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Italo Svevo
(1861-1928)
a cura di Davide Cariola
Pubblicato su SITO


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Italo Svevo<br>(1861-1928)

Aron Hector Schmitz nacque a Trieste il 19 dicembre 1861, sesto di otto figli, in una famiglia di origini italiane, tedesche ed israelitiche, in quanto la madre era l’italiana Allegra Moravia e il padre, Francesco Schmitz, triestino di ceppo germanico, era un’importante figura all’interno della comunità ebraica locale. Il suo famoso pseudonimo, Italo Svevo, venne creato proprio grazie alle sue origini multiple alle quali volle legare soprattutto il suo status di italiano soggiornato in Germania.

Dopo i primi studi presso la scuola israelitica tenuta dal rabbino maggiore di Trieste, il giovane Schmitz , dodicenne, fu inviato con due dei suoi fratelli in Germania, dove frequentò dal 1874 il collegio di Segnitz sul Meno, in Baviera, e vi rimase fino al 1877 per imparare il tedesco e le arti commerciali. In questo periodo si dedicò allo studio della letteratura, appassionandosi ai classici tedeschi, e apprezzando particolarmente i romanzi di Friedrich Richeter, i quali ebbero una grande influenza nella formazione del suo gusto. Oltre ad essi imparò a conoscere traduzioni di Shakespeare e di qualche scrittore russo.

Tornato a Trieste all’età di 17 anni, frequentò per due anni l’Istituto Superiore di Commercio: furono due anni di lavoro intenso che servirono per fargli capire come lui non fosse certo nato per il commercio. Il padre lo avrebbe assecondato nella sua scelta di continuare gli studi, ma improvvisamente avvenne la catastrofe: la sua industria andò in fallimento, così Svevo fu costretto ad entrare come piccolo impiegato di corrispondenza alla sede triestina della Banca Union di Vienna.

Italo si concedeva ogni giorno due ore serali da passare alla Biblioteca Civile, nella quale leggeva appassionatamente Macchiavelli, Guicciardini e Boccaccia; in qualche modo i suoi studi giunsero anche alla conoscenza delle opere di Francesco De Sanctis. Intanto anche i contemporanei avevano grande influenza in lui, specialmente Carducci, anche se la passione per quest’ultimo lo portò a non amare Manzoni, forse a causa della sua ancor giovane età. Grande interesse riscosse il romanzo francese, i libri di Flaubert, Daudet e Zola in testa, ma conobbe anche molti lavori di Balzac e Stendhal. Il suo autore preferito divenne ben presto Schopenhauer, e forse proprio al grande filosofo si deve l’utilizzo dello pseudonimo che compare per la prima volta sulla copertina di Una vita.

Svevo conobbe in quell’ambiente un pittore di sei anni più giovane di lui, Umberto Veruna, già celebre, e si legò a lui in una profonda amicizia che durò sino alla propria morte. Il suo personaggio è chiaramente rintracciabile all’interno di Senilità nella figura dello scultore Balli, il quale nell’opera assume caratteri antitetici rispetto al protagonista Emilio Brentani.

Una vita fu pubblicato nel 1892 presso l’editore Vram di Trieste. La prima edizione venne del tutto esaurita, ma per immaturità l’autore preferì non realizzare una seconda edizione dell’opera. Il titolo originale sarebbe dovuto essere Un inetto, ma Emilio Treves si rifiutò di pubblicare un romanzo con un titolo del genere, così l’autore fu costretto a cambiarlo.

Questo primo lavoro pone il protagonista Alfonso Nitti al centro della forte affermazione della vita legata al concetto di negazione, affermazione predominante nel libro, interrotta inaspettatamente nella chiusura del romanzo.

Svevo non ebbe successo e l’opera passò quasi inosservata di fronte agli occhi dei critici, ed i pochi che recensirono Una vita denunciavano un’evidente povertà lessicale ed un eccessivo utilizzo di termini dialettali.

Dopo la morte della madre, Ettore sposò nel 1896 la cugina Livia Veneziani, figlia di una sorella del suo nonno materno, benché la zia, Olga Veneziani, in un primo tempo aveva tentato di impedire il matrimonio, non parendole il nipote un partito degno per la figlia. Nel 1899, date le dimissioni dalla banca, entrò nella ditta Veneziani, alle dipendenze dei suoceri, e fu costretto a numerosi viaggi all estero.

