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Luigi Di Ruscio: un punto fermo sulla poesia proletaria
di Riccardo Renzi
Pubblicato su SITO


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Luigi Di Ruscio: un punto fermo sulla poesia proletaria

Luigi Di Ruscio attualmente può essere considerato il più grande poeta che il fermano abbia avuto e sul panorama nazionale, sicuramente uno dei più grandi del Novecento. 

Luigi Di Ruscio nacque a Fermo il 27 gennaio 1930. Di origini umilissime, autodidatta, conseguì infatti soltanto la licenza di quinta elementare, svolse diversi mestieri, e studiò da solo classici americani, francesi e russi, la filosofia greca, saghe della mitologia nordica e tutta l'opera di Benedetto Croce. Nel 1953 una giuria presieduta da Salvatore Quasimodo gli assegnò il premio Unità. Nel 1957 si trasferì in Norvegia, dove lavorò per quarant'anni in una fabbrica metallurgica, e si sposò con una norvegese, da cui ebbe quattro figli. Rimase però sempre legato alla città di Fermo, presso la quale quasi tutte le estati vi faceva ritorno. Morì il 23 febbraio 2011 e fu sepolto ad Oslo[1]. 

Tra i suoi recensori più illustri, su riviste di primissimo piano, si ricordano Aldo Capasso, Enrico Falqui, Eugenio De Signoribus, Paolo Volponi, Angelo Ferracuti, Massimo Raffaeli, Roberto Roversi, Sebastiano Vassalli, Biagio Cepollaro, Stefano Verdino, Francesco Leonetti, Silvia Ballestra, Andrea Cortellessa, Flavio Santi, Goffredo Fofi, Giulio Angioni, Massimo Gezzi, Walter Pedullà, Giorgio Falco, Emanuele Zinato.

Egli fu sempre carico di risentimento e di uno scontroso amore per gli uomini, si dovette sempre guadagnare da vivere con i più disparati e umili mestieri, sempre poco era il tempo che poteva dedicare alla lettura e alla poesia. Il grande critico letterario fiorentino, Franco Fortini, ha scritto nella Prefazione a Non possiamo abituarci a morire che le sue «poesie di miseria e fame, di avvilimento e di rivolta, nascono da un'esperienza diretta e ne sono la trascrizione; la loro tematica non si distingue da quella della poesia del Quarto Stato che, nei primi decenni del secolo è stata nel nostro paese, almeno di intenzioni, assai feconda. E questi versi sono insomma un documento umano delle aree depresse, di quella parte di noi stessi depressa che chiede, da generazioni, il riconoscimento iniziale del volto umano»[2]. Fortini non fu l’unico grande della letteratura italiana ad apprezzare Di Ruscio, anche per Salvatore Quasimodo, «Di Ruscio è uomo d'avanguardia nel senso positivo, cioè della fede nell'attualità e per la violenza del discorso. La follia non è in lui un'accademia che inaridisce l'ispirazione nel bunker dei versi premeditati [...] Le poesie di Luigi Di Ruscio sono nell'angoscia di un crescendo della simbolica mania di persecuzione dell'autore che non ama distrarsi per selezionare una bella pagina da auditorium. Al marchigiano non importa niente che lo si legga o no; il ritmo sordo e perpendicolare nella forma, nei suoi versi viene da una rigorosa ragione di contenuto»[3]. E ancora un ulteriore giudizio illustre, quello di Luigi Fontanella: «Il meglio della poesia di Luigi Di Ruscio è nel volume Firmum (Pequod, 1999) e in Poesie scelte 1953-2010 (Marcos y Marcos, 2010) a cura di Massimo Gezzi. Ma considerevole è anche la sua produzione narrativa»[4].

