entrato in crisi sin da subito anche nella madrepatria yankee, per disinteresse. Però per molti anni la fantascienza in toto è stata, a torto o ragione, identificata con questa fantascienza eroico-positivista, cosa che ha creato confusione e, aggiungo, una sorta di fastidio per i nomi italiani nei cataloghi degli editori di fantascienza, specie i maggiori.
Detto questo, chiudo invitando a leggere e a proporre letture: bere e far assaggiare il vino invece di discutere sulle etichette.
A cura di Marco Montanari
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