Questo articolo in realtà vuole essere una semplice elencazione rivolta in primis (ma non solo, come vedremo poi) a chiunque – per diletto o per lavoro – voglia o debba metter penna su un qualsivoglia testo non da lui stesso scritto, cioè su un originale. Il motivo di tale elenco è semplice e facile a dirsi in poche parole: poiché si è scritto e ultrascritto a proposito di diritti e doveri di intellettuali, operai, comuni cittadini, piante, cose inanimate ed animali, si è qui ravvisata la mancanza di un qualche compendio che parlasse dell'indifeso signor Testo – cioè di un qualsiasi appartenente alla sua vastamente estesa famiglia: che sia esso uno scritto ricco o povero, purista o colloquialista, pio o ateo, purché di cittadinanza linguistica italiana e d'ordine letterario (dal componimento in verso libero alla poesia elegiaca, dalla novella autobiografica al racconto nero, dal saggio serio al sanguemisto narrativo-saggistico eccetera, passando per Sua Maestà il romanzo).
Dunque di Lui, il signor Testo e la sua schiatta, qui ora parleremo e dei suoi diritti e doveri – anzi meglio diremmo che tratteremo di come dovrebbe a nostro avviso comportarsi chi desiderasse mettergli la penna addosso per un motivo o per l'altro. Dunque, cari lettori, se l'operazione vi riguarda perché la compite o la vorreste compiere, leggete e pensateci su professionalmente; se siete degli autori, leggete questo articolo per prender coscienza di quelli che sono in buona parte anche i vostri stessi diritti e doveri. Non siete degli addetti ai lavori? Be', allora meditateci sopra quando acquistate un libro; qualsiasi libro oggi infatti non è piú il frutto dell'opera di chi ci scrive sopra il proprio nome e cognome o nome d'arte: il libro è la vittima di chi lo ha rielaborato senza aver prima tenuto in considerazione questa misera magna charta. Se, infine, di saper come vengono falsificati i libri nel 2009 non ve ne importa un fico secco perché leggete solo i contratti lavorativi e guardate solo il Grande Gemello, arrivederci e grazie: sto parlando con altra gente. Con gente che si merita il diritto di voto in Italia.
E adesso vediamo.
1) Quando si deve rivedere e/o correggere un testo inedito per pubblicarlo, bisogna tenere presente il seguente inderogabile ed eterno principio di base: tutto ciò che non sia espressamente vietato dalla grammatica della lingua italiana ''Lo studio e l'arte dello scrivere'' di Umberto Panozzo (Le Monnier, Firenze 1961) o da uno qualsiasi dei tanti dizionari di gran tradizione, è implicitamente permesso e dunque non va corretto; tutto ciò che invece sia vietato, soggetto a diverse interpretazioni o non indicato espressamente dalla citata grammatica (la migliore mai esistita da noi) e/o dai vocabolari, va esaminato, cercando di capire se si tratti di un errore dovuto ad ignoranza dell'autore del pubblicando testo o alla sua consapevole e libera stilistica personale. Per compiere doverosamente bene questa ultima operazione, il correttore dovrà ovviamente essere meno ignorante dell'autore.
Dunque, alla luce di questo principio, vanno per esempio considerati dei veri e propri abusi sul testo i seguenti adeguamenti alle norme della commerciabilità del libro:
a) l'eliminazione di ''d'' eufoniche – come in ''od'', ''ed'' o ''ad'';
b) la soppressione di segni grafici – tonici e/o d'apertura sillabica e/o segnalanti fenomeni di aferesi, elisione o troncamento (accenti ed apostrofo) – nonché di segni d'interpunzione o diacritici, laddove siano stati messi al punto giusto dall'autore;
c) la sostituzione con le minuscole di lettere maiuscole laddove permesse – per esempio nelle sigle o in molte denominazioni;
d) l'eliminazione o l'aggiunzione di corsivati o neretti solo a causa di propria interpretazione del testo – la propria interpretazione infatti deve sempre essere secondaria rispetto a quella dell'autore del testo: queste cose vanno chieste direttamente all'autore, insomma, perché l'editor non può stare nella sua testa.
e) il riposizionamento di proposizioni all'interno del periodo – se, mettiamo per assurdo, in un periodo vi fossero tre subordinate e quattro coordinate, sei parentesi e dodici trattini di sospensione, ma tutti sistemati in un ordine corretto, non sarebbero affari che riguardino l'editor, ma solo l'autore: con lui dunque, e con lui solo, l'editor dovrebbe ragionare e colloquiare. Educatamente e con umiltà.
