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Capitolo 03 Pique
di Solange Mela
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Capitolo 03 Pique

(rev. 01/03/2005 a cura di CARLO SANTULLI)

Il vecchio Druido riuscì a districarsi dal fiume di folla che ingombrava la via della Corporazione dei Sarti, e si riparò all'interno di un voltone. Se qualcuno o qualcosa lo aveva seguito, ora era certo di averlo seminato nel caos che precedeva il giorno festivo. La gente si affrettava nelle botteghe per ritirare gli abiti fatti confezionare per il giorno dopo, oppure per ordinarne di nuovi, cercando di evitare gli ambulanti che sostavano coi loro carretti e le loro mercanzie sui marciapiedi. Costoro richiamavano aggressivamente la clientela, offrendo merci comprate fuori della Capitale, come se fosse stato possibile trovare seta e damasco migliori di quelli tessuti e tinti in città, e allo stesso tempo appestavano la via con afrori di gente che non si lavava da giorni, odore di cibi precotti e riscaldati, olezzi di stoffe maltinte e maleodoranti a basso prezzo, ed escrementi di animali da tiro, muli e asini, alcuni dei quali ancora più luridi dei loro padroni.
Terry si aggiustò la tonaca e la cintura, e sistemò il cappuccio bianco sul capo canuto. Salì una larga rampa di gradini di pietra consunti dal tempo e dal passaggio, fino a sbucare in un loggione dagli archi a volta. Da lì si aprivano le porte delle abitazioni dei mercanti di seta, ma a quell'ora di tardo pomeriggio non c'erano donne a tessere o a ricamare. Erano già rientrate per preparare la cena e svolgere i mestieri di casa. Il Druido si sporse dalla balconata che dava sui tetti delle botteghe, e fischiò lievemente. L'attesa fu breve, perché non si trovava troppo lontano dal Collegio. Nel frattempo scrisse su un frammento di pergamena poche e affrettate frasi, sicuro che nessuno avrebbe saputo decifrare quell'antico dialetto runico.
Il messaggero, una giovane civetta, arrivò planando dolcemente fino a posarsi sul suo braccio teso.
<< Un messaggio per la Gran Sacerdotessa, piccola amica.>> infilò nell'occhiello il frammento arrotolato. << Sii veloce e prudente!>>. Lanciò nell'aria il rapace, che si librò sopra i tetti per qualche istante, prima di scomparire oltre le torri.
" Cosa fatta, capo ha." rimuginò fra sé.
Il cigolio di una porta che si apriva lo spaventò. Si affrettò a scendere la scala fino all'ingresso, poi si guardò alle spalle. Nessuno lo aveva visto.
Infine si decise a bussare sulla porta di legno alla sua sinistra, sopra la quale dondolava pigramente al vento un'insegna di ferro, dipinta con smalto rovinato dalle intemperie. Su di essa, un ago argenteo s'infilava in un paio di forbici rosse.
Una voce gentile lo invitò ad entrare. Terry dovette scendere tre gradini sconnessi, prima di trovarsi nel piccolo laboratorio dal soffitto a volta della bottega di un sarto. Lo aggredì immediatamente un profumo dolciastro di caprifoglio e verbena, un miscuglio infelice che aleggiava in tutta la stanza come un'infiorata il giorno della Dea.
Una voce potente precedette una matrona in abiti sgargianti, di dimensioni spropositate, vestita di verde e arancio, con una ridicola acconciatura di uccellini di rafia e fiori di stoffa tra i capelli biondi. Uscì dalla stanzetta di prova degli abiti, seguita da una donna di bassa statura, le cui trecce nere sfioravano il pavimento accompagnando la gonna dell'abito grigio come uno strascico.
L'accostamento tra le due donne, l'una gorgheggiante di complimenti per il lavoro che aveva commissionato, l'altra deferente e contegnosa, provocò in Terry un certo disagio.
Si sedette stancamente su una sedia, aspettando che la sarta si liberasse della cliente. Il donnone, vedutolo e riconosciutolo, si avvicinò a lui sventagliandosi. Così facendo, il profumo che si era spruzzata addosso e nei capelli, come sospinto dal vento, arrivò a zaffate verso Terry, stordendolo.