La poesia di Di Ruscio è una poesia proletaria, ma non figlia del grande proletariato urbano, mosso dai moti sindacali, ma del piccolo proletariato di provincia. Quella del poeta fermano è una poesia forte della miseria della povertà. È la poesia del nulla, di chi non possiede nulla. Una poesia rappresenta tutta l’essenza di Di Ruscio più di ogni altra:

succedeva di dover mettere la cotta sopra la divisa fascista
con le doppie cotte dondolavo l'incensiere alzavo nuvolette profumate
a quello che è in tutto quello che sarebbe scoppiato lui senza scoppiare
dentro tutte le angosce lui senza nessuna angoscia
se per lui il tempo della creazione è un niente
per noi è una eternità da cui non usciremo mai fuori
così ancora fango spaccavo i termometri
per avere sul palmo della mano la goccia di mercurio
la goccia di ferro trapasserà la mano parte a parte
un giorno avrò una grossa goccia di mercurio in un bicchiere
volava la bolla di sapone rifletteva un universo opaco concavo azzurro
le inquinazioni mercuriali sono le più pericolose salvati dalla goccia
nascondi la tua puzza umana se non vuoi che il cane ti scovi e ti strozzi
se metti il cervello al servizio degli sfruttatori si fulmina
tutto era velocissimo sparivano le lettere sotto di me
perdona la gioia irresponsabile che mi si è buttata addosso
e noi che siamo immortali al servizio di uomini nuovi
ti assicuro che gli uomini nuovi non hanno bisogno dei servizi di nessuno
l'ultima rivoluzione borghese fu bellissima (miracolo economico)
prepariamo un miracolo più grosso
ed istruzioni per una repressione più o meno immaginaria consumarla

    [perennemente la risusciteranno perennemente (saltalà!)
quella bocca grigna scatarra sputa plagia
io scatarro sputo paro simulo grigno
così ancora fango spaccavo i termometri
dei globi ingiobati devi amare tutto
grignat bocca zoanninae grignat apollo grignat ulisse
se anche il padreterno avesse fatto la settimana corta
quella cosa spaventosa non sarebbe riuscito a fabbricarla
(l'odio è tanto che ormai gli infarti scoppiano da soli)[5].

La poesia di Di Ruscio è miseria che si mescola all’odio e diviene potenza allo stato puro. Leggendo i sui versi si possono saggiare le parole sulla pelle, dal digrigno dei denti, allo sbattere delle porte. È una poesia esplosiva, non più rurale e contadina, ma che si fa industriale. C’è quasi in lui un’evoluzione dello sfruttamento e del sentirsi sfruttati. 

all'inizio un falco ingabbiato tocca un cappio tocca un muro
l'ultimo totem ingabbiato apri le ali vola sparisci
toccalo vedi se ancora esiste spacca la pietra che custodisce l'ombra fossile
file di gabbiette con uccelli impiumi tagliati spolpati
l'ultimo uovo collezionato bucato e bevuto (strozzaticci!)
tuffati due volte nelle acque del fiume tenna se sopravvivi morte non ti

   [ghermirà più in eterno
arrestano la bellissima sciatrice sequestrano trecento bottiglie vuote e la

   [ bottiglia di acido solforico piana
quattro provette sono state annusate puzzano
mettiti bene in testa che da oggi in poi tutto deve essere chiaro preciso

    [ giustificabile
è iniziata la caccia fa sparire l'illegale che tieni in testa
il bracco servo dei scrivi di nostro signore ti insegue
nascondi la tua puzza umana se non vuoi che il cane ti scovi e ti strozzi
la scrittura coagula molto bene perché la caccia è iniziata
nasconditi nel campo dell'erba melica o della sulla tranquil1amente masticata
affoga in acque gelide dio patriarchi e feudi strappa la popolazione dall'idiotismo

   [ della vita rustica
il compito del proletariato sarà fare la spia il padrone licenzierà chi

   [ non vuole scioperare
in sud america sparano sui testicoli schiacciano i testicoli
sventola bandiere crociate e falciate martellate bandiere mischia tutto
salva l'illegale che tieni in testa nascondi la tua puzza umana
mischia tutto nascondi la tua puzza umana mettiti la cravatta e simula
(gocce limpide tremanti si sfanno i bianchi la coltre gelata)
in questo 1978 è accaduto tutto il resto continua nel 1979
scrivi tutto insegui a precipizio questo precipitare delle cose
mi sii molto tardo a capire e molto tardo a rispondere
la mia attenzione era molto palpitata tutto stava per sparire in una aria più

   [  o meno azzurra
passavo per montefalcone appenninico toccarlo quel falco ingabbiato vedi

   [ se ancora esiste
fatti prendere dall'entusiasmo spacca quella pietra che custodisce l'ombra fossile
la caccia è iniziata nascondi l'illegale che tieni in testa[6].

