Solitamente, l'attribuzione di un Premio Nobel in una delle varie discipline del sapere per le quali viene conferito (letteratura, medicina, chimica, fisica ed economia, oltre a quello un po' particolare per la pace), costituisce un comprensibile motivo d'orgoglio non solo per chi lo riceve, ma anche, abbastanza comprensibilmente, per il suo paese d'origine, tenendo conto del prestigio che scaturisce dal premio stesso.
Risulta perciò poco comprensibile ancora oggi, e probabilmente dovette apparire tale agli occhi degli osservatori stranieri, lo scarso entusiasmo con cui venne accolta dall'opinione pubblica italiana, nel 1959, la notizia dell'assegnazione del Premio Nobel per la Letteratura al poeta Salvatore Quasimodo, che pure era uno dei protagonisti della corrente dell'Ermetismo, per non parlare delle feroci polemiche che si scatenarono negli ambienti più propriamente letterari, fra critici plaudenti e altri decisamente ostili alla scelta dell'accademia svedese.
Divenne famoso, e citato in continuazione negli anni a venire, l'articolo sulla prima pagina del "Corriere della Sera" con cui la notizia veniva sarcasticamente e velenosamente commentata da Emilio Cecchi, considerato allora un nume indiscusso della critica, sotto il malevolo ed eloquente titolo "A caval donato non si guarda in bocca".
Ma chi era Salvatore Quasimodo, e perché mai si era inimicato una parte importante dei critici, nonostante la sua candidatura al Premio Nobel fosse stata sostenuta da personalità più che autorevoli come Carlo Bo e Francesco Flora, uno grande cattedratico e fondatore di università e l'altro curatore della monumentale "Storia della Letteratura Italiana"?
Nato a Modica il 20 agosto del 1901 nella famiglia di un ferroviere, aveva trascorso l'infanzia spostandosi con la famiglia in vari centri della Sicilia al seguito del padre ferroviere, che tra l'altro subito dopo il devastante terremoto del 1908 era stato mandato a Roccalumera, piccolo centro del messinese, per aiutare a rimettere in funzione la stazione locale, tanto che per parecchio tempo i Quasimodo, come molti altri superstiti del disastro, furono costretti ad abitare nei vagoni ferroviari in un ambiente miserando.
In seguito il giovane Salvatore frequentò le scuole a Messina, dove si diplomò all'istituto tecnico. Tra i compagni di scuola aveva Salvatore Pugliatti e Giorgio La Pira (entrambi in seguito giuristi e letterati di chiara fama, il secondo anche membro della Costituente e sindaco di Firenze), con i quali avrebbe stretto una profonda amicizia destinata a durare tutta la vita e ad avere una grande influenza sulla sua formazione intellettuale.
In effetti, nonostante gli studi tecnici, fin dagli anni della scuola superiore Quasimodo iniziava a scrivere i primi versi, alcuni dei quali trovavano anche spazio su qualche rivista locale, e subito dopo il diploma ed il trasferimento a Roma, che segnò il suo distacco dalla Sicilia dove non sarebbe mai più tornato a vivere, riuscì a dedicarsi agli studi umanistici con l'aiuto di un religioso che lo introdusse al latino e al greco, anche se le difficoltà economiche, oltre a impedirgli di laureargli in ingegneria, lo obbligarono a esercitare vari mestieri.
Il diploma tecnico fu tuttavia quello che alla fine gli garantì l'assunzione al Ministero del Lavori Pubblici, e con essa la sopravvivenza materiale, anche se il trasferimento al Genio Civile di Reggio Calabria, allontanandolo dal brillante ambiente culturale di Firenze, dove era andato a vivere ospite per breve tempo della sorella che si era sposata con Elio Vittorini, rischiò di troncare sul nascere le sue ambizioni letterarie. Reggio Calabria aveva però il vantaggio di poterlo rimettere in contatto con gli amici di Messina, il cui incoraggiamento fu probabilmente importante per convincerlo a lavorare alle poesie scritte negli anni precedenti fino ad elaborare la sua prima raccolta, dal titolo "Acque e terre" e pubblicata nel 1930 dalle edizioni di "Solaria", celebre rivista letteraria fiorentina.
