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«Che cazzo è successo?»
Diossido si aspettava quella telefonata, sperava solo di essere abbastanza bravo a dissimulare il divertimento che gli aveva provocato la fuga di Drago, degna delle comiche degli anni Venti, ma non era certo di riuscirci.
«Cosa volevano da me?» urlò ancora il cellulare.
«Niente. Solo quello che fa ogni Dio degno di questo nome.» Diede a Drago un attimo per capire ma la raffica di imprecazioni dall’altra parte lasciava pochi dubbi sulla volontà del Meticoloso di giocare agli indovinelli. «Volevano che tu li riportassi indietro», disse, sperando che non si udisse quel sorriso che non riusciva a ricacciare indietro. Drago si era azzittito. Si udivano cicale frinire attraverso il silenzio. «Sono rimasti delusi quando ti hanno visto scappare.»
«Io non sono scappato!» ruggì piagnucolando «non voglio contatti! Ero lì solo per…» le parole divennero un mormorio confuso, poi Drago riprese il controllo «e poi cosa volevano che riportassi indietro, un mucchietto di cenere bagnata? Sono tutti matti?»
Camillo esitava, sapeva che, a quel punto, qualunque cosa avesse detto sarebbe stata quantomeno inappropriata. Le cicale ossessive erano ancora lì, sviolinavano il loro richiamo sotto il cielo abbacinante. Poi, all’unisono, tacquero. Il Meticoloso aveva chiuso la comunicazione. A Diossido era a un tratto passata la voglia di sorridere.
Mirko, appoggiato al parapetto arrugginito e incrostato di salsedine, guardava il mare infrangersi spumeggiando sugli scogli sottostanti. Non era più la sconfinata distesa che talvolta lo aveva intimorito per l’infinita incognita dell’orizzonte. Il suo mare aveva ora una direzione ben precisa. Dopo avere calpestato tutti quei chilometri di terra il tempo e il subconscio lo avevano premiato, la sua meta ultima si era manifestata in sogno, uno di quei sogni caldi di cui senti acuta la nostalgia appena se ne scivola via. La aveva sognata a sorpresa, non ci pensava più da mesi. In realtà non ci aveva mai pensato. Eppure. Eppure la voleva vedere. Come nel sogno la voleva avere.
Sulla punta estrema dello Stivale, in riva al mare c’era musica e gente che ballava. Era una notte di Luna e di Stelle. Nell’abituale stile barbone, Riviera gironzolava fra la folla, distribuendo sorrisi e unendosi a tratti alle danze. Un ibrido di ritmi sudamericani e melodie arabe lo accompagnò spegnendosi in lontananza mentre si avviava verso le luci dei riflettori che tagliavano il cielo a ovest sul lungomare. Prese un ritaglio di giornale dallo zaino, l’articolo riguardava la recente inaugurazione, lì dove da tempo immemore avrebbe dovuto essere costruito un ponte, di un tunnel sottomarino. Il lungo budello era stato realizzato in massima parte con materiali plastici trasparenti. Un sistema di ammortizzatori idraulici avrebbe assorbito eventuali scosse telluriche in modo da rendere innocuo anche un forte terremoto.
©
Dario Vergari
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