I decadenti europei non ebbero accoglienza favorevole di pubblico, anzi, al contrario si potrebbe affermare che il grande pubblico dimostrò un'aperta insofferenza nei loro confronti. Sostanzialmente diversa fu invece l'accoglienza che ricevettero i nostri decadenti, da D'Annunzio a Pascoli. Osserviamo anzitutto che ambedue ebbero rapporti significativi con le ideologie imperanti alla fine dell'Ottocento e gli inizi del Novecento; bene o male, vi fu una loro "compartecipazione" alle politiche ufficiali. Rimandando il discorso su D'Annunzio ad altra occasione, osserveremo che, per quanto riguarda Pascoli, si è da più versanti rilevato il suo aperto sostegno alla politica giolittiana rispetto, per esempio, alla guerra di Libia, che Pascoli sostenne in una sua prosa famosa, "La grande proletaria s'è mossa", in cui condivideva l'idea allora generalmente diffusa che la Libia potesse costituire un'ottima soluzione per la nostra emigrazione. E' indubbio che Pascoli non è un decadente "alla francese"; non si notano in lui scatti di forte ribellione alla società in cui vive, di cui, anzi, tenderebbe quasi a farsi interprete in un ruolo, quello del poeta "Vate", già ricoperto con notevole successo e prestigio da Carducci. In questo senso, al di là del supporto offerto alla guerra di Libia, non si può certamente dimenticare l'Inno dedicato a re Umberto I. Se dunque il decadentismo del Pascoli non sta nello scatto di ribellione sociale, nel rifiuto del mondo borghese che il "porro unum et necessarium" dei decadenti francesi, e non solo, dove sta il decadentismo pascoliano? In realtà il rapporto che si può istituire con i decadenti francesi è estremamente debole, e ritengo davvero che non vada al di là dell'assunzione, a livello di produzione poetica, della poesia come frammento baluginante, carico di misteri e di simboli. E' poi abbastanza semplice rilevare in Pascoli una tensione molto forte al "privato", alla chiusura dentro il rassicurante "nido" familiare, in un periodo poi tra i più tumultuosi della storia politica del nostro Paese. Le divisioni politiche furono in quegli anni profonde e laceranti, e il Pascoli, quasi in controtendenza, e con una visione fortemente avversa agli scontri, personali o sociali che fossero, si pose in una posizione di "recupero" non solo della "pace", specie sociale, ma soprattutto di un'unità sociale che egli vedeva alle soglie della disgregazione. Stabiliti i contorni della sua ideologia, che era indubbiamente interclassista e piccolo-borghese, e stabilito che il "maledettismo" europeo non faceva davvero per lui, in questa sede si affronta il tema del Pascoli prosatore, anziché quello specifico del poeta, su cui tra l'altro la critica ha acquisito risultati di indubbio valore, riconoscendo i meriti che il Pascoli ebbe nel rinnovamento del linguaggio poetico italiano, sperimentando nuove forme sintattiche, neologismi, tecniche onomatopeiche e lessico estremamente preciso e tecnico, specie se legato agli ambienti e alla natura della campagna.
Se, dunque, il Pascoli poeta è stato oggetto di indagini molto approfondite (1), l'attenzione verso il Pascoli "prosatore" è stata non particolarmente marcata, per cui, ancora oggi, le idee sulla prosa del Pascoli o sono del tutto assenti o, per lo meno, sono piuttosto deboli, a parte qualche rilievo sulla prosa del "Fanciullino". Ma, in realtà, com'era fatta la prosa di Pascoli? E' sostanzialmente una prosa "poetica", fortemente influenzata dalla psicologia di uno scrittore che si esprime anche in prosa per "illuminazioni". Quella del Pascoli è una prosa "sincopata", che non avanza mai con toni lineari e secondo un andamento logico e razionale tipico della struttura saggistica: è franta, con una sequenza ininterrotta di punteggiatura forte. Punti interrogativi, cui seguono, moltissimi punti esclamativi, punti fermi, punti e virgola. E' la prosa di chi ragiona su un tema e si pone costantemente interrogativi; oppure è asseverativo, pensa che quanto va dicendo non possa essere messo in dubbio, ma che anzi costituisca una verità evidente e condivisa. In conclusione la prosa di Pascoli è, sotto il profilo stilistico, una spia del modo di ragionare del poeta, che è pieno di perplessità e ritiene al contempo di possedere molte verità evidenti, che egli sottolinea soprattutto con una dose massiccia di punti esclamativi. Se non fosse "troppo soggettiva", si potrebbe dire che la prosa del Pascoli è estremamente moderna e, sotto un certo aspetto, "contemporanea". Il periodare pascoliano è infatti estremamente paratattico, le frasi sono brevi, alcune brevissime, secondo uno stile fortemente lirico. Uno scrittore quindi impostato su toni lirici, per cui la sua prosa, pur risultando per moltissimi versi estremamente moderna, fa sentire troppo, nello stile, il continuo rovello delle idee: quindi una prosa "lirica".