<< Druido Terry! Mio marito mi ricorda spesso che dovrò invitarvi ad una delle nostre cene, così ricorderete i vecchi tempi. E anche per dare un'occhiata al piccolo Dunn, che si sta facendo un giovanotto, e vorremmo introdurre al Collegio dei Druidi. Con un maestro come voi, il suo apprendistato non sarà troppo duro…>>
" E ti pareva…" pensò tra sé Terry, sorridendo rispettoso alla donna, che riconobbe come la moglie dell'Anziano Astragal, il presidente di quella combriccola di politicanti che governava la Capitale.
<< E' un onore sedere alla vostra tavola, Brighitta. Dite a vostro marito che sarò lieto di rivederlo… e parlare con Dunn.>>
<< Lo riferirò senz'altro.>> la matrona si volse di scatto verso l'altra che attendeva in silenzio. << Mia cara Pique, vi lascio al vostro lavoro. Manderò Susa a ritirare l'abito tra cinque giorni.>>
<< Fate attenzione per la via, mentre rincasate.>> la donna accompagnò Dama Brighitta alla porta e aspettò di vederla sparire tra la folla prima di rientrare.
<< Che il Diavolo se la porti!>> borbottò Terry, tossicchiando e soffiandosi il naso in un fazzoletto, come se avesse aspirato direttamente da un mazzo di fiori pieni di polline.<< Dovrò andarli a trovare, o quel ruffiano di Astragal s'offenderà con l'intero Consiglio.>>
<< Qual vento ti porta, Terry?>> gettò alle spalle una treccia, sparì per un attimo nella stanza di prova e ritornò subito con due caraffe di birra. << E' passato molto tempo da quando sei venuto a trovarmi.>> la voce roca e bassa, arrotondava le consonanti nella maniera della lingua elfica tradendo le origini dei suoi antenati, ma dalla statura minuta e dalla carnagione chiara si capiva che era figlia di nani e di umani. Solo gli occhi azzurri come vetro lasciavano interdetto chi la fissava, perché vi si scorgeva una profondità interiore e una sapienza che non traspariva dall'aspetto semplice e fanciullesco della donna.
Terry afferrò la caraffa e ne ingurgitò il contenuto per metà, prima di posarla con un sospiro sul tavolo da lavoro ingombro di stoffe e applicazioni di merletto. Si forbì i baffi bianchi con una manica, poi fissò tristemente la donna che sedeva accanto a lui, sorseggiando la sua birra.
<< Mia cara bambina…>>
La sarta gettò indietro il capo con una risata profonda, che tutto la faceva sembrare tranne che una fanciulla.
<< Quando mi chiami "cara bambina" significa che è successo qualcosa.>> lo interruppe, lisciando con la mano libera l'abito di canapa grigio. << Il tuo allievo ne ha combinata un'altra delle sue? Cos'ha fatto questa volta? Ha tirato la barba al vecchio Asenath, chiamandolo nonno?>>
Terry la guardò sorpreso, poi scosse il capo, ma gli scappò un sorriso perché Varior aveva quasi fatto qualcosa di simile, nel raduno del pomeriggio.
<< Oh, no! No… E' cresciuto, sai, dall'ultima volta che lo hai visto. E' un vero guerriero Druido ora, manca poco alla nomina…Non lo riconosceresti…>>
La donna sorrise dolcemente, intuendo nelle parole del vecchio Druido un affetto profondo verso il suo allievo che il Collegio non avrebbe approvato, ma che lei comprendeva e apprezzava.
<<No… >> continuò Terry, <<… non si tratta di Varior, ma di un pericolo che si avvicina alla Contea, un pericolo che conosciamo bene e che credevamo sconfitto e disperso.>>
L'altra divenne improvvisamente seria. Le pareva quasi di leggere negli occhi preoccupati di Terry le notizie che il vecchio maestro era venuto a portarle.
<< Mi serve il tuo aiuto. Un aiuto che solo una Guardia Druidica e un elfo di Pantal possono dare.>> mormorò Terry, fissando la donna con un coraggio che doveva trovare per forza.
Pique scosse la tesa, evitando lo sguardo inquisitore del vecchio Druido.
<< La Guardia Druidica che sei venuto a cercare ha smesso di servire il Collegio dalla notte in cui il Dominio fu cacciato dalla Capitale, in quanto all'elfo di Pantal… io non sono mia nonna. La magia che opero è poco meno di quella di una fattucchiera della Corporazione degli Astrologi.>>
<< La tua magia ha salvato Varior oltre la Muraglia, una settimana fa! Senza l'armatura che tuo padre forgiò per lui, e senza l'incantesimo che hai invocato su di essa, sarebbe senz'altro morto!>> protestò il Druido, picchiando la caraffa sul tavolo. Uno schizzo di birra planò sul tavolo, ed entrambi lo guardarono allargarsi fra le fessure del legno in lunghi ghirigori.
