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Easy Rider
regia di Dennis Hopper
Pubblicato su SITO


Anno 1968- U.S.A.


Una recensione di Federico Fastelli
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 Easy Rider

SOGGETTO: P. Fonda – D. Hopper – T. Southern
DIRETTORE DELLA FOTOGRAFIA: Laszlo Kovacs
MUSICHE: Steppenwolf
PRODUTTORE ASSOCIATO: W. Hayward
PRODUTTORE ESECUTIVO: B. Schneider
PRODOTTO DA: P. Fonda

CON: P. Fonda – D. Hopper – J. Nicholson


Il contesto sociale negli Stati Uniti degli anni 60 era profondamente mutato, rispetto ai parametri che avevano scandito, dalla nascita fino ad allora, l’esistenza del cinema classico hollywoodiano. Altro era il pubblico. Altre le condizioni politiche e la consapevolezza delle contraddizioni dello stato. Altre le prospettive della nuova generazione di registi, convinti (grazie anche alla grande influenza del cinema d’autore europeo) di essere artisti non sottoposti alla volontà ed allo strapotere delle produzioni. Così anche il cinema americano iniziò a mutare. In questo quadro easy rider è un film “manifesto” sia per i contenuti che per le tecniche usate.
Raccontando la storia di due hippies, Billy (Hopper) e Wyatt (Fonda) che attraversano l’America per giungere al carnevale di New Orleans, il film si fa portavoce di protagonisti alternativi; eroi che sono anti-eroi. Essendo un road-movie, infatti, si riallaccia direttamente al genere western (ne mantiene gli scenari e le ambientazioni), ma lo sovverte e lo sconvolge dall’interno. Intanto il viaggio è verso est e non verso ovest. È compiuto con la moto e non con il cavallo (è indicativa, in questo senso, la scena della riparazione della ruota contemporanea alla ferratura del cavallo). È scandito non da atti di coraggio ma dalla ricerca della libertà. L’uso di droghe (ne compaiono esplicitamente almeno tre tipi: cocaina nelle scene iniziali, marijuana durante tutto il film e LSD) è mostrato, esibito, messo in una luce più realistica e matura rispetto ai vecchi canoni. Dirà Hopper: “era la prima volta che si fumava marijuana sullo schermo senza che qualcuno finisse per uccidere un gruppo di baby sitter”(intervista a “monthly film bulletin”, 1982). E proprio questo vuole essere il senso del film: “era la prima volta che dei cattivi ragazzi apparivano quasi umani”(Hopper, intervista sopra citata). Anche l’uso della musica rock è centrale in tale contesto. Si tratta della musica della controcultura (The Band, The Birds, Steppenwolf, Jimi Hendix) e sottolinea l’esistenza di tutto un mondo che non si riconosce più nell’America razzista, perbenista e benpensante visibile in più punti del film. La scena del bar, l’aggressione mentre i giovani dormono, il finale. La comune hippies nella quale Billy e Wyatt mangiano è la prova visibile di quel mondo, non privo, certo, di contraddizioni e problemi. E infatti l’America che giudica dai capelli e dai vestiti avrà la meglio sull’utopia di chi pensa che una società più evoluta non avrà né guerre e né capi (la società aliena di cui parla Nicholson la notte prima di essere ucciso a bastonate). Tanto nel film quanto nella storia. La vicenda dei due “cavalieri calmi” si conclude tragicamente. Saranno uccisi dall’ottusità di una società che non può capirli e accettarli.
Anche dal punto di vista tecnico easy rider è molto interessante. Sebbene non arrivi alla disarticolazione narrativa che caratterizzava il cinema europeo d’autore dell’epoca, rappresenta di certo un’eccezione rispetto ad altri film manifesto della sua generazione (mi riferisco in particolare a Il Laureato di Mike Nichols,1967 e a Gangster story di Arthur Penn,1967). Mentre gli altri scelgono la strada della linearità narrativa (tipica del cinema statunitense), pur con tutte le particolarità registiche di ogni autore, nel suo film Hopper opta per la contaminazione col cinema underground non-narrativo, evidente negli stacchi allucinati e soprattutto nella famosa sequenza psichedelica dentro al cimitero. La scelta è comunque giustificata dal punto di vista narrativo per il fatto che i due personaggi (e le due prostitute che li accompagnano) sono fatti di acido. Il montaggio definitivo, che ebbe tra l’altro un parto lunghissimo su stessa ammissione del regista, risulta così frammentato e ricco di flashforward (tra questi anche la morte dei protagonisti).
Il film, scritto dai due stessi interpreti (con Terry Southern) e prodotto da Peter Fonda costò intorno ai 400000 dollari. Ad oggi ne ha incassati oltre 40 milioni.


Una recensione di Federico Fastelli



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