Di nuovo ritorna il paesaggio rurale fermano, i paesini limitrofi, Montefalcone in primis, però questa non è una poesia bucolica di fine Ottocento inizi Novecento, quella di Di Ruscio è una poesia di guerra, una poesia che combatte per una lotta tra classi, è una poesia marxista, costantemente arrabbiata e in cerca della rivoluzione. 

che il fluoro ammazzi tutti i carius
grandi crateri in bocca
dove si nascondono chicchi di riso cotti
camminavo con in bocca un covo di formiche con la testa rossa
scrivere magnifiche poesie di gioie carnali
immaginare un mondo che sta per sparire dietro la curva
immaginare che il tram approdi in un quartiere felice
sorriderà riderà ci riconosceremo
con in bocca un mucchio di formiche
incartava incantava zoccoli di zucchero pezzi di marmo
miele pietrificato a.pi pietrificate (il dentista centrò il nervo in pieno)
la bocca si empì di veloci formiche rosse con la bocca pietrifjcata
esponeva con la tenaglia cromata luminosa la piccola testa della medusa
la reclame delle matite tutte agguzzate piantate sulla testa
andiamo a vedere le quattro giornate di castel tesino
la prima persona non può più raccontare nulla
l'handicappata per quattro giorni in balia dei divini seguaci di sade
l'handicappata minaccia anche il turismo della divina cittadina di castel tesino
l'handicappata non portava la medaglia (pugni in faccia ed esposta la bestia)
questa prima persona non può esprimere neppure il dissenso
ovunque il nostro nigher quotidiano brucia viene bruciato (mariella bettarini)
l'egemonia può esprimere solo un rapporto sadico
totalizzante verso i subalterni handicappati
lo schema la scema totalizzante tende a ripetersi ad infinitum
certe volte ai terrorismi dei gruppi spara un terrorismo individuale
all'handicappata è più facile far parlare la bocca di una pistola
che la propria bocca possa esprimere l'universalità della nostra

   [ condizione handicappata
l'handicappata può esprimere la propria universalità solo se si mette a sparare
questa poesia può esprimere solo particolarità sociologiche
che possono anche bruciare ma mai sparare
perché i divini seguaci di sade possono esprimere la propria universalità
l'handicappata deve essere ridotta a pura cosa e manovrata con gustosi

   [ pugni in faccia
così i divini di castel tesino per quattro giorni sono riusciti ad esprimere

   [ la vera universalità della condizione di classe
l'handicappata potrà esprimere la propria universalità solo se si metterà a sparare
se l'handicappata si metterà a sparare i divini seguaci di sade diventeranno

  [ puro riflesso sociologico o biologico
sembra proprio che la vera universalità possa esprimerla solo la violenza

  [ rivoluzionaria
con un po' di coraggio la poesia può esprimerla l'universalità della

  [ condizione handicappata
anche se rischierà sempre di esprimere quell'apologia di reato che non

  [ deve essere espressa
la poesia può anche esprimere la rabbia di dover esprimere tutto[7].