<< Cosa ci faceva fuori dalla Muraglia?>> gli chiese con un accento di rimprovero. << Sei pazzo a mandare un bambino da solo in quella terra desolata? Dovevi andare con lui.>>
<< Come devo dirtelo?>> insistette Terry.<< Varior non è più un bambino. Hai perso il conto dei giorni? Sono passati tredici anni da quando lo presi con me. Tra poco sarà nominato Druido e avrà un allievo alle sue dipendenze.>>
<< Vent'anni… un bambino!>> protestò di nuovo lei, alzandosi dalla sedia.<< In confronto a noi, è solo un bambino sperduto.>>
<< Non è così che la pensano al Collegio. Ma la sua natura umana non è poi così diversa dalla tua, Pique, non giudicarlo solo dall'età. Gli ho affidato un incarico pericoloso, e nonostante la sua sventatezza…>>
<< Sventatezza?!>>
<<… Lo ha portato a termine. Mi ha riportato informazioni molto preziose, mettendo a rischio la sua vita. I Goblin, i Troll, e una nuova razza, i Nugul… navi ancorate alla Baia Incantata… Stanno radunando le forze per un nuovo attacco, e siamo così indifesi, così impreparati…>>
Pique si avvicinò al Druido, posando una mano rovinata dall'ago sulla spalla del vecchio, che un tempo era stato suo maestro.
Se il mezzosangue aveva realmente visto ciò che aveva riferito, con le ristrette capacità paranormali che la natura gli aveva concesso e con il solo supporto della magia bianca, la situazione fuori della Contea doveva essere cambiata dall'ultima volta che aveva preso il proprio arco e si era avventurata oltre la Muraglia.
Tuttavia, non aveva senso il terrore che leggeva negli occhi del Druido, che si guardava attorno come se temesse di essere ascoltato.
<< Nemmeno allora, quando li affrontammo la prima volta, eravamo pronti. Ma lo abbiamo fatto. Temi forse che le Guardie Druidiche non sappiano compiere il loro dovere?>>
<< Non sono più le Guardie di allora. Molti si sono ritirati e lavorano nei campi, o nelle botteghe. Mai come ora abbiamo bisogno di tutti loro, ed io soprattutto di te. Il Consiglio dei Druidi non crede a ciò che Varior ha visto, e il mio allievo vuole portare loro le prove dell'esistenza di quest'esercito che si sta radunando in quelle terre desolate! Vorrei che tu lo accompagnassi, come amica se vuoi, ma con le tue armi e il tuo valore di Guardia Druidica. E' un ragazzo molto intelligente, è scaltro, e sa cavarsela da solo, ma è troppo sicuro di sé e della magia. Conosce solo quella dei Druidi, non sa cosa sia la magia del Dominio. Lo consiglieresti, freneresti il suo entusiasmo, lo costringeresti ad usare il cervello, prima della spada. E mi serve anche il tuo sangue elfo, perché se fosse di nuovo colpito da una delle loro armi potrebbe non essere fortunato come l'ultima volta.>>
Pique camminò per la stanza intrecciando le mani sotto il seno. Ogni tanto guardava in su, verso la finestra alta che dava sulla via affollata di gente, e verso il crepuscolo che andava facendosi notte.
La fioca luce della lampada iniziava a stendere lunghe ombre sotto i loro volti preoccupati.
<< Se Varior ha visto tutto questo, credo alla sua parola. E' più umano di molti altri, è incapace di mentire. Non ha sangue goblin, come alcuni dispersi che vivono sotto la Muraglia. Se Asenath esita a credergli e vuole le prove è brutto segno.>> si volse verso il maestro, guardando il suo volto tra le ombre del cappuccio.<< E' per questo che sei venuto. Temi che il Dominio…>>
<< Ti prego, bambina! Non oso neppure pensare che il Dominio sia già arrivato al Collegio!>>
<< Cosa pensi di fare? Tu, io e un ragazzino con una spada non siamo un gran impedimento per un esercito del Dominio, se è di questo che si tratta.>>
<<No, ma possiamo convincere il Consiglio che il pericolo è reale. Come ex Guardia Druidica e come elfo, puoi fare questo per me?>>
Pique gli prese le mani e le strinse nelle sue.