Nel 1898, lo stesso editore Vram, pubblicò Senilità, secondo romanzo di Svevo, nel quale vengono raccontate le vicende amorose di Emilio Brentani, impiegato che gode nei circoli di una piccola fama letteraria e si duole di aver sprecato buona parte della sua vita. Vorrebbe vivere come il suo amico Balli, lo scultore indennizzato dell’insuccesso artistico da una grande successo personale, soprattutto con le donne. Emilio intraprende una relazione con Angiolina, la quale lo tradisce ripetutamente, ma le sue numerose bassezze portano il protagonista a legarsi sempre più a lei.

Non sapendo imitare il Balli, ne invoca l’aiuto, ma il suo risulta essere un intervento disastroso in quanto Angiolina in questo modo si allontana da Emilio, e la sorella, che segretamente ama lo scultore, consapevole del rifiuto, si procura l’oblio con l’etere profumato. Un giorno Emilio trova la sorella Amalia nel delirio della polmonite e, richiamato il Balli, la soccorre aiutato anche da una vicina.

Questo romanzo dapprima non fu pensato per essere pubblicato.

Le opinioni sul libro furono contrastanti: Eugenio Montale definì il lavoro un romanzo quasi perfetto nel suo intricato tessuto. “Ogni sua parte è in equilibrio perfetto e sta in relazione una all’altra come un giorno della stessa vita sta all’altro.” Il successo dell’opera fu però totalmente nullo: nessun giornale italiano se ne occupò, ad eccezione dell’Indipendente che lo aveva pubblicato nelle sue appendici.

Il silenzio che aveva accolto il romanzo era troppo eloquente e Svevo notava come la serietà della vita incombesse su di lui. Così entrò a far parte della direzione di un’industria, alla quale era necessario dedicare innumerevoli ore ogni giorno, eliminando la possibilità di dedicarsi al piacere di scrivere perché bastava solo una riga per renderlo meno idoneo al lavoro pratico cui doveva attendere. In questo periodo si dedicò allo studio del violino che nella giovinezza aveva suonato discretamente, benché presto si avvide degli impedimenti che il suo non più giovane organismo offriva ad un suo sviluppo quale esecutore. Trovò comunque un posto come secondo violino in un quartetto di buoni dilettanti ed ebbe il vantaggio di conoscere ampiamente la musica classica per quartetti.

Svevo continuò le sue attività sino allo scoppio della guerra, ma prima gli capitarono due avvenimenti veramente letterari che lui accolse senza sospetto non sapendoli tali.

Intorno al 1906 egli sentì l’esigenza per i suoi affari di perfezionarsi nella lingua inglese, così prese lezioni dal professore più noto che fosse presente a Trieste: James Joyce. Già allora quest’ultimo si trovava in condizioni letterarie migliori rispetto a Svevo e volle visionare le sue due opere, verso le quali Joyce provò grande affetto, soprattutto per Senilità.

Il secondo evento letterario riguarda l’incontro con le opere di Sigmund Freud: dapprima le affrontò solo per giudicare la possibilità di una cura che veniva offerta ad un suo congiunto, poi Svevo si appassionò per vario tempo alla lettura di libri di psicanalisi. Fu allora che lo scrittore si dedicò talora in solitudine a qualche prova di psicanalisi su se stesso.

Dal 1902 fino al 1912, per i suoi doveri professionali, Italo soggiornò annualmente per qualche mese in un sobborgo di Londra, dove il suo destino si alleviò e si fortificarono le sue risoluzioni.

Allo scoppio della guerra Svevo si trovò chiuso a Trieste; quale soggetto austriaco, era stato incaricato dal proprietario della fabbrica di custodire e continuare l’attività, ma essa venne chiusa dalle autorità, così in quegli anni lo scrittore godette di una grande tranquillità interrotta dalle bombe che piovevano sul distretto industriale di Trieste.

Non c era più lavoro in fabbrica e il violino era stato messo da parte a causa della mancanza del quartetto.

Venne allora la redenzione. Dalle adunanze che prepararono l’accoglienza delle truppe italiane fu decisa la creazione di un giornale veramente italiano: La Nazione. A direttore fu designato Giulio Cesari, vecchio amico intimo di Svevo; nell’entusiasmo generale, lo scrittore promise la propria collaborazione. Si occupò inizialmente di politica, ma la sua penna trascese: fu opera letteraria la sua satira sul tramvay di Servola (il più lento tramway del mondo).