Quanto detto si può concentrare in questo slogan: un testo è, fino a prova contraria ed in linea di massima, un'opera d'arte individuale che va riprodotta esattamente cosí com'è, virgola per virgola, oppure rifiutata in toto. L'editore serio dovrebbe appunto fare questo: accettare o rifiutare un dattiloscritto per come esso sia al momento in cui gli è stato presentato dall'autore e pubblicarlo tale e quale. Se invece il dattiloscritto fosse bello ma pieno di refusi, errori, sbagli varii eccetera, vuol dire che andrebbe rifiutato e punto o, magari, sottoposto ad una correzione, da parte di un editor, che sia esclusivamente tecnica (cioè: grammatica e sintassi rigidamente applicate al testo e stop), non stilistica: tutt'al piú l'editore può dire all'autore di riprendere in mano il testo e di ripresentarglielo dopo la propria revisione. L'unica deroga da tal principio concerne i testi di tipo documentaristico o giudiziario, o i testi che abbiano in altro modo un valore puramente testimoniale – compresi i lavori di ricostruzione filologica di testi antichi purché compiuti con criteri scientifici.
2) Quando si deve rivedere e/o correggere un testo precedentemente edito per ripubblicarlo, tale testo va obbligatoriamente – ricordatevi che qui si parla solo di testi scritti in italiano – trattato come segue:
a) si ripubblica lo stesso identico testo della precedente pubblicazione – magari con una differente cura, cioè con diverse note a pié di pagina ed altri apparati esterni (ipertesto incluso, ecc.), ma tassativamente senza metter mano al testo stesso;
b) si fa un'edizione filologico-critica del testo ricostruendone (come viene da modalità scientifiche, ormai arcinote, indicato) le parti mutilate, omesse, censurate o comunque ritrovate ed ingiustamente escluse dalla precedente edizione – ma con delicatezza, prudenza e rispetto scientifici estremi. Le collazioni e le comparazioni sono ovviamente operazioni ammesse, sempre purché non si sposti una virgola della editio princeps o dell'edizione scelta o, eventualmente, ne si motivi puntualmente qualsiasi modificazione – apportata solo per favorire la leggibilità del testo alla esclusiva luce delle indicazioni tipografiche e/o sintattico-grammaticali tradizionalmente accettate dalle usanze filologiche nazionali od internazionali.
Qualsiasi altro intervento su un testo italiano già pubblicato precedentemente è da ritenersi inaccettabile manomissione del testo stesso nonché mortale offesa all'epoca dell'autore e ai di lui voleri, sentimenti, conoscenze e desiderii, nonché gravissimo insulto implicito all'intelligenza e alla studiosità dei lettori contemporanei del curatore (cioè anche a voi che state ora leggendo questo articolo). E qui vorrò essere spietato e preciso, inesorabile: chiunque pubblichi una versione ammodernata di un testo italiano – cioè un testo di un autore italiano tradotto in italiano contemporaneo – è a mio avviso un propugnatore dell'ignoranza popolare; invito dunque tutti a leggere e ad acquistare solo ed esclusivamente le edizioni dei testi italiani che riportino il testo originale con un ricco e ben fatto apparato di note a pié di pagina e/o di quant'altro sia utile per la comprensione piena del testo.
Ed i doveri del signor Testo? Non ne abbiamo parlato mica!
Ecco dunque, ditemi: come deve fare, secondo voi, un cittadino italiano qualsiasi per ritenersi al riparo da ogni ricatto od attacco da parte di privati, istituzioni o altri? Secondo me deve pagare le tasse e rispettare le Leggi – almeno quelle comprensibili e chiare – o cercare uno scampo legale dalle Leggi vessatorie o inique associandosi con altri cittadini onesti ma perseguitati come lui; al limite, se proprio non c'è altro da fare, deve evitare di contravvenire in maniera troppo visibile alle Leggi – cioè deve evàdere solo le tasse che non sia proprio in grado di corrispondere, ma pagare puntualmente le principali. Ecco: i doveri del signor Testo saranno proprio nel cercare di rispettare con la maggior meticolosità possibile le leggi della grammatica e dei migliori dizionari italiani esistenti, lasciando capire che, quando il rispetto non c'è, si tratta di licenza poetica e autoriale, non di mera ignoranza.
(in Lubiana, 15 maggio 2009)