Qualche esempio:
"...Libertà! Libertà! Questa, è l'idea, che pervade il libricciolo, che io v' offro: libertà da cima a fondo.
E perciò lo dedico a voi , che non solo assomigliate a me, nel disdegnare ciò che mette i ceppi al pensiero, ma che, nel mio cuore, figurate, uno, giovane, ardente di fede e parco di parole , franco ma a monosillabi , libero ma a cennii, la vostra Sicilia. La Sicilia, con tutti i discorsi che si sono fatti sulla mafia siciliana , non è terreno da piantarvi la selva oscura del partito, ossia del non-volere, ossia del non contare se non come uno sterpo in un gran viluppo inerte e infecondo. Che! In ogni siciliano il proprio io è lì che negli occhi grandi e profondi sta in guardia della persona, piccola (come la. vostra) e cara! E la Sicilia tutta non vuol liquefarsi nel resto d' Italia: bene! E, per questo suo medesimo sentimento, non vuole che l'Italia sia annullata dal resto del mondo: benissimo! Caro Vincenzo, e io non ho trovato in Sicilia uno pili siciliano di voi e più italiano di voi. E perciò vi amo. E siete fiero. E perciò vi ammiro. E lavorate in silenzio. E perciò vi venero. E vi arriderà il successo? cioè, avrete mai la ricchezza, e quella, che non pare si possa avere, se non dopo avuta la prima, e ciò per la forza delle cose piuttosto che per mal volere degli uomini, la croce del lavoro? Voi vi armate: sarete mai armato cavaliere. Che vuol dir questa Solitudine immensa? ed io che sono? Sì: la coscienza umana chiede ancora quello che chiedeva allora. Dobbiamo credere che ciò sia un sintomo di malattia o degenerazione?...".
Lo stesso stile che si riscontra in tutte le poesie, come questa, dedicata al re Umberto I, ucciso in un attentato, di cui si riporta una strofa, davvero emblematica ed estremamente esemplificativa dello "stil breve" di Giovanni Pascoli.
XII
Va!... all'Ideale la barra!
Va!... all' Ideale ch' è un punto,
ch' è un nulla; e la morte lo sbarra;
ma quando sei giunto... sei giunto!
Va, principe giovane e giovane
Italia! Nel pelago eterno,
va, cerca il tuo Polo; va, trova
nel mondo infinito il tuo perno!
Va, in mezzo alla grigia bufera,
va, dove s' incontra e s' indora
con questa che sembra una sera,
la subita aurora! (2)
Per la prosa in esame, siamo di fronte, osservava Mario Marti, allo "spappolamento del periodare classico" (3). Marti è stato uno dei pochi che abbia studiato con una notevole acribia il periodo del Pascoli; e, grazie al puntiglio dell'illustre studioso, si è quasi in grado di stilare una "statistica" dei periodi lunghi e brevi nelle diverse prose dello scrittore. Marti si è soffermato, fra gli altri casi, su una prosa estremamente nota del Pascoli, largamente antologizzata e, ritengo, sufficientemente nota a ogni studente di scuola superiore. Intendo riferirmi a quel "manifesto" di poetica che fu "Il Fanciullino". "... In esso - sottolinea Marti - abbiamo contato 650 periodi... e li abbiamo poi ripartiti secondo la loro lunghezza: periodi lunghi che superano i tre righi...; periodi fra due e tre righi...; periodi da uno a due righi, e infine di un solo rigo, e ancor meno...". In conclusione, secondo la "statistica" approntata da Mario Marti, che ha contato complessivamente nel "Fanciullino" 650 periodi, quelli che superano i tre "righi" sono 165: fra i due e tre righi 130; meno di due righi 183; meno di un rigo 172 periodi. Il che dimostra, anche statisticamente, l'assoluta predilezione del Pascoli prosatore per la "prosa poetica", breve, rapida, e, potremmo quasi dire con Ungaretti, "essenziale".
Note
1) Per il Pascoli poeta cfr. P.V. Mengaldo, "La tradizione del Novecento", Milano, Feltrinelli, 1975.
2) G. Pascoli. "Odi e Inni", Bologna, Zanichelli, 1906, p. 129.
3) M. Marti, "Appunti sul Pascoli prosatore", in "Dal Certo al Vero", Roma, Edizioni dell'Ateneo, 1962, pp. 301-313, per la citazione, p. 305.