In seguito il lavoro gli impose altri trasferimenti, prima in Liguria, tra Imperia e Genova, dove frequentò la cerchia che gravitava attorno al poeta Camillo Sbarbaro e alla sua rivista "Circoli", grazie al quale poté pubblicare, nel 1932 la sua seconda raccolta di poesie, "Oboe sommerso", e dal 1934 a Milano, dove riuscì a stabilirsi dopo un periodo di faticose trasferte a Sondrio. Dal 1938, lasciato il lavoro al Genio Civile, Quasimodo iniziò a lavorare nel mondo editoriale, collaborando a case editrici e riviste letterarie, mentre contemporaneamente si dedicava a tradurre testi classici (in seguito verrà pubblicata una sua celebre versione dei poeti lirici greci), e nel 1941 otteneva per chiara fama la cattedra di Letteratura Italiana presso il Conservatorio "Giuseppe Verdi" di Milano, dove avrebbe insegnato fino alla morte.
L'esperienza della seconda guerra mondiale lo portò a pubblicare, nel 1947, una raccolta di poesie intitolata "Giorno dopo giorno" che si distaccava completamente dalla sua produzione precedente, lasciando i temi dell'ermetismo o della nostalgia per la Sicilia precocemente abbandonata per occuparsi degli orrori della guerra e della resistenza, e per invitare l'umanità all'impegno civile.
Negli stessi anni del resto il poeta aderiva al Partito Comunista, compiendo anche, nel 1958, un viaggio in Unione Sovietica.
Si può pensare che uno dei principali motivi di ostilità dei critici di allora nei confronti di Quasimodo nascesse senza dubbio dalle sue posizioni politiche, tenendo conto del fatto che la critica letteraria era ancora largamente dominata dall'impostazione ereditata dal pensiero di Croce, e sostanzialmente avversa alla figura dello scrittore impegnato e militante come si andava configurando negli ambienti influenzati dal marxismo, ruolo del resto sottolineato dallo stesso poeta nel discorso di accettazione del Premio Nobel, in seguito pubblicato con l'eloquente titolo "Il poeta e il politico", senza dimenticare il ruolo egemone della Democrazia Cristiana nella vita italiana del tempo e di conseguenza un atteggiamento non benevolo verso tutti gli intellettuali "non allineati".
Il secondo grande motivo di polemica nasceva dalla delusione dei sostenitori di Eugenio Montale, già considerato a quel tempo da gran parte del mondo letterario come il maggior poeta italiano vivente, prestigioso collaboratore del "Corriere della Sera" che era il quotidiano a maggiore diffusione nazionale e che, secondo molte testimonianze di contemporanei (fra cui Indro Montanelli, a quel tempo a sua volta impegnato presso lo stesso giornale) accolse molto male la notizia del conferimento del Nobel a Quasimodo.
Si racconta addirittura che quando il premio gli venne poi finalmente assegnato, parecchi anni dopo, nel 1975, la gioia per il riconoscimento risultasse molto smorzata dal fatto che l'antico rivale non potesse assistere alla sua consacrazione, dal momento che Salvatore Quasimodo era stato colpito da un ictus il 14 giugno del 1968, mentre si trovava ad Amalfi per presiedere ad un premio di poesia, ed era morto ad appena 67 anni sull'ambulanza che cercava di trasportarlo all'ospedale di Napoli.
Polemiche simili avrebbero del resto accompagnato, nel 1997, l'assegnazione del Nobel per la Letteratura all'ultimo italiano insignito di questa onorificenza, Dario Fo, autore eclettico ma come e anzi ben più di Quasimodo ampiamente schierato in favore di una letteratura militante, tanto che, anche in quell'occasione, il premio sembrò andare di traverso a una buona parte degli italiani anziché costituire, come sarebbe più logico aspettarsi, un motivo di soddisfazione e di orgoglio nazionale.
(Nell'illustrazione: Stoccolma 1959: Quasimodo mentre legge il discorso di accettazione del Premio Nobel.)