Ecco che nuovamente in lui ritorna rombante un forte sentimento di rabbia, contro tutto e contro tutti, ma allo stesso tempo per esprimere “il tutto”: « la poesia può anche esprimere la rabbia di dover esprimere tutto»[8].

camminavamo in quel cimitero dove ibsen ha una bellissima pietra addosso
cimitero pieno di banchieri armatori esportatori di ghiaccio
artisti bellissimi con bellissima erba alonata (grazie giancarlo per questo aggettivo)
io penso che per questa bella erba alonata mia moglie dovrebbe essere felice
invece sta ad urlarmi che io nelle passeggiate domenicali la porto sempre

  [ nei posti più luridi
(si voltano le teste a guardarci svolazzano quattro piccioni tra le tombe)
gli animali più luridi sono quelli che stanno più vicini agli uomini
(questa è lirica urlata di mia moglie si rivoltano le teste a guardarci)
infine per far ridere mia moglie dico indicando le tombe
- vermi feroci sbranatevi In pace - e questa volta mia moglie si mette a ridere
però si rivoltano ancora una volta le teste a guardarci
io penso che mia moglie sia l'ultima e si ritrovi in questa sua patria

   [ completamente spatriata ed estranea
e che si sia potuta sposare solo con uno come me completamente

   [ spatriato ed estraneo a tutto
come se solo questa spatriazione ed estraniazione fosse l'unica terra possibile
questo presente è il cimitero del nostro futuro questa gente sono i

   [ becchini del nostro futuro (mi volto di scatto a guardarli)
camminavamo con una gioia finita o non finita tra quelle strade e case
siamo usciti da quel cimitero ed entriamo nel cimitero del nostro futuro
siamo caduti nel posto più lurido nessuno ha più voglia di guardarsi
camminavamo con tutta la nostra gioia quest'ultima gioia godiamocela
immagino anche il cimitero di feltrinelli o il funerale di feltrinelli
penso alla scritta borghesi riposate in pace senza tante stronzate marmoree
(dondolano le teste) stanno comprando a pezzi il nostro futuro (ridondolano

   [le teste)
diranno veramente che correva verso la felicità mentre camminava in questo

   [ cimitero del nostro futuro
(e veramente non si sa neppure se esiste)
stanno dondolando le loro teste e non si sa neppure se esistono
se sto camminando in questo cimitero del nostro futuro
non c'è che da scrivere l'ultima pietra tombale
e non si sa neppure se ci sarà qualcuno che potrà leggerla
siamo caduti nel posto più lurido e forse neppure esiste[9].

La poesia di Di Ruscio è una poesia di vita vissuta, di miseria e di piccole cose, ma allo stesso tempo è una poesia esistenzialista di classe, di denuncia sociale e rivoluzione. Con queste parole apriva la sua autopresentazione in Istruzioni per l’uso: «Il fascino della poesia sta proprio nel fatto che i grandi problemi dell'umanità si concentrano in essa. La poesia sembra strutturarsi a immagine dell'universo, il «big-bang» è l'immagine che abbiamo dell'universo. La poesia si dilata nel senso della dilatazione dei significati. La dialettica nel senso che nulla nella poesia deve essere immobile, ma continuamente contraddirsi. La poesia come lo specchio di un'epoca e come la contraddizione di un'epoca». Per Di Ruscio la poesia deve essere specchio della vita e del reale, una poesia idilliaca è totalmente inutile e anche difficile da concepire. Di Ruscio, in conclusione, può essere definito il poeta operaio, che ha sempre combattuto per il suo lavoro e per la sua poesia.

Note:
[1] Per la biografia di Di Ruscio si veda: Di Ruscio, Luigi, su Treccani.it – Enciclopedie on line, Istituto dell'Enciclopedia Italiana.
[2] F. Fortini, Prefazione a Non possiamo abituarci a morire, Schwarz ed., Milano 1953.
[3] S. Quasimodo, Introduzione a Le streghe si arrotano le dentiere, Marotta, Napoli 1966.
[4] L. Fontanella, Raccontare la poesia 1970-2020, Moretti & Vitali Editori, 2021.
[5] L. Di Ruscio, Istruzioni per l'uso della repressione, presentazione di Giancarlo Majorino, Savelli, Roma 1980, p. 5.
[6] L. Di Ruscio, Istruzioni per l'uso della repressione, presentazione di Giancarlo Majorino, Savelli, Roma 1980, p. 7.
[7] L. Di Ruscio, Istruzioni per l'uso, cit., p. 18.
[8] Ibidem
[9] L. Di Ruscio, Istruzioni per l'uso, cit., p. 34.

A cura di Riccardo Renzi



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