<< Portami da questo piccolo sventato. Faremo una seria chiacchierata e poi deciderò.>>
<< Allora è quasi un sì, il tuo.>>
La donna fece un breve sorriso, ma non rispose esplicitamente.
Il Druido si alzò dalla sedia con fatica.
<< S'incontrerà con un capitano delle Guardie suo amico, questa notte. Andremo anche noi.>>
Seguendolo, lei lo accompagnò alla porta, portando con sé la lanterna.
L'aria fuori nella via si era fatta gelida. I mercanti ambulanti stavano raccogliendo le loro mercanzie e alcuni stavano già lasciando la via, guidando i muli verso la periferia, dove avrebbero trovato le locande aperte con lo stufato caldo e la birra. Tra poco sarebbero passati gli spazzini a ripulire i marciapiedi degli escrementi delle bestie, della paglia, della cenere delle cucine da campo, dei ritagli di stoffe, e delle foglie di palma intrecciate e sgualcite che le avevano contenuti.
Fuori delle porte delle botteghe i sarti avevano appeso le lanterne per i parenti che sarebbero presto rientrati a casa, ed era anche il segnale che la bottega era chiusa. La Corporazione aveva regole rigide: non si poteva lavorare prima dell'alba o dopo il tramonto, nei giorni di festa o nei giorni dedicati alla Dea. La pena per chi era scoperto lavorare dopo il coprifuoco era la sospensione della licenza e la chiusura della bottega.
Pique restò sulla porta, dove appese la lanterna sotto all'insegna, mentre il maestro si stringeva nella cappa, sorpreso dal freddo improvviso dopo il tepore della bottega.
<< Mi farò dire da Varior il luogo dell'incontro e l'orario, manderò un mio messaggero a portarti un biglietto.>> il maestro s'inchinò per sussurrare alla sartina, ma anche per rispetto verso un'ex Guardia Druidica.
<< L'aspetterò.>> promise Pique, trattenendo le trecce che il vento le attorcigliava attorno al viso da elfo.
Si trattenne sulla porta, come era sua abitudine con i clienti, finché vide Terry sparire tra le ombre dei vicoli, e disse una preghiera alla Dea perché lo accompagnasse a casa sano e salvo.
Aveva tempo per cenare, prima che arrivasse il messaggero del Druido.
Rientrò in casa, chiuse i catenacci a doppia mandata, attraversò la stanza rischiarata dalla luna che entrava dalla finestra, e salì la stretta scala di mattoni che portava al piano superiore.
Il suo appartamento era formato da una sola stanza. Da un lato un caminetto era illuminato da un fuoco morente, che si affrettò a rinvigorire con alcuni ciocchi di legna. Accese la lanterna sopra il tavolo, una fiammella bassa che illuminò la piccola stanza. Socchiuse il vetro dell'unica finestra che dava sulla via della Corporazione dei Sarti, per permettere al messaggero di entrare.
Doveva prepararsi la cena, il suo stomaco esigeva di essere riempito, ma lo sguardo, guidato da tristi e cupi pensieri, cadde sul forziere che teneva ai piedi del letto.
Lo stomaco avrebbe aspettato.
Si chinò sul forziere e lo aprì. Da esso estrasse un involucro di seta nera, sbiadita dal tempo, nel quale aveva avvolto rami di lavanda per tenere lontano le tarme.
Sciolse l'involto con gesti meccanici, assorta dai ricordi di quando aveva riposto quella seta in quel forziere. N'estrasse una spada dall'elsa d'argento, una lavorazione artigianale che solo un nano molto bravo e molto ricco poteva permettersi, e proprio quello era stato Bossom, suo padre. Un dono per la sua bambina elfo, come la chiamava lui, la sua Pique, la sua "piccolina", come si traduceva nella lingua di Pantal.
Una lama che era stata scheggiata, che aveva bisogno di essere pulita e affilata. Le incisioni runiche che scorrevano sulla lama erano ancora incrostate di sangue goblin.
Con un moto di rabbia riavvolse la lama nella seta e ripose il tutto nel forziere, sbattendo il coperchio per chiuderlo.
L'ultima cosa che le passava per la mente in quel momento era l'idea di fare da balia asciutta ad un ragazzino. Ma per Terry, amico, mentore e compagno in tempi antichi, era il minimo che potesse fare, e l'avrebbe fatto. All'improvviso, si sentì addosso tutti i suoi duecento anni.
Prima di tutto, comunque, doveva cenare. L'aspettava una lunga notte di discussioni.

© Solange Mela





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