Nel 1919 la sua collaborazione diminuì fortemente: egli si era messo a scrivere La Conscienza di Zeno.

Zeno Cosini è evidentemente un fratello di Alfonso Nitti ed Emilio Brentani,. Si distingue da loro per la sua età avanzata e per la sua ricchezza. Potrebbe fare a meno della lotta per la vita e stare a riposo, ma si sente infelice a non parteciparvi. Passa continuamente dia propositi più eroici alle disfatte più sorprendenti. Passa la sua vita a fumare l’ultima sigaretta segnando sul calendario date alle quali mai mantiene fede. Non lavora quando dovrebbe e lavora quando farebbe meglio ad astenersi. Abbandonando Zeno dopo averlo visto muovere nella vita, si ha l’impressione evidente del carattere effimero e inconsistente della volontà, dei bisogni e dei desideri umani. Egli si crede malato di una malattia a percorso lungo, e il romanzo racconta la storia della sua esistenza e delle sue cure.

Questo libro ,pubblicato nel 1922, trovò fuori da Trieste una totale incomprensione e un silenzio glaciale. Svevo rimase stupito da tale insuccesso, così contattò prima Ettore Janni del Corriere della Sera pregandolo di leggere l’opera, poi, a seguito della sua mancata risposta, si appellò a Joyce nel 1925. Quest’ultimo trovò il romanzo straordinario e ne parlò con Valery Larbaud e Benjamin Crèmieux, i quali a loro volta lo lessero e ne rimasero affascinati.

Il primo a notare definitivamente il suo valore letterario fu Montale, il quale, alla fine del 1925, pubblicò su l’Esame un articolo intitolato Omaggio a Italo Svevo, nel quale si analizzavano i tre romanzi, ma ciò non ebbe la sperata risonanza.

Nel febbraio 1926 arrivò il giorno tanto atteso dallo scrittore. Al primo del mese, nel “Navire d’Argent”, elegante rivista letteraria parigina diretta da Adriana Monnier, Benjamin Crèmieux pubblicò il prestigioso studio di Svevo, che lo poneva finalmente in evidenza.

Crèmieux dichiarava che “Italo Svevo è il primo romanziere analitico che abbia prodotto l’Italia contemporanea, e si può dire anche il solo.”

Per dare ai lettori un saggio dello scrittore, sul “Navire d’Argent” vennero aggiunte traduzioni elaborate dallo stesso Crèmieux dell’esordio e del primo capitolo della Coscienza di Zeno ed anche alcune pagine di Senilità tradotte da Valery Larbaud.

L’eco di questa pubblicazione parigina si fece sentire in tutta l’Italia letteraria e giornalistica, sebbene la reazione fu scarsa e senza autorità. Contro la proposta di celebrità venuta da Parigi scrisse il critico Giulio Caprin del Corriere della Sera ,difendendo la critica italiana e rimproverando in Italo Svevo la forma e la natura della sua arte poco conforme alle tradizioni italiane. Questa volta però il tentativo di Caprin non ebbe seguito: scrittori giovani e anziani fecero a gara nel fare omaggio all’arte, al pensiero e alla scrittura di Svevo.

La morte sorprese il romanziere nel 1928 in seguito ad un incidente automobilistico avvenuto presso Motta di Livenza (Treviso).

 

Bibliografia:

 

  • L'avvenire dei ricordi (1877)

  • Ariosto Governatore (1880)

  • Il primo amore (1880)

  • Le roi est mort, vive le roi! (1880)

  • I due poeti (1880)

  • Difetto moderno (1881)

  • La storia dei miei lavori (1881)

  • I tre caratteri, poi chiamato La gente superiore (1881)

  • L'assassinio di via Belpoggio (1890)

  • Una vita (1892)

  • Senilità (1898)

  • La coscienza di Zeno (1923)

  • La madre (1926)

  • Una burla riuscita (1926)

  • Vino generoso (1926)

  • La novella del buon vecchio e della bella fanciulla (1926)

  • Terzetto spezzato (1927)

  • Il vecchione (incompiuto, postumo)

  • Corto viaggio sentimentale (incompiuto, postumo)

© Davide Cariola



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